Carlotta (c’è posta anche per me)

4,99

Formato: Epub, Kindle

Autore: Bruna Nizzola

Note sull’autore

COD: ISBN 978-88-6690-004-7 Categoria: Tag:

Descrizione

Carlotta, con i suoi tipici calzettoni e gonnella scozzese, con i suoi capelli “imprigionati in treccine infiocchettate di bianco o di rosa oppure tagliati corti da nervose sforbiciate” della nonna, con le sue “ginocchia ossute, spesso adorne di brutte crostacce” o con ferite sottoposte ad infettarsi, la quale, uscita dai terrori della guerra, trova subito un nuovo motivo di turbamento nella paura dell’interrogazione del professor Giulini “elegante, severo, ma giusto”: un insegnante d’altri tempi segnati dalle diete forzate per la misera razione personale prevista “dai tagliandi delle tessere annonarie che ignoravano vitamine, grassi, sali minerali e tante altre cosucce” e “infelicitati” dalla quotidiana “penitenza” delle nauseanti cucchiaiate d’olio di fegato di merluzzo, ritenuto “miracoloso”. E, su questo frizzante “incipit”, ecco innestarsi tutta una serie di accadimenti, situazioni, ricordi, passioni che hanno il potere di farci rivivere, dall’ intus un’epoca che sembra lontana anni luce, vissuta da una generazione che ha patito la guerra e che l’ha scavalcata rafforzata dentro e desiderosa di vivere una nuova esistenza di riscatto, capace di far dimenticare gli orrori che ogni conflitto reca inevitabilmente con sé. Bruna Nizzola sulla scansione di vicende lontane, avvalendosi anche di mezzi moderni quali la posta elettronica, poco concedendo all’alone mitizzante della memoria, in sordina, senza che ce ne accorgiamo, riesce a veicolare le sue convinzioni etiche ed esistenziali dettate dal buon senso di chi, giunto ad un’età in cui possibile e doveroso stilare un bilancio critico di un’epoca, nutre ancora la fervida speranza che certe situazioni non si verifichino mai più e cerca di portare la propria pietruzza all’edificazione di un’epoca più giusta e serena, se non proprio felice.

RECENSIONE

La poliedrica Bruna Nizzola, ottima pittrice, valida poetessa e scrittrice di vaglia, ci propone un altro volume, come “La ribollita”, di taglio personale e originale per strutturazione formale e capacità evocativa, in cui, attraverso e-mail e flashback illuminanti, riesce a ricostruire mirabilmente, sul filo nostalgico della memoria, facendone assaporare appieno le atmosfere, la storia di una vita che s’intreccia con altre esistenze e che si allarga poi a rappresentare, attraverso situazioni, avvenimenti, comportamenti personali, privati, uno “spaccato” della realtà di un’Italia minore, comune, che dalle angustie e dalle tragedie della II Guerra Mondiale si incammina fidente verso i nostri giorni. E le indubbie capacità affabulatorie di Bruna Nizzola, sulla scansione di un acuto, incisivo scavo interiore, psicologico, fanno sembrare verosimili, addirittura reali, vivi e palpitanti i personaggi del libro e soprattutto Carlotta, delineata e seguita con particolare cura e nostalgica simpatia nel suo percorso umano, evolutivo, fisico e psichico, dall’infanzia irta di difficoltà e tuttavia serena, intessuta di teneri sogni per quel leopardiano “vago avvenir che in mente aveva”, su fino alle amare disillusioni e alla caduta nei gorghi della disperazione, per poi riemergere e riapprodare ai lidi di una matura saggezza temprata dalle delusioni e dalle sofferenze. Una parabola esistenziale paradigmatica che conduce verso un ridimensionato ma ancor caldo “amor vitae”, “toto corde”, alla Violetta Parra: “Amo la vita che m’ha dato tanto, m’ha dato il riso e m’ha dato il pianto”, di stampo garboliano: “La gioia di vivere è la capacità di vedere il mondo nella sua malignità e nella sua sofferenza, ma anche di assolverlo. E dopo averlo assolto, di amarlo”.
Il tutto intriso del nostalgico piacere del ricordo mitigato talora da una sottile vena umoristica che non guasta ed esaltato dalla consueta verve narrativa “nizzoliana”, dal dichiarato piacere di raccontare e inventare storie con qualche connotazione personale secondo il flaubertiano “Madame Bovary c’est moi”, in un linguaggio flessibile, moderno, efficacissimo. E ciò senza la pretesa di voler impartire lezioni, mostrando, questo sì, tanta bonaria simpatia verso un’umanità semplice, talvolta anche un po’ “imbranata”, che si muove in atmosfere di altri tempi perfettamente ricreate nella mentalità, negli scrupoli (e negli approfitti) morali, nelle modeste aspettative: una “stagione” lontana ma ancora viva e palpitante nel cuore di Bruna. Il libro entra subito nel vivo con la presentazione della timida Carlotta, con i suoi tipici calzettoni e gonnella scozzese, con i suoi capelli “imprigionati in treccine infiocchettate di bianco o di rosa oppure tagliati corti da nervose sforbiciate” della nonna, con le sue “ginocchia ossute, spesso adorne di brutte crostacce” o con ferite sottoposte ad infettarsi, la quale, uscita dai terrori della guerra, trova subito un nuovo motivo di turbamento nella paura dell’interrogazione del professor Giulini “elegante, severo, ma giusto”: un insegnante d’altri tempi segnati dalle diete forzate per la misera razione personale prevista “dai tagliandi delle tessere annonarie che ignoravano vitamine, grassi, sali minerali e tante altre cosucce” e “infelicitati” dalla quotidiana “penitenza” delle nauseanti cucchiaiate d’olio di fegato di merluzzo, ritenuto “miracoloso”. E, su questo frizzante “incipit”, ecco innestarsi tutta una serie di accadimenti, situazioni, ricordi, passioni che hanno il potere di farci rivivere, dall’ intus un’epoca che sembra lontana anni luce, vissuta da una generazione che ha patito la guerra e che l’ha scavalcata rafforzata dentro e desiderosa di vivere una nuova esistenza di riscatto, capace di far dimenticare gli orrori che ogni conflitto reca inevitabilmente con sé. Bruna Nizzola sulla scansione di vicende lontane, avvalendosi anche di mezzi moderni quali la posta elettronica, poco concedendo all’alone mitizzante della memoria, in sordina, senza che ce ne accorgiamo, riesce a veicolare le sue convinzioni etiche ed esistenziali dettate dal buon senso di chi, giunto ad un’età in cui possibile e doveroso stilare un bilancio critico di un’epoca, nutre ancora la fervida speranza che certe situazioni non si verifichino mai più e cerca di portare la propria pietruzza all’edificazione di un’epoca più giusta e serena, se non proprio felice.

