Descrizione
Di tango e vele, ambientato tra Milano, Torino e la Liguria del giorno d’oggi, ha come protagonisti donne e uomini in carriera che non esitano a credere nell’amore con lo stesso entusiasmo di un adolescente. L’amore è intrecciato a doppio filo al tradimento, e la storia racconta di seconde possibilità e nuovi inizi, di disperazione per amori conclusi e di gioia per altri appena sbocciati, di cuori spezzati, relazioni fallite e di una grande voglia di tornare a rimettersi in gioco. Tra un passo di tango e una gita in barca a vela, un aperitivo a Milano e una passeggiata lungo i Murazzi a Torino, il romanzo, che cattura il lettore con la leggerezza della lingua parlata, è scorrevole e coinvolgente e ci convince che a qualunque età si può superare un amore fallito e trovare la felicità.
Mercoledì 11 luglio, h.17:30
Margherita, seduta al pianoforte, chiacchiera veloce.
È un modo per scaricare l’ansia da prestazione che pervade anche gli adulti, prima di eseguire un pezzo studiato per tutta la settimana.
La ascolto paziente.
Alla fine dei cinque minuti, il tempo massimo che le concedo ogni volta, interrompo il suo racconto su un film di animazione che ha visto con la cuginetta.
«Va bene, Margherita, la fine me la racconti dopo, adesso inizia e fammi vedere come hai studiato.»
La bambina tace, si concentra un attimo, guarda lo spartito e raddrizza le spalle, come le ho suggerito innumerevoli volte. Le note del pianoforte riempiono la stanza, sono ovviamente pestate ma corrette. Il brano finisce e lei mi guarda soddisfatta.
«E brava, vedo che questa settimana ti sei esercitata. Adesso guardiamo di fare un po’ di attenzione al tempo.» Afferro il metronomo, tolgo l’aletta che copre l’asticella.
«Tuo marito ti vuole bene?» mi chiede all’improvviso con gli occhi puntati sul portaritratti d’argento che sta in bella mostra proprio accanto al metronomo. Dopo tanti anni di insegnamento sono abituata alle domande incredibili che mi fanno i bambini.
«Penso proprio di sì» rispondo sorridendo.
La ragazzina mi guarda dritto negli occhi:
«E allora perché dava i bacetti a un’altra signora?»
Ho un attimo di sconcerto, poi mi affiora una sensazione di ilarità che però, quasi immediatamente, si trasforma in una specie di uncino che si conficca alla bocca dello stomaco.
Sto per dire qualcosa, mi schiarisco la voce, ma che dire? Far finta di nulla? È una stupidaggine detta da una bimba che non sa neanche quel che dice, magari ha inventato il tutto di sana pianta; a volte lo fanno così, solo per attirare l’attenzione degli adulti. Oppure ha scambiato Daniel per qualcun altro. Però Margherita è arguta, è femmina, osservatrice e abbastanza diligente, ha incrociato mio marito in diverse occasioni e ricevuto i soliti complimenti che lui riserva a tutti i bambini. La possibilità che l’abbia visto davvero non è così irreale.
Ma dove? Fermo il metronomo che continua il suo imperturbabile ticchettio.
«Ah, davvero?» domando con calma.
«Sì» risponde lei, e io colgo nel suo sguardo, o me lo immagino soltanto, un piccolo, minuto segno di adulta malizia.
«E dove vi siete incontrati?» giro la pagina dello spartito, come se stessimo parlando di una cosa senza nessuna importanza.
«Dal gelataio, quello che vende anche il gusto gongorzola, che però a me fa schifo.»
«Gorgonzola» correggo automaticamente, e intanto, la mia mente crea lo scenario: una gelateria qualunque, Margherita e la sua mamma che ordinano due coni. Un tavolino appartato al quale sono seduti mio marito in compagnia di una donna senza volto. Tra un cucchiaio di fiordilatte e uno di cioccolato, si sbaciucchiano affettuosamente. Devo avere più dettagli possibili, e devo averli adesso, non posso tirare fuori l’argomento un’altra volta.
«Ma quando è successo?»
«Boh! Un giorno…»
«E che cosa ti ha detto Daniel? Ti ha salutato?»
«No, io volevo, ma la mamma ha detto che non dovevo disturbare, e lui non si è neanche accorto. Posso suonare anche quella che fa così?» Margherita mette le dita sul pianoforte e le note interrompono un attimo la confusione che mi sta riempiendo la testa.
«Va bene, dai, ricomincia dall’inizio. Aspetta che ti cerco la pagina… Vai!»
