Il cuore sbagliato

15,00

Formato: Libro cartaceo

Autore: Stefano Pavesio

Note sull’autore

 

COD: ISBN 978-88-6690-381-9 Categoria: Tag:

Descrizione

Un’impressionante serie di delitti efferati, tra il 2014 e il 2015, legati tra loro dalla presenza, accanto ai cadaveri o inciso sui loro corpi, di un numero a quattro cifre, mette a dura prova l’acume investigativo del tenente colonnello dei Carabinieri Corrado Beneghetti e della sua amica Carla Vicini, dei RIS. Un altro elemento comune alle vittime è la loro origine riconducibile alla val Tanaro, tranquilla, provinciale, quasi sonnacchiosa, con i suoi paesini dove tutti conoscono tutti. Ma il male si può annidare ovunque, e molti ricordano ancora un terribile delitto di dieci anni prima, quello di un bimbo di nove anni seviziato e sepolto ancora vivo in un bosco. È possibile che questa crudele uccisione abbia qualcosa a che fare con i delitti presenti? E, soprattutto, è possibile ricondurre tutti questi crimini ad un’unica mano assassina?

Il cuore sbagliato è un romanzo che va oltre i toni del thriller e del noir, per scavare nelle motivazioni profonde dell’assassino, delle sue responsabilità, ma anche dell’ineluttabilità delle sue scelte, in una storia dove quasi nessuno è davvero innocente.

INCIPIT

NUMERO 3 – novembre 2014, Milano

Lui è lì, a pochi passi da me. Sguardo vacuo e fronte appoggiata alla finestra. Guarda fuori ma non vede nulla. Respira con la bocca, lentamente, e ad ogni espirazione un alone umido prende vita sul vetro per poi estinguersi un istante dopo, in attesa del prossimo. La pioggia autunnale cade distratta sui tetti e sulle strade scivolando lungo l’asfalto e le tegole e incuneandosi nelle caditoie e nelle grondaie con sommessi gorgoglii. Rimbalza sui davanzali e si adagia sui vetri lasciando tracce irregolari e striature scomposte. Lui guarda fuori attraverso il cristallo e le sue acquatiche distorsioni, ma non sono sicura che riesca a distinguere i riflessi dei lampioni e dei fari delle auto che passano qualche piano più giù. Guarda ma non vede. Una mano accarezza una bottiglia quasi vuota. L’altra un coltello a serramanico. L’ha pulito, ma di sicuro un’analisi accurata troverebbe molte tracce di sangue. Dovrà liberarsene. Lo sa. Ma non sa perché l’ha usato. Non ricorda bene.

Frammenti di immagini, memorie labili e intermittenti. Impugna l’arma e colpisce. Più volte. Non ha paura, non ha rimorso, non ha piacere. Nessuna emozione. Lo fa perché va fatto, anche se non sa perché. Ma non può evitarlo. Chi era? Un uomo o una donna? Di chi era quel corpo ridotto a un ammasso sanguinante, senza alcun colpo particolarmente letale, lasciato a morire dissanguato?

Se non continuasse a bere ricorderebbe meglio. Proprio per questo beve. Anche se, nelle sue condizioni, l’alcol non dovrebbe essere preso in considerazione, ma non gli importa. Così come non gli importa di essere solitamente astemio. Ma non stasera. E non importa neanche a me. Quel che mi preme è potermi riavvicinare a lui. Ora non si può, non mi vuole, non può che essere così. Nei prossimi giorni forse andrà meglio. È già successo. Tutto sommato non dipende nemmeno da lui. Si tratta solo di aspettare, son sicura che mi riprenderà con lui.

Aronne uscì dall’hotel il mattino seguente con un tremendo cerchio alla testa. Era riuscito a trascinarsi fino al water e a vomitarci dentro liquore, succhi gastrici e anima. E da lì, ancora vestito, aveva strisciato fino al letto ma forse non ci era mai salito, visto che si era risvegliato sulla scadente moquette dell’albergo a due stelle della periferia di Milano. Aveva fatto qualcosa di orribile, qualcosa di cui non andare assolutamente fiero. Aveva fatto qualcosa che voleva assolutamente dimenticare.

Così come aveva fatto la volta scorsa. O era successo più di una volta? Non ne era sicuro. Una, due, tre? Trenta? Non lo sapeva e non lo voleva sapere. Dov’era la sua macchina adesso? Voleva solo tornare a casa. Non c’era nessuna macchina, ovviamente. Era venuto in treno e poi si era mosso coi mezzi pubblici cercando di mischiarsi il più possibile tra la gente. Aveva scelto questo hotel perché di bassa categoria e quindi di poca attrattiva e di conseguenza non così frequentato, perché vicino a una fermata dei mezzi e perché non troppo distante dall’abitazione della sua vittima. Aspettò alcuni minuti sotto l’ombrello, l’insulsa pioggia non voleva saperne di smettere, aveva iniziato a cadere due giorni prima e sembrava determinata a continuare. Ma a lui andava bene così, se non altro giustificava l’uso dell’ombrello che gli consentiva di tenere il volto nascosto alle troppe telecamere sparse per la città.

L’autobus lo condusse alla metro verde e da lì alla stazione Centrale. Prese il treno e rientrò a Torino.

