Il mistero della torre

14,00

Formato: Libro cartaceo

Autore: Salvatore Paci

Note sull’autore

COD: ISBN 978-88-6690-480-9 Categoria: Tag:

Descrizione

Tra le viuzze e le piazze di un affascinante paesino siciliano degli anni Sessanta, il giovane Filippo vive la sua vita tranquilla, ricca di amabili abitudini e di cose semplici. Gestisce una bottega di generi alimentari e, da tempo orfano, ha come compagni di vita un ex professore di latino molto avanti negli anni e il suo inseparabile cane.

Fino a un certo punto tutto sembra procedere con i ritmi di sempre: casa, lavoro, Zio Cono e Nicu.

Perché il destino ha deciso diversamente.

A stravolgere tutto sarà l’incontro con Teresa — una donna sposata con colui che presto diventerà il suo migliore amico — e l’acquisto di una villa misteriosa nella quale accadono cose sempre più strane.

La passione per Teresa e il fascino arcano che la villa emana prenderanno il sopravvento sulla ragione.

Ciò che accade nella Stanza della torre è indefinibile e Filippo dovrà far affidamento su tutte le sue energie per non sprofondare nel baratro della pazzia.

Mistero, passione e tensione accompagneranno il lettore fino all’ultima pagina, risolutrice.

INCIPIT

NICU

Montesalso, 1968

Quella sera, a farmi accorrere alla finestra non fu lo stridio di un’auto che ripartiva sgommando, ma un guaire disperato che mi raschiò l’anima. Aveva piovuto per tutto il pomeriggio e mentre il buio stava cancellando ogni colore l’acqua continuava a precipitare senza tregua sulla città assonnata. Passai una mano sul vetro appannato e vi appoggiai la fronte. Al di là di quel cristallo rigato dalla pioggia non riuscii a scorgere nulla, a parte le fronde più alte di un tiglio e una lampada che dondolando tingeva di giallo il basolato luccicante di Corso Vittorio Emanuele.

Seduto ai piedi del letto tolsi le pantofole, mi aiutai con l’indice per calzare le scarpe ancora allacciate e mi alzai. Mi infilai dentro il cappotto soltanto quando ero già per le scale, con l’ombrello che passava da una mano all’altra e i pantaloni del pigiama che faticavano a rimanere cinti alla vita. Scesi i gradini due per volta fino a quando i miei tacchi atterrarono sul triste lastrico dell’androne. Quando tirai a me il pesante portone in legno l’umidità notturna accolse le mie caviglie ancora calde con un abbraccio algido. Uscii, aprii l’ombrello e mi guardai intorno. Non c’era nessuno.

Stringendomi il bavero intorno al collo feci qualche passo verso destra, girai l’angolo e vidi Zio Cono, incurante della pioggia, che si avvicinava a un cagnolino che giaceva a terra. Gli arrivai accanto quando lo aveva già tra le braccia, così li riparai entrambi.

«Mettiamoci sotto quel balcone» gli dissi prendendolo per il gomito. Poi attraversammo la strada con i piedi che già sguazzavano dentro le scarpe mentre il cucciolotto, protetto dalla giacca del mio amico, cercava di leccargli il mento.

«Come può esistere gente simile?» esclamai. «Ho sentito passare una macchina, poi il suo pianto. Lo avranno lanciato dal finestrino, mischino

Zio Cono fece una smorfia e lo sollevò prendendolo delicatamente dalle ascelle. «Attraverso le asperità alle stelle» disse al cucciolo, come se potesse capirlo.

Era un batuffolo bianco dagli occhi tristi. Teneva le orecchie abbassate e agitava timidamente la coda. Fortunatamente non sembrava essersi fatto molto male, e a parte il mantello sporco non riportava ferite visibili. Zio Cono sorrise seraficamente. Le rughe che fino a un momento prima gli avevano corrucciato la fronte si spostarono agli angoli della bocca.

«Ehi, marmocchio» gli disse. «Ti avverto che se vieni con me ti attende una bella insaponata. Noi siamo gente povera ma pulita. Chiaro?»

«Be’, prendiamo la parte buona di questa storia: adesso è al sicuro e sembra soltanto spaventato.»

Il piccolo mi guardò e io sorrisi. Gli grattai la testa con la mano libera e lui chiuse gli occhi estasiato.

«E forse non più. Comunque, se ne occupa lei?» gli chiesi.

Il cucciolo aprì la bocca e tirò fuori la lingua alla ricerca del viso del vecchio.

«Se per te non è un problema.»

«Vedo che il piccolo ha già fatto la sua scelta, e sono sicuro che ha scelto bene.»

«Diciamo che la ruffianeria non gli manca. Si tratta di una caratteristica ancestrale di questi pelosetti dalla coda in eterno movimento. E va bene, affare fatto. Ma comportati bene, eh!»

Ci salutammo con due baci sulle guance.

Ero molto contento per Zio Cono. Quel cane avrebbe riempito la sua piccola casa, troppo vuota da quando la signora Margherita era volata in Cielo diversi anni prima. Una polmonite mal curata, mesi di speranza e sofferenza e alla fine il mio amico si era ritrovato da solo, con il ricordo della moglie ancora in giro per le due stanzette del suo appartamento. A distanza di tutti questi anni teneva ancora le sue foto sul comodino e una parte di armadio ancora piena dei suoi vestiti nei quali affondava il naso quando la malinconia lo prendeva a randellate.

Zio Cono aveva il cuore sanguinante e le unghie dei ricordi non finivano mai di artigliare quell’organo pulsante. Eppure, prima di uscire appendeva la sua maschera di tristezza dietro la porta di casa e addolciva il suo viso con un sorriso e le nostre bocche con una di quelle caramelle che non mancavano mai nelle sue tasche.

Quanto è strana la vita! Quell’uomo mi aveva visto crescere, rincorrere per anni un pallone con gli altri bambini, giocare con le automobiline di plastica su piste disegnate a terra con il gesso e adesso… Cono Puglisi, il mito della mia fanciullezza, si stava incurvando sempre di più. Quasi a ricordami che anche io, un giorno, avrei vissuto quella fase discendente che la vita non risparmia a nessun essere vivente.

Che tristezza!

Ancora oggi, quando penso a lui lo ricordo mentre passeggia lungo Corso Vittorio Emanuele oppure mentre siede sul muretto della Villa Mulè a chiacchierare di cose semplici con gli amici, con il suo umile bastone da passeggio tra le mani e un giornale sotto il sedere per non sporcarsi i pantaloni. Ricordo anche il profumo di saponetta che la sua pelle emanava, in netto contrasto con l’odore acre e piccante degli abiti dei suoi coetanei.

Zio Cono era lo zio di tutti. Un ex professore di latino che faticava ad arrivare a fine mese, ma che riusciva a far felici tanti ragazzini, tra i quali io. Non si contavano le volte in cui mi aveva offerto una gassosa al Caffè Centrale dopo avermi visto sudato e affannato per aver giocato per ore sotto il sole cocente della nostra Trinacria. Ma la vita è una ruota che gira e così, prima o poi, arriva il momento in cui i ruoli si invertono e tocca al protetto il compito di proteggere. Ed è quello che ho sempre fatto a sua insaputa tutte le volte in cui ho sbagliato i conti a mio sfavore al momento di pagare la spesa nel mio negozio di generi alimentari.

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