Miss Miami

4,99

Formato: Epub, Kindle

Autore: Silvia Colombini

Note sull’autore

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Descrizione

In viaggio lungo l’Adriatico verso il concorso di bellezza Miss Miami, Zac Panzetta si trova a trasportare, oltre a due aspiranti Miss, un giovane in fuga e una borsa piena di soldi. Tra delinquenti pericolosi e ragazze coraggiose, sulla passerella di Miss Miami sfila un mondo di violenza, speranze e desiderio di riscatto. Alla ricerca della propria identità, affettiva e sessuale, i personaggi si inseguono tra le onde di un mare d’avventure dove ci si domanda: ma tu, mi ami?

INCIPIT1

On the road again

«Cinque anni di scopate e neanche un orgasmo? Ma stiamo scherzando, Annagiulia?»

Isotta è così alterata che il mascara le cade di mano. Certo, lo specchio nella toilette della stazione di servizio non è l’ideale per rifarsi il trucco, soprattutto alle due di notte, ma tre ore di viaggio sul pulmino di Zac Panzetta l’hanno ridotta male, e ora ci mancavano anche le confidenze della sua amica. Già, perché si conoscono solo da una settimana, ma si considerano ormai sorelle. Del tipo che è come se fossero cresciute insieme, anche se Isotta è un’orfana adottata da una coppia di infermieri e Annagiulia la figlia unica di una famiglia altoborghese. Ora, anche se la scelta che ha condotto entrambe a partecipare e vincere le qualificazioni per il concorso di Miss Miami proviene da motivi differenti, si sono unite nell’obiettivo di salire sul podio, almeno una delle due, e di dividere il premio di centomila euro. Al vecchio Zac, dopo anni di sottobosco nel mondo dello spettacolo, non poteva andare meglio: due fanciulle bellissime, beneducate, gentili. Chi poteva immaginare che quella serata, organizzata un po’ per disperazione al Clandestino, il ristorante più chic della Riviera del Conero, avesse in serbo creature del genere? Isotta adesso, però, non è molto gentile con la sua nuova amica.

«E scommetto che lui, il principe Gianrico, quel gran coglione, non se n’è mai accorto, vero?»

Annagiulia annuisce, i grandi occhi verdi spalancati sull’abisso della propria vita, così bionda naturale, così perfetta e così anorgasmica.

«A dire il vero, forse una volta sono venuta, ma lui era già andato in bagno a lavarsi.»

«Fantastico, quindi il tuo unico orgasmo con Gianrico è successo quando Gianrico non c’era? E tu stai per sposarti con lui? Uno che ti ha concesso, e sono parole sue, di partecipare a questo concorso di bellezza del cazzo, così poi ti sei tolta tutti i grilli dalla tua testolina e niente carriera, che di avvocati in casa ce n’è già uno?»

Per la prima volta da quando sono entrate in bagno, Annagiulia sorride.

«Già, peccato che io il concorso per l’abilitazione l’abbia già vinto, mentre lui è stato bocciato due volte.»

Isotta le si avvicina e l’abbraccia.

«Tesoro, guarda che un letto non è mica un tribunale. I giudici non ci mettono piede, sotto le tue lenzuola, e non ci sono sentenze. Semmai, dovrebbero esserci sospiri e…»

Isotta si interrompe all’improvviso. Nella toilette è echeggiato un “ohhhh”.

«Mi prendi in giro, Annagiulia? Dico sospiri e mi fai il verso?»

«Guarda che non ho aperto bocca. E ho sentito anch’io quel rumore. Eccolo ancora.»

Di nuovo, un ohhhh più prolungato. Isotta, che con quello che ha passato all’orfanotrofio non si spaventa di niente, prende in mano la borsa pronta a usarla come un’arma.

«Ehi, chi c’è? Guarda che siamo in due e non abbiamo paura. Vieni fuori, sospirone.»

