Così a settembre

4,99

Formato: Epub, Kindle

Autore: Daniela Vasarri

Note sull’autore

COD: ISBN: 978-88-5539-133-7 Categoria: Tag:

Descrizione

Andrea e Marina, una coppia come tante, che si è sposata per amore. Poi, la quotidianità, la delusione di non essere riusciti ad avere figli, logora piano piano la loro relazione, tingendola di rassegnazione. L’amore, col tempo, cambia, perde colore come un vestito lavato troppe volte, diventa un gioco forse piacevole, ma privo di sorprese. Allora, il rischio di guardare al di là della coppia, verso altri partner, diventa effettivo. Si perde la fiducia nell’altro, si producono lacerazioni difficili da ricucire. Con l’abituale delicatezza e finezza, Daniela Vasarri analizza i rapporti di coppia e soprattutto le reazioni di una donna come Marina, narratore “inaffidabile” di questa storia.

Incipit

Ottobre. La vendemmia è terminata, ancora oggi il vino, frutto dell’ingegno dell’uomo grazie alla bontà della natura, rimane una raffinatezza che può donare gioia a chi sa centellinarlo, facendone argomento di conversazione modaiola, un fiore all’occhiello per stupire, per emergere, per arricchirsi, per conquistare. Per chi non sa cogliere il suo beneficio può rivelarsi un prolungato piacere con cui annientarsi. Ma anche un’amara consolazione.

 

«Sa cosa mi piacerebbe fare con lei, adesso? Aprire una bottiglia di buon vino, riempire due calici di quelli che ti imbarazzano nel tenerli tra le mani, che ti fanno sentire potente e…»

Rido per interrompere quel tentativo di seduzione mal riuscito. Come sono goffi gli uomini certe volte, e anche presuntuosi, se ci penso bene. S’illudono che siano sufficienti due stupide moine per attirarci a loro, giusto il tempo di vuotare un calice. Avrei potuto offendermi, risentirmi di tanta spregiudicatezza nel considerarmi la distrazione di un calice, ma ridendo ho accondisceso involontariamente. Ho prestato il fianco, rivelando una falla nella mia persona. Quella falla eri tu?

Il mio interlocutore non demorde, ha interpretato il mio sorriso come temevo, un assenso a sconfinare dal suo territorio di caccia. Che importa? Quel termine anglosassone, flirtare, è, oltre che adattissimo per il suo suono, innocuo, richiama un gioco insomma, il cui inizio è sconosciuto, come fosse un atteggiamento innato, naturale. Gli animali ce lo insegnano, senza troppe storie mettono in atto quanto è in loro potere per poter conquistare, circuire l’oggetto del loro desiderio. Esibizione di colori, suoni, muscoli ma, a differenza di noi umani, non si preoccupano se possano oppure no proporsi, incuranti delle conseguenze. In fondo è davvero un intrattenimento, forse il più intrigante da sempre, di certo ciò che resta, unico ricordo piacevole anche quando una storia finisce.

Si china a raccogliermi un foglio caduto dalla mia scrivania, ottimo espediente per avvicinarsi e mettersi nella condizione di farsi ringraziare.

“Accidenti!” penso ma lo ringrazio, vittima del mio istinto educato, facendo trapelare un impercettibile stupore per la sua gentilezza.

Mi accorgo che Anna, dall’ufficio di fronte, ha osservato la scena e ha di certo colto il mio attimo di défaillance. Da domani non smetterà di tenermi gli occhi puntati addosso quando lui si ripresenterà.

Il signor Corrado Stoppa non ci pensa nemmeno ad andarsene, ora che è riuscito a farmi arrossire (ma sarò poi arrossita o è solo una mia impressione?) ma io mi riprendo, come se uscissi da una di quelle vignette dei fotoromanzi, mi irrigidisco quel tanto che basta ad accampare una scusa con lui.

«Mi scusi, ma ora ho mille cose da sbrigare, al vino ci penseremo un’altra volta!»

No, non posso credere a me stessa, perché mai ho pronunciato quella frase, quale altra volta, quale vino? Ora davvero mi sento avvampare e non dipende da uno sbalzo della temperatura, vorrei riavvolgere il nastro di questa breve conversazione con lui, controllo se Anna mi abbia per caso sentita, (quanto siamo insicuri davanti al parere degli estranei) ma mi tranquillizzo vedendo che è al telefono. Meglio, almeno questa mia debolezza non la potrà usare per sogghignare tra sé e magari divulgarla tra i colleghi. Le persone ingrandiscono sempre quando addirittura non inventano storie. Infamare è una delle attività umane meglio riuscite, da sempre. Odio il pettegolezzo, è la parte cattiva del giudizio. Quello che fa rabbia è che non sono stata nemmeno sgarbata con lui accomiatandolo, e no, che cavolo, gli ho fatto una promessa implicita, come potrebbe sentirsi offeso? Vulnerabile, troppo vulnerabile, una stupida donna vulnerabile. Ecco quello che sono.

Cerco la concentrazione perduta, il lavoro è sempre stato l’elemento bilanciatore della mia vita, qui mi realizzo (a proposito, cosa significa sentirsi realizzata? Non è ancora il tempo per darsi risposte, che forse non verranno mai, né tantomeno la circostanza per ritrovare una motivazione a immergermi di nuovo tra le mie carte). Il resto della giornata vola, come se qualcuno avesse aperto questa grande finestra per fare entrare più aria possibile e portarsi via i minuti, le ore, e arrivare prima al momento del rientro a casa. Guardo l’orologio giù in strada in modo diverso, non sto rimuginando, come faccio di solito giunta a questo punto del percorso, a ciò che mi resta da fare tra le nostre pareti, le lancette mi sembrano cristallizzate, quasi avessero voluto fermarsi sulla giornata odierna. Una vetrina rimanda la mia figura, che intravedo di sfuggita.

“Non male” penso ma poi tiro dritto come se la mia immagine non mi appartenesse o non volessi crederle.

Un giovane uomo mi lancia un’occhiata, gli giro nervosamente le spalle, spazientita questa volta. Ma dentro di me avverto una sottile euforia. Uno strattone dell’autobus, che ha dovuto evitare un anziano in bicicletta perché ha mal calcolato la sua pedalata e ha attraversato l’incrocio, interrompe la mia leggerezza.

“Una frenata, ecco cosa mi ci vuole!” mi auguro.

Raccolgo confusamente dei buoni motivi per cancellare quei minuscoli e infidi spunti di tentazione ma, con mio grande disappunto, mi accorgo che non funziona.

 

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