Descrizione
Pensate che i cimiteri siano dei luoghi senza vita? Il fatto che siano popolati da cadaveri in stato di decomposizione più o meno avanzata non li rende assolutamente dei posti tranquilli… Certamente non è tranquillo il cimitero di Velletri, regno di Paolo Grandi, che ne è lo scontroso custode. Paolo la morte la conosce molto bene e i morti gli piacciono più dei vivi, che guarda invece con occhio malevolo e impietoso. In realtà, sotto il nome di Paolo si cela Giovanni Di Micco, un ex medico legale radiato dall’Ordine perché implicato in un traffico di organi umani e quindi costretto a vivere da clandestino e sotto falso nome. Malgrado il suo brutto carattere, Paolo riesce a instaurare rapporti umani veri e profondi con molte persone, compreso il figlio CJ, che ha avuto giovanissimo con una donna che ha sposato un altro uomo e che ignora l’identità del padre.
Una storia appassionante, che trova un ulteriore punto di forza nell’originalissima ambientazione in un cimitero, senza alcun gratuito gusto del macabro, ma con un realismo profondo, frutto di una solida documentazione, che ci fa scoprire un mondo davvero inatteso.
INCIPIT
Ognuno di noi fa quello che può,
per non pensare alla vita
(Francesco Dellamorte)
“SPERIAMO CHE VINCA MIO NONNO.”
Lo status di Facebook di un amico dei miei figli dice così, e li ha fatti tanto ridere. Anche io, a dire il vero, leggendolo accenno un sorriso. Nulla di più, però. So già che oggi al cimitero ci sarà un incredibile viavai di gente e questo sta a significare una sola cosa, il delirio assoluto. Non capisco perché la maggior parte delle persone si ricordi i propri morti a comando, una volta l’anno. Per me il giorno dei defunti rappresenta lavoro, lavoro e ancora lavoro.
Sono il custode del cimitero di Velletri e come tale scavo le nuove fosse anche sotto la pioggia torrenziale e gelida, svuoto le tombe a cui è scaduta la concessione, ripulisco gli scheletri prima di metterli nelle cassettine per le ossa, e vado personalmente in Comune a ritirare gli atti di sepoltura qualora le agenzie di pompe funebri non avessero provveduto. Ogni notte perdo ore di sonno per fare la guardia. Senza contare il tempo e la fatica che mi costano la manutenzione delle tombe e la pulizia di viali e vialetti dai rifiuti che i visitatori lasciano in giro durante il giorno, ovunque fuorché nei cestini. Getto via i fiori secchi e annaffio quelli freschi.
È massacrante, ma non mi lamento. Quando ho accettato il lavoro sapevo che sarebbe stato faticoso. Il mio predecessore, conosciuto durante una lunga chiacchierata al termine di un funerale, rimase così favorevolmente impressionato dalle mie conoscenze sulla morte da suggerirmi di far domanda per lavorare qui, designandomi poi come suo successore una volta che fosse andato in pensione. Solo in seguito scoprii che era ormai un po’ che sarebbe dovuto andare in pensione, ma cosa aspettasse di preciso non lo so. Voleva prima essere sicuro di trovare qualcuno che lo sostituisse degnamente? O era convinto di dover morire sul campo, come i soldati?
Ed eccomi, dalla mattina alla sera, in questa oasi di pace di medie dimensioni immersa nella natura. È diventato un bellissimo cimitero, da quando ci lavoro io. Come dico sempre, dal momento che mi pagano, è giusto che mi impegni a mantenerlo pulito e in ordine. Naturalmente non faccio tutto da solo, non sono un mago… alle mie dipendenze lavorano dieci persone, ma sono sempre io il primo a entrare e l’ultimo a uscire. Oggi dovrò controllare che tutto fili liscio e dare una mano a chi ne avrà bisogno.
Una volta chiusi i cancelli al termine della giornata, ci sarà da pulire… so io in quali condizioni pietose si riduce il cimitero il 2 novembre. Molti vivi sono così ipocriti da visitare le tombe dei propri cari solo oggi e, totalmente privi di rispetto e di senso civico insozzeranno viali e vialetti con spazzatura, mozziconi di sigarette e fiori secchi, che poi io dovrò scopare via e bruciare. Non vedo l’ora che arrivino le 18.
