Tris di dame vs Alzh

12,00

Formato: Libro cartaceo

Autore: Iano Lanz

Note sull’autore

 

COD: ISBN 978-88-6690-193-8 Categoria: Tag:

Descrizione

Malattia del nostro tempo – ci ammaliamo di troppa vita – l’Alzheimer ci fa paura, perché la perdita, il dissolvimento delle nostre facoltà intellettuali, è una morte prima della morte. Se poi il male colpisce una persona cara, che vediamo vicino a noi con il corpo, mentre la mente deriva verso spiagge sempre più lontane, fino a cancellare anche l’affetto che provava per noi, come non essere afferrati da un senso di angoscia impotente?

“Alzh è un gran figlio di puttana e mette a segno colpi che nemmeno immaginate” afferma un personaggio di Tris di dame. La malattia è subdola, attacca proditoriamente il cervello di chi prende di mira, ma le possiamo sferrare un colpo basso: recuperare i momenti straordinari che hanno arricchito la vita, azioni che hanno stimolato il corpo e la mente. E che c’è di meglio del ricordo di un amore? O di parecchi amori?

Vanni Stami, l’anziano protagonista, scivola nelle grinfie di Alzh giorno dopo giorno; la figlia Giovanna, che non si rassegna, affianca il genitore in un percorso che mira a contrastare la malattia e durante il quale ricompaiono anche tre donne amate da Vanni in tempi diversi della sua vita; queste donne balzano fuori dal passato “come fuochi d’artificio sparati basso: un calcio in culo a Alzh!”.

Sembra però che il presente stia inesorabilmente cancellando anche i ricordi più emozionanti.

Il finale, tuttavia, è sorprendente e inatteso e riesce perfino a strapparci un sorriso.

INCIPIT

Giacevo immobilizzato nel terrore con il cuore a 120 b.p.m., il tempo d’attacco di un allegro. Con gli occhi dilatati nel buio tentavo di girare una chiavetta per accendere il lobo parietale destro, sono mancino, e stimolare il risveglio.

Doveva essere un normale risveglio, avevo anche percepito da lontananze acustiche il consueto bip della sveglia telefonica ripetuto per trentadue volte e avevo aperto gli occhi, ma non succedeva nulla. Le sinapsi, che nella notte avevano generato sogni fulgidi come aurore boreali, erano collassate all’improvviso nel momento dell’apertura degli occhi. I normali recettori, i propriocettori, non informavano della posizione del corpo nello spazio, non fluivano normalmente, compressi in un dotto circolatorio intasato.

La privazione del fluido neurale aveva generato l’immobilità e la paura; la mancanza di vigilanza della mente sprofondava il mio stato verso un coma di sabbie mobili.

Da quando ero in quella condizione?

“Da pochi secondi a qualche minuto, non si può valutare correttamente con i pochi dettagli a disposizione.”

Chi parlava era un giovane esperto nella lotta contro Alzh, una mente eccelsa del Centro di ricerche avanzate di Roma, una vera e propria cintura nera, per così dire. Era corso al mio capezzale sollecitato da Giovanna, la mia figlia prediletta.

Mi domandò:

“Piuttosto precisi meglio se l’episodio è avvenuto altre volte.”

“Forse sì, ma non così paralizzante, questo ha superato ogni possibile sopportazione.”

“Qualche volta le è successo durante la giornata di percepire un pensiero che non avesse più una traccia logica, una deviazione come un raggio di luce che colpisce l’acqua?”

“Diciamo che alla mia età quello che lei descrive è quasi una condizione permanente, mi sto abituando. Ormai sono vicino agli ottanta e quasi sempre trascorro parte della giornata rincorrendo sequenze logiche e frammenti di ricordi che provo a mettere in riga, ma mi distraggo facilmente, non reggo alla tensione prolungata.”

“Fa del movimento?”

“Cammino. A fine estate, il cortile della mia casa di campagna è un luogo fresco e invita a fare due passi, ho ancora una discreta gamba, ma alterno frequenti soste, devo riprendere fiato sempre più spesso. Per fortuna c’è mia figlia Giovanna.”

“Che fa sua figlia Giovanna?” domandò l’esperto volgendo il viso sorridente verso la donna che seguiva il dialogo con l’ombra scura dei suoi occhi profondi, incastonati in un viso regolare, i lineamenti morbidi. Nella casa circolava un’aria deliziosa, proveniva dal terreno intorno alla casa sviluppato a giardino; eravamo seduti tutti e tre intorno a un tavolo basso.