Il verso, adesso, è più un mugolio, quasi un lamento. Isotta, da brava infermiera, riconosce il suono della sofferenza.

«Cazzo, questo mi sa che non è un maniaco, qui c’è qualcuno che sta male. Coprimi le spalle, che ispeziono i bagni.»

Di notte, nelle aree di servizio, sembra di essere dentro un quadro di Hopper, con quelle solitudini illuminate di un blu che rende tutto più triste, cuori come terre desolate, non un barlume di speranza. Solo un eterno senso di attesa e timore, tipico dei luoghi dove si transita diretti da un’altra parte. Ecco, Isotta forse non conosceva Hopper, ma Annagiulia aveva appena visto una mostra al Tate (un fine settimana organizzato dai suoi per portare “i ragazzi”, lei e Gianrico, a vedere alcuni negozi dove trovare ispirazione per arredare la loro futura casa) e adesso si vede riflessa in quegli specchi un po’ unti come la protagonista di Automat. Dentro una tavola calda, mezza buia, seduta ad aspettare un destino che, ne è certa, non sarebbe stato benigno.

«Senti Isotta, Zac si starà innervosendo, secondo me è meglio se torniamo al parcheggio e ce ne andiamo prima che…»

Isotta ha aperto l’ultima porta. A terra, in una pozza di sangue, c’è un ragazzo semisvenuto che continua a mugolare. I vestiti laceri, la testa appoggiata su una sacca con la scritta Polisportiva Torello, con una mano tampona la spalla che sanguina.

«Oh Santa Maria Vergine, lo dicevo io che non era un sospiro. Porca puttana, vieni, dammi la tua sciarpa, subito.»

Annagiulia si porta le mani al collo.

«Non è una sciarpa, è un foulard di Hermès e apparteneva a mia nonna.»

«Bene, tua nonna ne sarà lieta, visto che è morta. Forza ragazza, e portami la mia borsa, quella borraccetta d’acqua che ti trascini sempre dietro e tutta la carta igienica che riesci a trovare.»

«Non sarebbe meglio chiamare il barista, un’ambulanza, la polizia…»

A quelle parole, il ragazzo apre gli occhi.

«No, vi prego, quelli mi uccideranno, portatemi con voi, io non ho fatto niente, ve lo giuro.»

Isotta strappa il foulard dal collo dell’amica e si inginocchia vicino al ferito. Con delicatezza, gli scopre la ferita.

«Adesso fai il bravo bambino e mettiti tranquillo. Sono un’infermiera, fammi dare un’occhiata, per fortuna non mi sembra così grave, anche se di sangue ne hai perso un bel po’. Intanto, però, ci racconti quello che è successo, così poi io e la mia amica decidiamo cosa fare di te.»

Il ragazzo, rincuorato dalle parole di Isotta, si appoggia alla parete.

«Mi chiamo Salvatore e sono scappato di casa, ma i miei non l’hanno presa bene.»

Annagiulia consegna all’amica tutto il necessario e scoppia a ridere.

«Direi… come reazione mi sembra un po’ eccessiva, ti hanno sparato addosso!»

«Non sono stati loro a sparare, e comunque è una ferita superficiale, vero?»

Isotta ha preso dalla sua borsa il kit da Pronto Soccorso e sta pulendo la ferita. Tutti la prendono in giro, ma lei non può uscire senza il necessario per un pronto intervento e senza il suo amato coltellino svizzero perché, come le ha insegnato suor Emma dell’orfanotrofio, nella vita non si sa mai: chi l’avrebbe mai detto che qualcuno avrebbe potuto rinunciare a una bambina come te? Ecco, quando ti crescono con queste parole, l’imprevisto diventa una certezza.

«Sì, però hai bisogno di cure, dolcezza. Questo ti brucerà un po’, ma è niente in confronto a quello che ti faremo se non ci dici tutto. Quando avrò finito di medicarti la spalla, decideremo cosa fare di te. Avanti, che non abbiamo tanto tempo.»