All’avvicinarsi di questa fatidica data mi ci vuole sempre un po’ per essere psicologicamente preparato ad affrontare con calma e sangue freddo quello che mi aspetta: reclami, problemi, discussioni. E quel che è peggio, tutti vengono a lamentarsi da me.
Durante la settimana ho portato i miei uomini alla pazzia in vista di questa giornata, costringendoli a darmi una mano nelle “grandi pulizie”: sono state estirpate le erbacce attorno alle tombe a terra, potate le siepi, spolverate le lapidi, lucidati ogni vaso e cornice, controllate quante e quali tombe avessero la luce votiva spenta, eccetera.
«Perché tutto questo lavoro inutile, capo? Tanto i visitatori non lo vedranno!» mi hanno fatto notare.
Come se non sapessi da solo che è tutta fatica sprecata e che nessuno verrà mai a congratularsi con noi… sono tutti ciechi quando si tratta di notare quanto il cimitero sia impeccabilmente pulito, ma bofonchiano subito tra i denti se vedono una cartaccia a terra e non c’è chi la raccolga entro cinque minuti. Da quando lavoro qui, ogni anno spero sempre che diluvi tutto il giorno, costringendo la gente a restarsene a casa. Chissà perché non succede mai?
«Facciamoci coraggio e andiamo a lavorare!» dico al mio migliore amico Alessandro, responsabile della cura delle piante.
Dunque, qual è il programma della giornata? Ore 7.30: prima messa a suffragio dei defunti, nella piccola chiesa del cimitero. Wow, da non perdere! A quell’ora ci saranno solo le vecchiette, perciò si “replica” nel corso della mattinata. Nell’intervallo tra una messa e l’altra, il parroco girerà per il cimitero e benedirà le tombe.
Assesto una lieve pacca sulla schiena di Alessandro. «Apri il cancello di via del Cigliolo, io mi occupo dell’altro», e mi avvio di buon passo verso l’ingresso principale. Si è mai vista la gente in fila fuori i cancelli del cimitero, neanche si trattasse dell’inaugurazione di un ipermercato?
Infilo la chiave nella serratura per consentire l’ingresso al primo scaglione di visitatori, per lo più anziani insonni e coloro che si fermano un momento sulla tomba dei loro cari estinti prima di andare a lavorare.
Appena il cancello è aperto, entrano accalcandosi come se invece che al cimitero si trovassero ai saldi. Ehi, quanta fretta…! Avranno paura che gli scappino le salme? Oggi ricorrono i morti, ma a me sembra che anche i vivi corrano e ricorrano! La gente dovrebbe venire al cimitero più rilassata, più… distesa.
Mi sfiora un tizio trafelatissimo che parla al cellulare. «Sono al cimitero. Eh, sì, oggi è la commemorazione dei defunti, il tempo di una preghiera e un fiore sulla tomba dei miei e vengo in ufficio. Come? No, non passo anche dalla madre di mia moglie, è nell’ampliamento e dovrei allungare troppo il giro. Invece i miei sono nel fabbricato vicino l’ingresso, quindi faccio subito. Tanto, visto che sono qui, è come se fossi stato anche da lei…»
Sì, commenta la mia vocina interiore, oggi c’è l’offerta speciale del giorno dei morti. Ne visiti due, valgono per tre!La verità è che a quel tizio della madre di sua moglie non frega un tubo.
Colgo qualche frammento delle conversazioni di altri visitatori, di cui un paio suscitano il mio interesse.
«Ma fra tanti posti, proprio qui dovevamo venire?» protesta una donna bruna con i capelli lunghi sulle spalle, attirandosi un’occhiataccia dal suo accompagnatore.
«Be’? Ti lamenti sempre che non ti porto mai da nessuna parte e adesso hai da ridire?»
«Sì, ma proprio al cimitero…»
«Ti ricordo che oggi è la ricorrenza dei defunti» la interrompe l’uomo, spazientito «quindi è nostro dovere farlo. Io voglio andare dai miei parenti!»
«Ma se molti di loro nemmeno li conoscevi, sono morti prima che nascessi!»
«Taci, donna…! Se devi aprire bocca solo per dire stronzate, è meglio che tu stia zitta!»
