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4° Puntata

Giulio stava ancora lottando contro Marco il quale, a cavalcioni su di lui, continuava a riempirlo di pugni in faccia allo scopo di fiaccare le sue difese. Nonostante gli eroici sforzi per resistere di Giulio, Marco riuscì nel suo intento: quando ebbe indebolito a sufficienza l’avversario lo rivoltò sulla pancia e cercò ancora di strappargli la pistola. Nella foga della lotta il dito di Giulio si strinse spasmodicamente sul grilletto. Un proiettile partì all’improvviso, con un sonoro schiocco, e si schiantò in un’ammuffita parete di cartongesso. Marco, sorpreso dallo sparo, reagì con violenza: sbatté ripetutamente la testa di Giulio sul pavimento finché riuscì finalmente a tornare in possesso dalla sua arma, poi si alzò in piedi a gambe divaricate. Concentrato com’era nel suo trionfo, Marco non si avvide in tempo della presenza di Lucio alle sue spalle e non riuscì a evitare di ricevere un potente calcio nei testicoli. Il grido di dolore gli rimase strozzato in gola quando Lucio lo colpì una seconda volta e poi una terza con tutta la rabbia e la disperazione che aveva in corpo. Marco crollò sul pavimento, mugolando dal dolore. Lucio gli strappò la pistola dalla mano e gliela puntò contro, con le mani ancora legate dietro la schiena. Anche se la posizione era molto scomoda, a quella distanza ravvicinata sarebbe stato quasi impossibile sbagliare mira.

Nel frattempo, Leone osservava Dino dall’alto verso il basso, un ghigno beffardo stampato sotto i baffetti. Mentre infilava una mano nella tasca, Gioele trovò il coraggio di sferrargli un violento calcio da dietro. Leone si ritrovò con un ginocchio a terra. Girò la testa verso il ragazzo, mostrando un’espressione feroce, le punte dei suoi baffi vibrarono di rabbia. «Brutto stronzetto!»

Ancora sdraiato sul pavimento, Dino approfittò della distrazione regalata da Giole per sferrare una pedata in faccia a Leone: lo colpì sul mento, strappandogli un grugnito furioso. Dimostrando di essere un ottimo incassatore, Leone infilò di nuovo la mano destra nella tasca del giaccone e, questa volta, riuscì ad estrarre un coltello a serramanico.

«Vi ammazzo tutti e due!» urlò, facendo scattare la lama.

Gioele non gli diede il tempo di agire e gli piazzò una violenta testata sul naso. Leone ruotò gli occhi all’indietro e crollò sul pavimento.

«Sei un grande! Degno figlio mio!» esultò Dino.

Per un breve istante i quattro amici rimasero immobili e silenziosi: non gli sembrava vero di essere riusciti a liberarsi.

«Niente male per un gruppo di cazzari con le pistole finte!» sentenziò ironicamente Giulio, rialzandosi malconcio da terra.  Il riferimento allo sprezzante commento di Leone era evidente.

Il mugolare di Marco ricordò a tutti che non erano ancora fuori pericolo. «Dobbiamo andare via da qui!» disse Lucio.

Il volto tumefatto, Giulio sfogò la sua rabbia sferrando un calcio a Marco. «Sono d’accordo» rispose con ritrovata tranquillità.

Dino afferrò il coltello di Leone, usando entrambe le mani, ancora legate dietro la schiena. «Prima però bisogna tagliare queste cazzo di fascette».

Liberò prima Gioele, poi il ragazzo aiutò il resto della compagnia.

Una risata lugubre raggelò il sangue ai prigionieri. «Poveri stronzi… Non andrete da nessuna parte. Gianni! Roby!»

Refoli di vento freddo sferzavano le fronde degli alberi, producendo un suono spettrale. Grappoli di pioggia iniziavano a cadere sul terreno: sembrava questione di minuti prima che si scatenasse un violento acquazzone. Stretto nel suo giaccone, Gianni stava facendo vedere un video dal suo smartphone a Roberto.

«Hai visto che fa quello?»

«Ma come ci riesce? È impossibile.»

«Quelli sono dei professionisti, mica delle fighette come te!» lo schernì Gianni, ridacchiando.