Salvatore si toglie i capelli neri dal viso e solo adesso le ragazze si accorgono di quanto sia bello. Lunghi occhi blu mediorientali, bocca morbida da femmina, il naso appoggiato quasi per sbaglio su un ovale perfetto segnato da due zigomi che, di sicuro, quando sarà vecchio impediranno alla sua faccia di crollare sotto il tritasassi del tempo. Si morde le labbra quando il disinfettante si sparge sulla ferita, e comincia a raccontare.

«Ho 19 anni e vengo da Crotone. La mia famiglia, i Mazzaferro, è una delle più in vista della città. Un po’ per quello, e forse anche perché sono figlio unico, non l’hanno presa proprio bene quando gli ho detto che sono gay. Così, dopo una lite furibonda, ho deciso di andarmene. Quando se ne sono accorti, mio padre ha mandato due dei suoi dipendenti a cercarmi e quelli si sono lasciati prendere un po’ la mano, ma io sono riuscito a scappare e a nascondermi qua. L’unica cosa che non gli perdonerò mai è che mi hanno rotto la felpa di Balmain, quei due gorilla.»

Annagiulia si inginocchia fino a trovarsi faccia a faccia con il giovane ferito.

«Per prima cosa, quella felpa è proprio da grezzi, niente a che vedere con il foulard di Hermès che ti ho ceduto per fermare il sangue e che, temo, nessuna lavanderia riuscirà mai più a smacchiare. Quindi, la felpa non è un problema. Seconda cosa, qui sei tra figli unici, anche se nel caso di Isotta, che è stata adottata, potrebbe esserci qualche fratello sorella sparso nel mondo ma non vale, quindi anche questo non è un problema. E pur tenendo conto che una famiglia tradizionale del Sud possa avere qualche difficoltà nell’accettare l’omosessualità, caro Salvatore, mi sembra molto strano che tuo padre e tua madre mandino qualcuno armato e lo autorizzino a spararti. Ecco, questo è un problema, e te lo dico da avvocato. Nessuna giuria ci crederebbe mai, perché dovremmo farlo noi due? Ci hai prese per deficienti?»

Isotta stringe forte la garza intorno alla ferita a sottolineare le parole dell’amica, strappando un urlo a Salvatore. Di fronte a lui, adesso, le due ragazze a braccia conserte aspettano il resto della storia.

«Okkeiokkei, e comunque mia madre non c’entra niente. È stato lui, babbo Vincenzo. Passi di avere un figlio recchione, ma quando ha scoperto che aveva anche un buco nella cassaforte… beh, i soldi sosssoldi.»

Annagiulia guarda l’amica soddisfatta.

«Visto Isotta? Cosa avevo detto? Sono un cazzo di genio della giurisprudenza. E… di quanti sossoldi parliamo?»

Salvatore prende la sacca della Polisportiva Torello e la apre.

«Oh porca di quella vacca.»

Isotta non crede ai suoi occhi: un mucchio di denaro così neanche nei film di Tarantino l’ha visto. Salvatore sorride.

«Già, 800mila euro fanno un certo effetto, vero? Ti puoi immaginare il vecchio quando se n’è accorto. Cazzo, quanto avrei voluto esserci.»

«Senti ragazzo, sei anche simpatico, ma mi dispiace. Troppi soldi, troppe pistole, e troppa Calabria. Adesso che la mia amica qua, la reginetta delle infermiere, ti ha rimesso in sesto, ti salutiamo che fuori c’è il nostro capo che ci sta aspettando e abbiamo una certa fretta. È stato un piacere, tante buone cose, ma…»

Annagiulia è già in piedi. È ancora fresco l’anno di pratica da penalista, al quale ha dovuto rinunciare per fare l’assistente nello studio di suo zio, solo cause amministrative “più redditizie e poi non ti mischi con i pezzenti” aveva detto suo padre. Nonostante la scarsa esperienza, però, conosce la legge e sa che basta poco per essere considerate complici.