Viareggio, agosto  2007                  MANRICO TESTI

INCIPIT

Il vuoto
inabitato
che occupammo
e che attende
fin ch’è tempo
di colmarsi di noi
di ritrovarci…

Eugenio Montale

Date…
To…
From…
Subject…

Cara Carlotta, ben trovata, da…un mezzo secolo all’altro. Credo di ricordarmi la tua fisionomia, ma un po’ di confusione in testa ce l’ho: capelli lisci o riccioli? Mah! Avevi gli occhi azzurri? E un maglione grigio azzurro con il collo, come si dice, rivoltato, arrotolato? Cos’altro?
Rosa, rosae, rosae, rosam… Ce l’insegnava il professor Giulini, elegante, severo ma giusto…

Eccome! Severo, molto severo!
Lei ne aveva una paura matta.
Era anche colpa sua, di quel “profe” dal tono tranquillo, senza picchi fastidiosi di voce, ma sempre così serio, così irriducibile nelle affermazioni e nei giudizi che lei, al risveglio, quando s’annunciava la nuova giornata di scuola,
quindi un nuovo incontro con lui, chiamava disperata:
“Nonna, tremo!”
“Ma come tremi? Io non vedo niente!”
“Tremo dentro!”
“Ma va là, sciocchina! Cosa vuoi tremare!
La guerra è finita!”
Sì, era appena appena finita e con essa la grande paura, quella che arpionava lo stomaco al suono delle sirene, al rombo delle fortezze volanti, al fragore delle esplosioni e faceva tremare il corpo: dentro e fuori.
Qualcosa era rimasto di tutto quel terrore nella timida Carlotta che, veramente, sentiva salire dalla pancia un brivido irrefrenabile.
E saliva, su fino alla gola e le impediva di respirare e le faceva venire una gran voglia di piangere, di rintanarsi sotto le coperte a succhiarsi freneticamente il pollice.
Quel povero pollice usurato da prolungate ciucciate consolatorie che ne avrebbero per sempre ridotto le dimensioni rispetto al dito gemello e in più, spostando di brutto l’arcata dentaria, avrebbero creato nella bocca della bimba un effetto castorino, simpatico, ma per nulla gradito ai numerosi dentisti che si sarebbero avvicendati nella cura dei suoi denti, rimasti fragili.
“Te lo ciucciavi il dito, eh?”
Sì, ma non era colpa solo del ciucciare!
C’era stato quello strano latte, fatto di chissà cosa, che ingrumava tutto il fondo del bollitore e che il calcio non sapeva cosa fosse.
C’era stata quella dieta assolutamente controllata dai tagliandi delle tessere annonarie che ignoravano vitamine, grassi, sali minerali e tante altre cosucce, dimenticati “optional” per l’allevamento di balilla e piccole italiane nutriti invece, abbondantemente, di patrio furore.
C’era stata la fiducia assoluta che il tutto fosse rimediabile con nauseanti cucchiaiate d’olio di fegato di merluzzo.
Non tutti i bambini l’avevano avuto.
Carlotta, una dei privilegiati, non vista, versava spesso la sua dose quotidiana nel vaso di una pianta verde che, dopo un breve periodo di anomalo rigoglio, era intristita improvvisamente, ripiegando su se stessa con le foglie ingiallite e tutte accartocciate.
“Ma cosa sarà stato?” s’interrogava la nonna, mentre gettava pianta e vaso nelle spazzature.
Poi lasciava perdere, impegnandosi invece ad ingozzare la nipotina di pane e latte, buono questa volta!
“Mangia, su. Guarda qui, che stecchi di gambe. Fanno senso. Per forza ti senti tremare!”

Carlotta, Carlotta! Stupida Carlotta!
Che ti credevi?
Che ci fosse sempre, per le tue paure, per i tuoi tremiti “dentro e fuori”, il conforto di una tazza di latte tiepido e della tenera voce di una nonna?
“O nonna, o nonna! Deh com’era bella Quand’ero bimbo…”
Nella vita non succede. Non succede proprio che continui a lungo il tempo delle novelle.
E per alcuni finisce anche prima.

Com’era Carlotta, cinquant’anni avanti di ricevere l’interessante e-mail?

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