«Finiscila! Ti apro il culo quando voglio con una mano legata dietro la schiena.»

Gianni rise ancora, di gusto. «Quando vuoi, fratello.»

A un tratto, entrambi udirono uno schiocco secco provenire dall’interno dell’edificio. «Che succede?» domandò Roberto.

«Di sicuro Leone avrà ficcato un proiettile in testa a uno di quei quattro esaltati» rispose Gianni.

«Entriamo a vedere?»

«Ma no, il capo ha detto di stare fuori. Lo sai che è un maniaco del controllo. Non ho voglia di prendermi un cazziatone.»

Roberto scosse la testa, contrariato. «Non doveva andare così. Se solo avessero collaborato… Invece, ci toccherà seppellire quattro cristiani.»

Gianni fece spallucce. «Basta che si muovano, non voglio stare in questo paese fantasma per tutta la giornata. Ho già preso abbastanza freddo ad aspettare che quei coglioni finissero di giocare a fare la guerra. Mi sa che oggi hanno scoperto cosa significa avere di fronte a uno con una pistola vera in mano» concluse con una fragorosa risata.

«Gianni! Roby!». La voce proveniva dall’edificio.

«Questo è Leone!» constatò Roberto.

«Merda! Muoviamo le chiappe!» Gianni aprì di scatto la porta e la scena che si palesò davanti ai suoi occhi era l’ultima cosa che si sarebbe aspettato di vedere: i prigionieri erano riusciti in qualche modo a liberarsi e ora tenevano sotto tiro Leone, Franco e Marco con le loro stesse pistole.

«Oh, cazzo!»

Gioele fu il primo ad accorgersi dei nuovi arrivati. «Ci sono gli altri due!»

«Ci penso io!» gridò Giulio, aprendo il fuoco senza esitare. Le detonazioni echeggiarono nella stanza. I proiettili non trovarono nessun bersaglio perché Gianni si gettò al riparo dietro una vecchia stufa di ghisa, mentre Roberto indietreggiò e tornò all’esterno del casolare, protetto dallo stipite della porta d’ingresso.

Anche Lucio si unì alla sparatoria e lasciò partire qualche colpo che rimbalzò contro la stufa. «Trovate un riparo!» ordinò, prendendo in pugno la situazione. I compagni obbedirono come se stessero giocando una partita di softair, con la differenza che questa volta i proiettili erano veri. Da dietro la stufa, Gianni sparò una serie di colpi alla cieca. Roberto si affacciò per dare il suo contributo.

«Porca trota!» imprecò Lucio, abbassandosi per ridurre la sua sagoma. Dino prese di mira Roberto che però sparì di nuovo oltre la porta. Il violento scambio di colpi saturò presto l’aria dell’odore della cordite. Intanto, Leone strisciò sul pavimento per togliersi dalla linea di tiro, seguito da Franco e Marco.

Giulio notò una finestra, alla quale mancavano i serramenti, proprio a pochi passi da una catasta di ciarpame dietro la quale potevano ripararsi. Corse veloce verso l’insperata via di fuga, sparando gli ultimi colpi dalla sua pistola.

«Di qua, forza!» incitò, esponendosi al tiro degli avversari. Roberto fece capolino dalla porta in quel momento e fece fuoco nella sua direzione, centrandolo alla gamba e al fianco. Giulio stramazzò a terra urlando per il dolore. Dino bersagliò Roberto, senza tuttavia riuscire a colpirlo poi corse verso il fratello, lo afferrò per la giacca della mimetica e lo trascinò al riparo dietro la catasta, lasciando una scia di sangue sul pavimento. Lucio provò a liberarsi della presenza di Gianni svuotando il caricatore poi, non potendo più fare altro, prese l’impietrito Gioele per un braccio e lo costrinse a correre verso il cumulo di vecchi oggetti.

Dino continuò a sparare in direzione della coppia di nemici, fino a che il carrello rimase aperto a testimoniare lo svuotamento del caricatore: purtroppo non c’era stato il tempo di perquisire Leone e compagni alla ricerca di altre munizioni.