Isotta la ferma.

«Ma cosa dici? Non è in condizioni di andare da nessuna parte. E poi, ammesso che tu abbia ragione, gli scagnozzi di suo padre devono essere qui intorno. La ferita è fresca e, comunque, ha perso troppo sangue. Io dico di portarlo con noi.»

Isotta è così agitata che scuote tutti i suoi ricci (certo che qualcuno dei tuoi genitori doveva essere un africano vero, diceva la solita suor Emma quando cercava di pettinarla che poi, a chiamarsi come la Bovary, rifletteva Isotta da adolescente, per forza poi te la prendi con le donne libere anche di abbandonare i figli, eccheccazzo).

Stallo messicano. Salvatore si gira osservando prima l’una poi l’altra ragazza, che si fronteggiano a muso duro. Prova ad alzarsi in piedi, ma è così debole che ricade a terra.

Isotta si china subito a soccorrerlo.

«Ecco, visto? Lo vuoi avere sulla coscienza? Me li vedo già i post: “Reginette di bellezza senza cuore!!!”. Adesso si fa come dico io. Lasciamo i soldi, prendiamo il ragazzo e lo portiamo da Zac. In fondo, è un brav’uomo, saprà cosa fare. Vedrai, importante è che ci togliamo di qua subito, senza lasciare tracce, poi decideremo il da farsi.»

In ginocchio, comincia subito a pulire con la carta igienica le piastrelle sporche di sangue, poi butta tutto nel water e tira lo sciacquone. Annagiulia è ormai rassegnata: ha imparato che quando la sua amica si fissa, non c’è niente da fare.

«Comunque che sia chiaro: come avvocato non sono d’accordo. Come reginetta di bellezza, beh, non vogliamo tutte la pace nel mondo? Ma Zac… non penso che accetterà di buon grado una zavorra verso il suo traguardo. Miss Miami è tra due giorni. Credo che dovremo escogitare un trucchetto. Intanto tu, ragazzino, appoggiati a me che Isotta ha ragione: è ora di mettersi in marcia.»

Con una certa riluttanza, aiuta Salvatore a rimettersi in piedi, ma lui la ferma.

«Senza i miei soldi io non mi muovo. Me li sono guadagnati: diciannove anni di recite, di finzioni, di omertà anche riguardo le attività del caro paparino, che come immaginate non è che siano proprio oneste. E poi, scusate, ma questo Zac… magari potrebbe essere più disponibile se gli diamo una mancia, no? E anche voi due: mi avete salvato la vita e voglio ricompensarvi. Sono un mucchio di soldi, cazzo. E mio padre in un attimo li avrà già ripresi con i suoi affari.»

Isotta si guarda intorno: il bagno è perfetto. Prende la borsa con i soldi e sorride.

«Salvatore, sarai anche gay, ma non sei stupido. Ora appoggiati a me. Mentre Annagiulia, che è lei e scusa ma le presentazioni ufficiali le rimandiamo, distrae il nostro caro Zac, io e te ci intruppiamo dietro al pulmino e tu stai nascosto zitto e muto. Adesso andiamocene, e svelti. Quando saremo arrivati al motel, tra un po’ di chilometri, ne riparliamo, ok?»

Un ultimo sguardo intorno, e i tre si mettono in marcia. Il ragazzo si appoggia alla maniglia della porta del bagno e non si accorge che il braccialetto di San Dionigi, regalo della prima comunione, patrono di Crotone e suo personale protettore, si strappa e scivola silenzioso dietro alla tazza del water. C’è da dire che quando un portafortuna vuole cambiare carriera, è dura impedirlo. Così, senza lasciare tracce apparenti, i tre escono. Il barista, che a tempo perso è anche benzinaio, sta cercando di rimorchiare su Tinder. Non li degna di uno sguardo.