Questa non può essere un’invenzione, se la madre le ha impedito di salutare è perché, certamente, ha tratto delle conclusioni quanto meno ambigue. Oddio, è anche facile travisare, magari era con una delle sue clienti con le quali è in confidenza. Magari, per una ragione qualsiasi, le ha dato semplicemente un bacio sulla guancia. Anzi, sarà così certamente, figuriamoci se Daniel va in giro di pomeriggio a mangiare gelati e a sbaciucchiarsi davanti a tutti come un adolescente. Quand’anche avesse una storiella, non può essere diventato un idiota. Oppure sì? La bimba toglie le dita dallo strumento, ha terminato il pezzo e io non me ne sono neanche accorta.
«Bene…» le dico incoraggiante «ma… quella signora che hai visto in gelateria era giovane o vecchia?»
Che razza di domanda stupida, se voglio sapere di più ho bisogno di dettagli, non di risposte generiche ma, al momento, non riesco a far di meglio. La bimba ci pensa un po’, sospira:
«Un po’ vecchia, come te e la mamma». Se fosse un momento diverso mi farei una bella risata per essere stata definita, a trentanove anni, un po’ vecchia, invece, continuo il mio interrogatorio:
«E ti è parsa una bella o brutta?»
«Bellissima!» Rimango un attimo in sospeso mentre il suono del campanello mi fa sobbalzare. Guardo l’orologio. Com’è possibile che l’ora sia già finita? Mi alzo, vado al citofono, apro il portone, la ragazzina prende la sua felpa e il suo zainetto.
«Buongiorno, Isabella! Com’è andata oggi?» mi saluta cordialmente Ornella, la madre di Margherita che, pur essendo stata definita da sua figlia una donna ‘un po’ vecchia’ avrà al massimo quarant’anni.
La scruto, cercando una traccia di compatimento, o qualsiasi altro fuggevole segnale di quello che sa, o crede di sapere. Non vedo nulla.
«Sì, tutto bene, è stata brava…» reprimo l’impulso di chiederle cose, di sapere come, dove, quando. Congedo invece entrambe con un laconico: «Ci vediamo giovedì prossimo».
Trascorro le due ore che mi separano dall’arrivo di Daniel in uno stato d’animo altalenante tra la tranquillità, che mi dà la certezza che non può essere successo niente di drammatico, e questo vago, fastidioso malessere interiore che, come un campanello stonato, insiste alzando il volume. Ripenso a questi ultimi mesi, al fatto che mio marito a tratti mi sia sembrato un po’ assente, il che è strano per il suo carattere, ma a tutti può capitare di essere concentrati su altro, specie se si è un product designer e si fa un lavoro così creativo. Però non è questa la sola ragione del mio disagio. In un paio di occasioni ci sono state piccole cose che mi hanno lasciata perplessa. Ad esempio quella volta in cui, rientrata in anticipo, pensando che lui non fosse ancora tornato, ferma davanti alla porta di casa cercavo, con la solita difficoltà, le chiavi disperse nella mia grande borsa a tracolla. Avevo sentito la sua risata e, immediatamente dopo, la frase: ‘Tu mi farai impazzire…’
Quello che mi aveva maggiormente colpito non era stato il significato in sé, ma il suo tono, che era stato suadente, complice, come se stesse parlando con una donna. Ero entrata e lui aveva concluso in maniera sbrigativa la conversazione. Troppo sbrigativa.
«Con chi parlavi?» gli avevo chiesto tranquillamente. Non sono mai stata una donna gelosa, anche perché, devo dire, lui ha sempre avuto un atteggiamento adorante nei miei confronti e, durante tutto il nostro matrimonio, non ci sono mai stati problemi al riguardo.
«Ma nulla, noiose cose di lavoro» aveva risposto tagliando corto e cambiando velocemente argomento. Troppo velocemente.
Poi c’era stato quel famoso sabato sera di maggio nel quale sembrava fosse sparito. Io ero al mare a casa di mia madre con mio fratello e mia cognata, lo avevo chiamato in tarda serata sia sul cellulare che sul fisso più volte, e lui non aveva risposto. La mattina seguente mi aveva detto che si era addormentato davanti alla televisione, cosa alquanto insolita: durante la nostra vita insieme, gli sarà capitato due o tre volte al massimo.
Mi lascio trasportare dai ricordi, la mia mente va a ritroso nel tempo fino al momento del nostro primo incontro. Rivedo me stessa in una libreria del centro, sono con mio fratello Giorgio. Abbiamo deciso di venire alla presentazione dell’ultimo libro di Andrea De Carlo e siamo seduti su delle sedie scomode in attesa che arrivi lo scrittore. Un uomo alto prende posto alla mia sinistra. È solo, mi sorride, sposta di poco la sedia, si scusa, mi saluta.