«Lucio, prendi Gioele e portalo in salvo, io rimango qui con Giulio.»

«No, papà! Rimango qui anch’io.»

Visto che nessuno gli sparava più addosso, Roberto e Gianni uscirono con cautela dai loro ripari. «Allora, avete finito i proiettili?» domandò Gianni in tono canzonatorio.

Non ci fu risposta. Dietro la catasta la situazione era tragica: senza proiettili e con Giulio ferito in modo grave, Dino prese l’unica decisione che un padre poteva prendere. «Io li distraggo, voi scappate dalla finestra!» sussurrò.

«Papà, no!»

«Ha ragione» intervenne Giulio, stringendo i denti per combattere il dolore. «Dovete cercare aiuto. È l’unica alternativa.»

La voce imperiosa di Leone troncò i loro discorsi: «Vi do cinque secondi per uscire con le mani alzate.»

Dino fece un respiro profondo, in faccia l’espressione rassegnata e sconfitta. «Appena esco correte alla finestra.»

«Non voglio, papà!»

Il conto alla rovescia di Leone partì: «Cinque!»

Dino fece una carezza sulla guancia umida di lacrime del figlio e gli disse: «Stai tranquillo, io e lo zio ce la caveremo. Fate solo in fretta a trovare aiuto. Contiamo su di voi.»

Gioele annuì. «Va bene.»

Inesorabile, il conto alla rovescia proseguì: «Quattro!»

Dino appoggiò una mano sulla spalla di Lucio. «Prenditi cura di Gioele. Promettimelo.»

«Promesso. Torneremo presto con i rinforzi.»

«Tre secondi!»

«Tenetevi pronti.» Dino si alzò in piedi e uscì dal riparo con le mani alzate. «Ok, ci arrendiamo. Non sparate!»

Gianni gli puntò addosso l’arma. «Anche gli altri!»

Dietro il riparo, Lucio toccò una spalla a Gioele. «Ora!»

Entrambi scattarono verso la finestra. Roberto si accorse del movimento e tirò il grilletto. I fuggitivi si lanciarono fuori senza troppe cerimonie. Lucio avvertì un sibilo passargli vicino alla testa. Atterrarono come mele cadute da un albero. L’adrenalina che scorreva impazzita nei loro corpi gli permise di sopportare il dolore. Lucio aiutò Gioele ad alzarsi e insieme e iniziarono a correre.

Mantenendo una sorta di tacita promessa, le prime gocce cadute dal cielo si erano trasformate in un acquazzone e ora la pioggia era così fitta da rendere difficoltosa la visibilità. Dopo neanche cento metri di corsa, Lucio e Gioele erano già fradici.

«Ci stanno inseguendo?» domandò preoccupato il ragazzo, con la voce rotta dal fiatone.

Lucio lanciò uno sguardo veloce alle sue spalle. «Non vedo nessuno.»

«E adesso dove andiamo?»

«Nel bosco. La pioggia cancellerà le nostre tracce.»

Un grosso topo impaurito tagliò loro la strada all’improvviso. Gioele si paralizzò, quasi scivolando sul terreno bagnato: aveva una vera e propria fobia per i roditori. Lucio lo trascinò di peso fino a un gruppo di alberi che delimitavano l’inizio del bosco.

«Poco distante da qui c’è un agriturismo. Dobbiamo raggiungerlo e avvisare i Carabinieri» spiegò Lucio, guardandosi ancora alle spalle.

Il ragazzo non rispose. Lucio notò che sembrava caduto in uno stato confusionale. Nonostante ciò, valutò la possibilità di procedere separati per aumentare le possibilità di trovare aiuto.

Si fermò di fronte a una grossa quercia, riprendendo fiato. Appoggiò una mano sulla spalla del giovane. «Gioele, forse è meglio che ci dividiamo.»

«Non voglio che ci separiamo!» piagnucolò Gioele, riprendendosi dal torpore.

«È meglio così, in questo modo avremo più possibilità di cercare aiuto.»

«No, no. Ti prego, non lasciarmi da solo» ribatté allarmato il ragazzo, parlando così veloce da mangiarsi le parole.

Scelta 1: procedono insieme.

Scelta 2: si dividono