Sono già dieci minuti che Zac Panzetta aspetta e sta perdendo la pazienza, anche se è abituato a lavorare con le donne e sa bene che, con loro, 2 più 2 può dare risultati fantasiosi. Quelle ragazze, però, sono di un’altra categoria, non sembrano neanche femmine da tanto sono razionali. Saranno in bagno, magari una delle due sta poco bene. Sicuro che è quell’Annagiulia che sembra più delicata, mentre l’altra, che telaio, un’infermeria purosangue, e si sa, in certe situazioni è sempre utile avere qualcuno tipo dottore a bordo. È passata già una settimana dalla serata al Clandestino, e ancora non ci può credere. Beniamino, proprietario del rinomato ristorante sul mare, amico da quando riuscivano a inseguire un pallone sui campi da calcio senza fatica, non era così contento della sua proposta, ma alla fine, in nome dei vecchi tempi, aveva accettato. Già, perché Ezechiele Panerai, conosciuto nel mondo dello showbiz come Zac Panzetta, non se la passava mica bene. Dopo aver piazzato ben otto delle sue fanciulle alle finali di Miss Italia, organizzato eventi lungo tutto l’Adriatico, Croazia compresa, a sessant’anni aveva più debiti che bei ricordi. Ora, quella era la sua ultima occasione. Miss Miami, concorso nazionale, finale sulla nave da crociera BluDelfina ormeggiata al largo di Rimini, un transatlantico extra lusso 6 ristoranti piscine esterne e interne con tetto mobile, centro benessere e fitness, centomila euro più la corona alla vincitrice, e per lui un bonus di trentamila con la coda. Sponsor, serate, trasmissioni televisive e il viaggio premio, manco dirlo, a Miami. South Beach, aspettami, gridava in silenzio il vecchio Zac. L’organizzazione era a corto di ragazze e l’aveva contattato all’ultimo minuto: ne bastavano due o tre e per lui, comunque, un piccolo compenso era assicurato. Così Zac aveva improvvisato un piccolo palco fuori, sulla spiaggia, e durante la cena, mentre i camerieri bianco vestiti sussurravano un menù poesia di capesantucce polentina lasagnetta acetosella, tutto un florilegio evocativo di un’infanzia perduta, lui, con microfono e smoking, era andato in scena. Ben vestito, nonostante l’età faceva ancora la sua figura. Il naso aquilino – anche se non aveva mai messo piede in sinagoga al cimitero di Ancona nel Parco del Cardeto giacevano i suoi avi – folti capelli bianchi da direttore d’orchestra, spalle larghe e gambe forti da portiere, Panzetta aveva invitato le fanciulle presenti a salire sul palco per le selezioni.

I ricchi si annoiano, si sa, e il diversivo aveva funzionato. Ridacchiando e ancheggiando sui ciottoli bianchi che rendono la baia di Portonovo un incanto, ne erano arrivate una decina e, tra loro, le due inviate dagli dei. Annagiulia era lì per l’anniversario di fidanzamento, i famosi cinque anni senza orgasmi, e quando il suo Gianrico, senza inginocchiarsi perché poi i pantaloni si rovinano, le aveva infilato un solitario da tre carati che, guarda certe volte l’intelligenza degli oggetti, non ne voleva sapere di entrare all’anulare della mano destra, non aveva detto Sì ti sposo. Per la prima volta in tutti i suoi 23 anni di vita, si era alzata da tavola senza permesso ed era salita sul palco. Isotta, invece, aveva invitato i suoi adorati genitori a cena in quel ristorante elegante, molto al di sopra delle loro possibilità, per festeggiare l’assunzione alla Clinica Privata Villa Regina di Osimo: infermiera di reparto a tempo indeterminato, finalmente. “Gentili signore presenti in sala, è un’occasione unica che vi cambierà la vita: solo per questa sera al Clandestino le selezioni di Miss Miami. Forza, chi è la più bella del reame?”. Quel richiamo era parso irresistibile a entrambe. Per Annagiulia, qualsiasi via di fuga era ben accetta e Isotta voleva riscattare il mutuo dei suoi. Non c’era gara con le altre, e le alzate di mano avevano decretato ufficialmente le due vincitrici. Il tempo di revisionare il suo Dodge, vinto a poker, che dopo 15 anni e duecentomila chilometri era ancora in gran forma, terminare le pratiche burocratiche (iscrizioni, foto, misure, prenotazioni hotel), permettere alle ragazze di organizzarsi e via. On the road again.