Mentre i binari scorrevano sotto di lui, la polizia era già da alcune ore febbrilmente all’opera nell’appartamento al quarto piano del condominio di via Rubino e dovette concordare con la moglie dell’assassinato che al telefono gli aveva parlato, agitatissima e singhiozzante, di omicidio e massacro e sangue dappertutto.

Era rientrata in mattinata, verso le tre, lavorava in una fabbrica di utensileria meccanica e in quel periodo stava facendo il secondo turno. Si stupì nel trovare lo stereo e il televisore accesi. E si stupì ancora di più di trovare il marito alzato, di solito a quell’ora era già addormentato da un pezzo. Stupore che però fece rima con orrore quando lo vide steso supino sul tavolo della cucina, le gambe e le braccia penzoloni ai due lati. Attorno ai polsi e alle caviglie dei segni inequivocabili di legature, ma nessuna corda. Una benda improvvisata davanti alla bocca e una mela infilata dentro. Nudo, eccetto i boxer. Nell’ombelico faceva orrendamente sfoggio di sé un occhio sanguinolento, con ancora attaccata una parte di nervo ottico. Sembrava un girino gigantesco. L’altro occhio era ancora al suo posto naturale, però spalancato in maniera esagerata: la palpebra era stata rimossa. Sul bordo del tavolo un bicchiere contenente cubetti e frattaglie di carne sanguinolenta.

Il resto del corpo era un taglio unico. Sfregi, piccoli crateri al posto dei brandelli di carne rimossi, tagli leggeri e profondi alternati senza una logica apparente, ferite che sembravano quasi dei decori, segni netti dove la lama era invece affondata in profondità in verticale. Le estremità dove si congiungono le labbra superiori e inferiori erano state incise e da lì il taglio era proseguito netto verso le orecchie, da ambo i lati, così adesso i lembi di carne pendevano aperti verso il basso rivelando la loro mucosa interna e una parte di denti e gengive. Anche le narici avevano subìto un trattamento simile e il naso assomigliava a una protuberanza di un mostro delle fiabe più cupe. A terra, tutto intorno al tavolo, una pozza di sangue ormai quasi del tutto rappresa.

Sull’addome il coltello era stato spinto a fondo in più punti da cui era uscito molto sangue ormai coagulato, ma anche in queste condizioni, osservando con attenzione, era possibile scorgere una specie di disegno formato dalle ferite:

Non sembrava per nulla casuale.

Le forze dell’ordine sigillarono l’appartamento e allontanarono la moglie della vittima fino a che la scientifica non avesse finito i suoi rilievi. Una volta portato in sala autoptica il cadavere di Mirko Glossi, dopo essere stato sottoposto agli esami di rito, venne infine lavato e non si poté far altro che confermare l’immagine già vista sulla scena del crimine.

Quattro cifre. Incise mentre era ancora in vita. Confrontarono la scoperta con altri casi già chiusi o ancora irrisolti e ne trovarono uno, ancora in attesa di un colpevole. Un altro cadavere con altre quattro cifre incise sopra, anche se in un’altra maniera. La vittima, anch’essa orrendamente trucidata, in quell’altra occasione rispondeva al nome di Alessio Tomelli, nei pressi di Cuneo nel gennaio di quello stesso anno. Il numero, tracciato molto probabilmente con un utensile a caldo, tipo un pirografo, era 1518.

1 recensione per Il cuore sbagliato

  1. Elena G

    un thriller fuori dalle righe

    Se ci si avvicina alla lettura del romanzo di Pavesio pensando che sia un thriller e attendendosi gli elementi caratteristici di questo genere, si viene delusi. Meno male, bisogna dire.

    Sì, c’è un serial killer. Sì, ci sono rappresentanti delle Forze dell’ordine sulle sue tracce. La trama però non ha uno svolgimento convenzionale. Gli investigatori sono tutt’altro che super-intuitivi e super-scientifici, possiedono una umanità fallace e quasi mediocre. L’assassino non è l’incarnazione del male, ma è dotato pure lui di una umanità messa alla prova dalla malvagità del mondo e con motivazioni tanto crudeli quanto comprensibili. C’è spazio perfino per una componente sovrannaturale. E anche l’orrido fa capolino più volte.

    Lo stile è scarno ed essenziale, quasi brullo. L’autore ha fatto la scelta di rendere inutili le descrizioni particolareggiate tanto dei luoghi quanto della psicologia dei personaggi, che devono essere intuiti attraverso i pochi indizi. Ciò rende rapida la lettura e facilita la messa a fuoco di una vicenda umana assurda, dolorosa, folle, i cui esiti non potrebbero essere diversi da quelli descritti.

    In questo contesto tutto sommato fuori dalle righe rispetto all’ortodossia del thriller, la sensazione iniziale è di spaesamento e irritazione. Quando però, dopo i primi capitoli, si rinuncia ad avere aspettative di sorta e ci si affida semplicemente alla narrazione, lasciando l’autore ricongiungere tutti i fili della storia, si comincia ad apprezzarne l’originalità.

    Il cuore sbagliato di Pavesio è un romanzo difficile da classificare. Proprio in questo risiede il suo valore. È una di quelle letture che non fanno rimpiangere di aver rinunciato, almeno temporaneamente, ai tracciati prevedibili di autori più conosciuti.

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