«Buongiorno» dico a mia volta e lo guardo di sfuggita. Ho una sensazione di colore e di armonia. Mi incuriosisce, muovo la testa fingendo di guardare indietro, come se aspettassi qualcuno. Ha i capelli un po’ mossi, baffi e barba leggeri, il naso aquilino e indossa una giacca principe di Galles verde mirto con panciotto in tinta, una camicia bianca e jeans. Penso che ci voglia un bel coraggio a infilarsi una capo del genere, però non è assurdo, è eccentrico e, devo ammettere, assolutamente di buon gusto. Lui mi rivolge la parola:
«Posso chiederle qual è il libro di De Carlo che le è piaciuto di più?» Mi sorride con un’espressione così intensa che mi ha piacevolmente confusa, cosa che non succede spesso. Non ricordo più neanche uno dei titoli che ho letto.
«A me è piaciuto molto Macno» interviene Giorgio «e Isabella, sono quasi certo che risponderà Arcodamore, o no?»
Entrambi gli uomini mi guardano interrogativi.
«Beh, sì, forse, non sono sicura…»
In quel preciso istante ricordo di aver pensato che avrei voluto avere accanto proprio un uomo così: raffinato, educato, curato, intellettuale, attraente ed estroverso. Nelle settimane seguenti Daniel non smentì nessuna delle mie aspettative, anzi scoprimmo di avere anche gli stessi interessi per i viaggi, l’arte e la musica. Ci sposammo esattamente un anno dopo. Da allora sono passati dodici anni e tutto è andato bene, almeno fino a oggi. Preparo la cena con la testa altrove pensando a un chiarimento che mi pare necessario. Immagino scenari contraddittori: Daniel arriva e io gli faccio il terzo grado, lui confessa e se ne va di casa. Oppure, io gli chiedo spiegazioni, lui si mette a ridere e mi dice che è andato a prendere il gelato con la dottoressa Mauri, che è oggettivamente una bella donna, e siccome è diventata zia, le ha semplicemente dato un bacio sulla guancia per congratularsi del lieto evento.
Alle otto meno un quarto mio marito torna a casa.
«Ciao, amore!» mi saluta dall’ingresso mentre appoggia le chiavi di casa nel contenitore sulla mensola. Entra in cucina.
Io sto tagliando dei pomodori e fingo una concentrazione che, ovviamente, l’azione non necessita. Si avvicina, mi dà un bacio leggero sulla fronte.
«Ohilà, tutto bene?» mi chiede.
«Sì, sì tutto ok» rispondo mesta.
Va in bagno a lavarsi le mani, torna in cucina. Ci sediamo a tavola. Mi guarda, stringe un po’ gli occhi:
«Che c’è, Isy?»
Ecco, adesso è il momento di chiedere, adesso è il momento della verità, o della menzogna, adesso è il momento in cui tutto si risolverà o precipiterà. Lo osservo e lo vedo di nuovo come se fosse la prima volta. Mi ero preparata il discorso, ma mi è svanito dalla mente e poi non voglio sapere, non stasera. Mi alzo, giro intorno al tavolo, gli prendo la faccia tra le mani e lo bacio come se dovessi partire per sempre, come se fosse l’ultima. Lui mi abbraccia, mi fa sedere in grembo, mi sussurra:
«Ehi, la mia ragazza stasera è romantica… Ti va di rimandare la cena?»
Sento le sue mani calde che mi accarezzano sotto il corto abito che indosso, appoggio la guancia sulla sua camicia a righine bianco-rosa, sento il suo piacevole odore misto al vago aroma del suo dopobarba ormai quasi svanito. Lui mi bacia adagio, mi fa alzare, mi prende per mano e mi porta in camera da letto. Ci spogliamo veloci mentre mi bacia la fronte, le labbra, il collo. Siamo distesi e Daniel inizia lentamente a toccarmi, ma io non sento nulla, ho la testa altrove e il mio cervello si disconnette dal corpo. Vorrei piantarla qui, non mi va più di farlo ma non mi va neanche di dare spiegazioni. Decido di prendere l’iniziativa e di concluderla al più presto. Cambio posizione e mi allungo sopra di lui, sento che ha voglia e che mi desidera. Percorro una lunga discesa mentre lui chiude gli occhi e forse sta pensando a qualcun’altra. Appoggio la mia guancia sul suo cuore e lo sento battere forte, potente come il suo sesso che mi aspetta giù in fondo, dove alla fine poso la mia bocca. Ha il sapore di sempre, così familiare. Mi prende il viso tra le mani, dolcemente mi capovolge e si gira sopra di me, il suo sguardo è velato dalla passione, mi penetra lentamente, bisbiglia:
«Isabellissima, vieni con me…» lo accolgo, assecondo il suo ritmo pensando che stia facendo l’amore con me e soltanto con me.