«Allora Zac, tra il Daytona Albino e il Paul Newman quale preferisci?»

Annagiulia accende l’Iqos, (Sì, ho smesso di fumare le sigarette, ma mi sparo due pacchetti di queste parodie di paglia) e sorride. Non saprà molte cose degli uomini, ma una la sa: tira fuori un Rolex e avrai tutta la loro attenzione. Si appoggia al pulmino e mostra a Zac il suo polso: l’Ovetto che il suo adorato nonno materno le ha dato prima di morire. Carica manuale, cinturino in coccodrillo (viva gli animali, ma il nonno è il nonno), sarà solo un oggetto, però ormai batte al ritmo del suo cuore. Zac si avvicina per osservare meglio quella meraviglia di meccanica e arte. Non si accorge di Isotta che, dall’altra parte, apre la portiera posteriore, carica Salvatore con la sua sacca della Polisportiva Torello e lo nasconde sotto cuscini, giacche e sacchetti di vettovaglie.

«Bimba, l’Oyster è sempre l’Oyster, e questo è di gran classe, lasciatelo dire, ma ti prometto che noi vinciamo Miss Miami e io mi compro un Daytona. Uno qualsiasi va bene per il vecchio Zac. Che poi, guarda caso, Daytona sta proprio a uno sputacchio da Miami e quando siamo là, perché ti prometto che noi tre ci andremo a Miami, noleggiamo un altro Dodge che con quelli non si sbaglia e ci facciamo tutta la dannata costa della Florida fino a Daytona Beach. Che lì una corsa c’è sempre. E andarci con un Rolex al polso fa la differenza, ti cambia anche il senso del tempo, ogni volta che lo guardi è come vedere un tramonto su mare, come la sigaretta nell’angolo del pacchetto che credevi finito, come…»

«Come una bella ragazza con i ricci che si stanno smosciando a forza di sentire queste idiozie. Rolex, spiagge, Miami: se dobbiamo sognare, tanto vale farlo a letto. Non c’è una camera che ci aspetta?»

Con un sorriso spaccasassi, di quelli che risvegliano anche il Papa, Isotta scuote la testa e, mentre Zac sale al posto di guida, fa l’occhiolino all’amica che si sistema di fianco a lui. E, con un bagaglio ingombrante addormentato dietro, il pulmino si avvia nella notte stellata. Stellata, non proprio, nella notte e basta.

«Scusate, ma io qui non ci entro. Sembra quel film, quello con il tipo magro e con gli occhi da matto che si traveste da vecchia, che poi la vecchia è sua madre, ciacciacciac il coltello sotto la doccia, dai avete presente…»

Isotta è inchiodata sul sedile posteriore. Panzetta le consegna la chiave della stanza.

«Senti tesoro, se vuoi dormire in macchina per me non c’è problema. Io sto due numeri dopo di voi, adesso vado a farmi preparare da mangiare e ve lo porto. E comunque qui di psyco ci sei solo tu. Il motel mi è costato caro e credo sia meglio un materasso del sedile di una Dodge, anche se su quei sedili, una volta… ma lasciamo perdere. A più tardi, ragazze.»

Appena Zac si allontana, le due reginette di bellezza prendono i bagagli, Salvatore compreso, e si chiudono in stanza. Un letto matrimoniale, bagno, televisore, frigo bar, subito aperto da Salvatore che ingurgita due bottigliette mignon di Fernet Branca.