“Lei mi sollecita, mi sta addosso, mi dice: hai già terminato i tuoi cento passi?”

“Perché cento passi?

Guardai mia figlia: “Diglielo tu!”

Con voce pacata e scegliendo le parole, Giovanna spiegò che una delle possibilità per contrastare Alzh era il mantenimento di una buona forma fisica attraverso esercizi regolari e d’impatto non gravoso. Per esempio, camminare. Ma non camminare e basta; è necessario stabilire un programma di lavoro in cui lo sforzo risulti ripetuto nella giusta intensità e al ritmo stabilito.

Aveva parlato rivolta a me, come per una conferma. Poi diresse il suo sguardo profondo come un pozzo verso l’esperto:

“Abbiamo controllato che nel corso di un centinaio di passi lui raggiunge uno sforzo complessivo discreto, ma proseguire lo stanca troppo. Allora, riposo per quattro minuti e ricomincia a camminare per altri cento passi. Tutto questo nel corso di un’ora. Al termine percorre ogni giorno un chilometro abbondante.”

Ripiombai nel discorso con eccitazione, uno stato d’animo anomalo, sono stato sempre un flemmatico:

“Mi ha comperato anche un contapassi, addirittura uno con un congegno strano, un allarme, che si attiverebbe nel caso dovessi rimanere stecchito per un incidente di percorso.”

L’esperto rise, Giovanna adagiò la mano sulla mia che tenevo abbandonata su un ginocchio.

“Un approccio decisamente scientifico, avete imboccato, è il caso di dire, il sentiero giusto, ma non basta!”

Lo affermò con durezza il dott. Matt, contrazione di Mattia, diminutivo appioppato all’esperto cintura nera, per così dire, durante la sua specializzazione negli Stati Uniti:

“Alzh è un gran figlio di puttana, chiedo scusa per la volgarità, e mette a segno colpi che nemmeno immaginate.”

Non volle impressionarmi in occasione del primo colloquio, scosse solo la testa per dare consapevolezza al suo grido d’allarme. Il resto me lo avrebbe detto una decina di giorni dopo.

L’esperto guardò me e poi Giovanna, una fissità intensa proveniva dagli occhiali da vista lievemente affumicati. Ancora una volta la mia attenzione si soffermò sul suo abbigliamento informale, un paio di jeans e una camicia bianca a maniche lunghe, arrotolate sul gomito; alto e magro, tendeva a incurvare le spalle.

“Volete che vi tracci alcune strategie indispensabili?”

Scossi la testa convinto e gettai un’occhiata a Giovanna, che agitò la testa in segno affermativo: “L’abbiamo chiamata per questo!”

Non specificò che gli avevamo anche rifilato un sostanzioso anticipo per le cure.

“Mettere sotto pressione la macchina pensante, creare miliardi di nuove sinapsi attraverso una pesca vigile e attenta dei ricordi, una dieta rigorosa, attività motoria programmata. Per ora fermiamoci qui.”

Con accento secco aveva descritto alcuni enunciati così come si recitano una parte dei dieci comandamenti, o alcuni articoli della costituzione. Solo che gli argomenti erano così nuovi per noi e inoltre elencati con tale stringatezza che lì per lì non ne afferrammo il significato incontestabile, almeno io, ma colsi la stessa perplessità sul viso di mia figlia. Ovviamente l’esperto, proprio per essere tale, colse al volo la confusione sui nostri volti e concesse un transitorio sfogo a un sorriso contenuto.

“Metterei primo nella lista il recupero dei ricordi. Esso rappresenta lo sforzo più impegnativo, perché la scatola magica lo rifiuta, non vuole essere pungolata, reagisce con indolenza, predilige una visione rassegnata della vita. Su questo piano la lotta si fa impari e spesso il soggetto postula disperatamente il gettito della spugna. Ma guai a cedere.”

Mi armai di tutte le capacità interpretative possibili, guardai mia figlia per reclamare il suo sostegno e confessai all’esperto che il suo interloquire per metafore mi disorientava e rendeva non troppo intelligibile il suo discorso: è forse l’inizio di un affondo improvviso di Alzh nei miei confronti?

“No, no, professor Stami…”

“Mi chiami Vanni.”

“No, Vanni, finora ho parlato per principi generali. Ora passo ai particolari.”