Un vero gentiluomo, costui.
«Siamo arrivati… via quei sorrisi ed entrate in modalità lutto. Sfregatevi una cipolla sotto gli occhi, o almeno cercate di fare una faccia triste!» esclama un ragazzo molto alto, con i capelli chiari, rivolto ai due che lo accompagnano.
Forte, la “modalità lutto”! Di tanto in tanto c’è qualcuno che riesce a essere divertente.
«Che tristezza, i cimiteri» osserva una ragazza tatuata e piena di piercing, parlando con un’amica «tutte queste tombe… si dovrebbe fare qualcosa per vivacizzare un po’ l’ambiente, non trovi?»
«Mi dispiace, non conosco barzellette da raccontare ai visitatori», bofonchio. Che gente…! Scrollo il capo e continuo a camminare per il vialone, tra l’indifferenza generale.
Gli abitanti di Velletri mi conoscono come Paolo Grandi, il misantropo e scontroso custode del cimitero, messo a lavorare qui dalla Giunta Comunale dopo avere scontato una condanna per furto con scasso. Un paradosso, visto che non sono mai stato capace di forzare nemmeno il lucchetto da bambola del diario segreto di mia sorella. La gente giudica il prossimo in base a quello che vede e che crede di sapere. Una salutare lezione di vita che non dimenticherò mai, tant’è che io stesso ho provveduto a spargere in giro la voce di questo immaginario passato da ladro e galeotto. Voglio che tutti mi lascino in pace ed è l’unico modo per vedere esaudito il mio desiderio.
Naturalmente, a causa dei miei presunti trascorsi, non sono simpatico a nessuno e vengo perciò evitato come la peste. A me non interessa, ho ottenuto il mio scopo. In ogni caso non ho bisogno di cercarmi la compagnia, tanto prima o poi vengono tutti qui in pianta stabile. Né mi metto a fare castelli in aria sui dolenti.
Di tutte le persone che vanno e vengono, soltanto alcuni visi mi sono familiari, mentre gli altri neppure li noto. E nel novero di chi reputo degno della mia considerazione hanno un posto di rilevanza quattro vedove, che vengono a portare i fiori ai mariti una volta alla settimana.
Notano tutto e tutti, al punto che sono tentato di assumerle come guardiani diurni. Espletato il loro compito, rimangono sedute su una panchina a chiacchierare. Potrei dirgli di farlo a casa loro, ma evito… non sarebbe giusto, non danno fastidio e non sporcano. La gente ha il diritto di venire al cimitero, se tiene un comportamento dignitoso e non irrita me.
«Ciao, capo!!!» mi saluta un sorridente uomo di colore, carico di fiori tutti i tipi, che rivende a un euro l’uno.
È un nigeriano di trent’anni che invece di tentare di vendere mutande e calzini a chiunque veda, ha avuto la geniale pensata di cambiare tipo di merce e fa sicuramente più affari dei suoi connazionali.
«Farò finta di non averti visto!», gli dico a mo’ di saluto, «Prima o poi mi farai litigare con i fiorai qui fuori!»
Non dovrebbe essere qui, ma non ho il coraggio di cacciarlo come avrebbe fatto il mio predecessore. Anche lui dovrà pur mangiare.
Sarà dura arrivare a oggi pomeriggio! penso con rassegnazione, iniziando a raccogliere le prime cartacce. Il cimitero non dovrebbe aprire così presto, il 2 novembre. La vista di tutti questi vivi, di prima mattina, mi traumatizza.
Stefano P –
la simpatica signora con la falce
Quel che più mi è piaciuto di questo romanzo è stata la vena ironica che lo ha sostenuto dall’inizio alla fine. La morte è (ahimè) una conclusione inevitabile per ogni vivente, tanto vale prenderla in simpatia.
Complimenti anche per le conoscenze sulle tecniche di sepoltura e sulle possibili differenti decomposizioni dei cadaveri.
Forse in certi passaggi la trama si perde un po’, ma personalmente ritengo che divagare sia un fatto positivo, purchè non diventi eccessivo. Un libro è come un viaggio, si parte e si arriva, ma in mezzo c’è tutto il resto, e la vera bellezza di un viaggio è il viaggio stesso, non il punto di arrivo.
Quindi: brava Eugenia.