Il motel, in puro stile Sunset Boulevard, è davvero sul viale del tramonto. Tappezzerie sbiadite accartocciate dalle prime rughe, moquette con il colore dell’umidità, quadri dai paesaggi deprimenti: se uno avesse intenzione di suicidarsi, certo lì dentro non cambierebbe idea.

«Niente carta igienica nel bagno. L’acqua del rubinetto odora di merluzzo…» Annagiulia osserva disgustata le lenzuola «… e non ho ancora ispezionato il letto. Se Gianrico sa che sono stata contaminata dalla miseria, mi porta a disinfestarmi da Cartier.»

«Bene, che ci porti anche il suo uccello, a giudicare da come lo usa sarà affetto da qualche parassita invalidante.» Isotta fa l’occhiolino alla sua amica. «L’unica cosa importante adesso è dove nascondiamo Salvatore? Zac sarà di ritorno a minuti.»

«Sì, hai ragione, dobbiamo almeno passare la notte. Dentro la doccia secondo me ci sta. Salvatore… oh cazzo.»

Svenuto sul pavimento, il ragazzo è ancora più bello.

«Ma questa è solo acqua.» Panzetta, in tuta Adidas da malavitoso russo e ciabatte da piscina, sta aspettando che Masar, factotum indiano del motel dalla flemma britannica, gli prepari tre panini. Una mancia e due bestemmie l’hanno convinto ad alzarsi dalla poltrona dove era immerso in un sogno di curry e sete cangianti, ma non sono riuscite a procacciare dell’alcol.

«Ti ho chiesto da bere, non ho detto che avevo sete. Comunque, immagino sia fuori questione farti comprendere queste sottigliezze linguistiche da etilista. Mi restano le sigarette. Mentre finisci di preparare, amico Sandokan, me ne fumo una qua fuori.»

Masar ha un contratto a tempo indeterminato, moglie, quattro figli e un mutuo. Una mancia fa sempre comodo, e non ha voglia di litigare con quello strano tipo dal naso a becco. Alla fine, gli è anche simpatico e per questo ha messo a scaldare le piadine surgelate e le sta riempiendo con più mortadella del solito. Fuori, Panzetta annusa l’aria familiare dell’Adriatico. Ha programmato quella fermata non solo per far riposare le ragazze. Lì, nelle vicinanze, c’è un outlet e lui conosce il proprietario: una volta gli ha organizzato una sfilata che è finita in rissa, ma sono rimasti in buoni rapporti. Con la promessa che i suoi vestiti sarebbero stati indossati dalla futura Miss Miami, Zac è riuscito a strappargli qualche abito in omaggio, una sorta di sponsorizzazione, e Dio solo sa quanto ne ha bisogno. Ormai i suoi risparmi sono svaniti. Ha investito tutto in quel viaggio e adesso che la destinazione si avvicina ha un po’ di paura, e la paura è una brutta bestia. Per questo l’ha sempre evitata e ha puntato tutto sulla bellezza. Il vecchio Freud direbbe che è a causa di sua madre, giovane vedova bella da togliere il fiato, ma così innamorata di se stessa da dedicare più sguardi allo specchio e ai numerosi amanti che a suo figlio. A Zac piace pensare che, invece, lui in fondo ha un cuore d’artista, rimasto un po’ bambino. Come dicono le favole? Specchio specchio delle mie brame, chi è la più bella del reame? Sant’Agostino dice che come l’amore cresce dentro di te, così cresce la bellezza. Perché l’amore è la bellezza dell’anima. Ma quanta verità conoscono i santi? Dove è la bellezza nei luoghi che hanno visitato, vissuto, amato? Forse un santo non conosce quella bellezza perduta e ritrovata, fatta di sbagli e brutture, di errori incancellabili e di cadute, che in fondo anche gli angeli, no, di scivolate lungo la via ne hanno fatte tante. Proprio come Zac. Senza, per questo, perdere quel fulgore di farfalla capace di cambiare e di adattarsi allo specchio che avevano davanti. Che, forse, vale di più la sua opinione, muta e veritiera, di quelle litanie che invece, vengono ripetute all’infinito dalle voci intorno. Come sei bella, quanto sei bello, tutto sua madre, tutto suo padre, quasi che la somiglianza a qualcun altro bastasse, di per sé, a ricoprire d’oro anche la merda, o un frutto banale come una mela gettata sul tavolo con noncuranza. Come quella con inciso “Alla più bella” con cui Paride, attribuendola alla dea Afrodite, che gli aveva promesso Elena, la donna più bella del creato, causò la lunga, lunghissima guerra di Troia. Che poi, di questo siamo fatti tutti. Merda e cibo. Materiale deperibile e reperibile ovunque nel mondo, niente di così prezioso da gridare al miracolo, niente che non si trovi dietro l’angolo o nel buio del bar più malfamato di Miami. Anche se Miami – il nome deriva da quello dell’antica tribù di indiani che nel suo territorio si stabilirono per primi – è cresciuta come un fiore che della bellezza ha fatto la sua fortuna. Miami, nella lingua italiana quasi una richiesta di conferme (Mi ami? Do you love me?), quella richiesta che sempre viene reiterata nello specchio, e nello sguardo di chi desideriamo. Miami, terra di frontiera, terra che Zac Panzetta adesso è pronto a conquistare.