Sembrò raccogliere le idee, come si usa prima di un lungo discorso: è come scuotere nel palmo chiuso i dadi e poi buttarli sul tavolo, basterà fare la somma e il dialogo può cominciare. Noi attendevamo, l’esperto esitò ancora, infine sembrò rammentare qualcosa: tirò fuori dalla tasca posteriore dei jeans un foglio sgualcito e lo dispiegò, lo scorse velocemente.

“Dal curriculum, che così accortamente mi ha rimesso sua figlia, apprendo che lei è stato un insegnante brillante, ha ricoperto incarichi, ha viaggiato in tutto il mondo. Ha insomma maturato esperienze belle e brutte; queste ultime non ci interessano, puntiamo sulle belle, non in maniera astratta, ma attribuendo ad esse una specificità: miriamo a quelle vicende con contenuti sentimentali profondi, possibilmente con sfumature passionali.”

Lanciai uno sguardo disperato in direzione di Giovanna, nello stesso istante in cui lei me ne restituiva uno rasserenante e piuttosto interessato.

L’esperto, anche se momentaneamente infastidito dal nostro scambio di sguardi, scivolò via e continuò:

“Il primo colpo basso da sferrare ad Alzh consiste nel recupero di momenti straordinari che hanno arricchito la sua vita, di azioni che hanno stimolato il corpo e la mente. Nella mia strategia sono decisamente orientato verso il ricordo di un amore, altri miei colleghi prediligono rievocazioni di viaggi, imprese sportive o altre diversificate tracce della memoria che contengano comunque reminiscenze positive e brillanti.”

Fece una pausa, ci osservò e sciolse la tensione con un sorriso aperto:

“Chiedo scusa, mi dilungo sempre in divagazioni accademiche; purtroppo una impronta tenace della passata esperienza americana.”

Ci sistemammo meglio sulle sedie, la mente disposta a cogliere ogni piccola sfumatura delle strategie che sarebbero seguite.

“Lei è avvantaggiato perché ha competenza di scrittura a livello professionale, ho letto con attenzione l’elenco di opere, saggi, articoli che lei ha redatto durante la sua lunga vita di lavoro. Ora dovrà abbassare la traiettoria di volo e limitarsi a raccontare con semplicità, ma nei minimi particolari, l’esperienza di un amore passato, dal momento della fascinazione fino alla sua conclusione, rispettando scrupolosamente un paio di parametri: che sia avvenuto nel tratto degli ultimi dieci anni, che non si riferisca alla sua attuale consorte.”

Appoggiò la schiena alla poltrona in attesa di una prima reazione che, essendo esperto, sicuramente si aspettava. Ci misi più tempo del previsto a reagire, evidentemente Alzh mi incalzava con uno dei suoi attacchi proditori per afflosciare ogni stimolo e osteggiare il colloquio. Finalmente riuscii a dire:

“Lei dà per scontato che io abbia avuto a un’età venerabile, una, come si dice, botta di vita e abbia stretto una relazione, o che comunque, sia stato coprotagonista di un episodio amoroso avvenuto circa dieci anni fa. Non le pare di esagerare?”

Volevo affermarlo in maniera decisa e scandalizzata, ma avvertii la protesta debole e poco reattiva. Guardai mia figlia e la colsi con la testa bassa e lo sguardo orientato a livello di pavimento, al contrario dell’atteggiamento dell’esperto che mi fissava accigliato. Quasi mi aggredì:

“Ecco, sta sperimentando lei stesso il pericoloso, subdolo comportamento di Alzh che tende alla rimozione dei ricordi migliori, alla cancellazione della memoria più intima e preziosa, utile a edificare un presente corroborante. In questo momento lei sta facendo il gioco di Alzh.”

Ruotai intorno lo sguardo disorientato, lo fissai infine sulla mia figlia prediletta. Le dissi:

“Giovanna…”

“Serena!” interloquì decisa.

Accettai l’invito alla calma, ma non bastava.

“Serena… Fontana di Trevi.”

Partì un gancio dal basso e come da un’emersione subacquea, tra spruzzi di ricordi e frammenti in sequenza, sortì una visione di donna che aveva il profilo di una dea e il corpo di una sirena. Per bizzarra assonanza Serena riemerse dal passato per sostenere con vigore un presente vivido, che si manifestò con barbagli di luce simili a fuochi d’artificio sparati basso: un calcio in culo a Alzh!

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