«Toc toc aprite, Cappuccetti Rossi, che il vostro lupo Ezechiele vi ha portato il cestino con la merenda.»

«Un attimo Zac, che siamo in déshabillé.» Annagiulia prende tempo mentre Isotta sta trascinando Salvatore, ancora mezzo intontito, verso il bagno.

«Tesoro, bisogna che ti abitui, visto che tra qualche giorno dovrai sfilare discinta davanti a migliaia di persone: Miss Miami è programmata anche sulle reti nazionali. In tarda serata, certo, ma sai quanta gente soffre d’insonnia? Forza, apri che ho fame.»

«Sì sì, un minutino e ci siamo. Ecco.»

Annagiulia spalanca un sorriso, socchiude la porta e resta ferma sulla soglia. Zac, dopo un attimo di esitazione, entra nella stanza. Appoggiata alla porta del bagno, Isotta si guarda le unghie: c’è rimasto qualche grumo di sangue. Mette le mani nelle tasche dei pantaloncini jeans (la sua divisa quando non indossa il camice bianco: anche se suor Emma le diceva che aveva le gambe troppo lunghe per andare lontano, a lei piace farle vedere, le sue gambe lunghe), si siede sul letto e orrore: sopra le lenzuola troneggia la sacca della Polisportiva Torello. Non fa in tempo a prenderla che le mani di Zac l’hanno già afferrata.

«E questa che roba è? I vostri bagagli sono lì, me li ricordo bene, sono i due trolley sexy di Hello Kitty che vi ho rimediato io. Scommetto che quell’indiano non ha neanche rifatto le camere… adesso mi sente.»

Come in quelle scene al rallentatore, di solito c’è il deserto intorno quindi siamo tipo in Iraq, dove i soldati americani si buttano sul terrorista che blatera Allah Akbar e sta per far scattare il detonatore, le due ragazze si muovono per fermare Panzetta. Ma lui, senza pietà, afferra la linguetta della cerniera e tira. BUUUM. Silenzio. Gli 800mila euro brillano sotto la luce del Golfo Persico e non ci sono superstiti.

Annagiulia e Isotta si accasciano a terra. Zac guarda il denaro, le ragazze, poi il denaro.

«Credo che vuoi due mi dobbiate delle spiegazioni» dice con un filo di voce.

Isotta fa per parlare, ma si apre la porta del bagno e Salvatore, un braccio insanguinato e lo sguardo febbricitante, fa il suo ingresso.

«Mi chiamo Salvatore e, se mi vuole ascoltare, posso spiegarle tutto io.»