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3° Puntata

Quando la sottile lancetta completò l’ultimo giro del conto alla rovescia, Leone distolse lo sguardo dal suo orologio. «Tempo scaduto» annunciò. «Dammi un nome, coraggio.»

Con la canna della pistola, Franco diede un colpo sulla nuca di Lucio. «Sbrigati!» ringhiò.

Porca trota, pensò Lucio, serrando le mascelle. Chi scelgo?

Un’intensa scarica di rabbia gli percorse tutto il corpo: come poteva quell’individuo chiedergli di fare una scelta del genere? Giulio e Dino erano tra i suoi più cari amici, non sarebbe mai stato in grado di scegliere chi dei due doveva essere torturato. Quella consapevolezza gli diede la risposta all’insensato quesito: non avrebbe fatto nessuna scelta.

«E così vuoi fare l’eroe» commentò sarcastico Leone. «L’uomo tutto d’un pezzo che si sacrifica per i suoi amici. Non vi sembra una storia bellissima?» chiese ai suoi uomini.

Appoggiato al lurido bancone, Marco sputò per terra e sentenziò: «Stiamo perdendo tempo, capo».

Leone fulminò il suo sgherro con un’occhiata radioattiva, mentre si portava alle spalle di Lucio. «Ti stai annoiando?» domandò, giocherellando con i lacci annodati e la penna.

«No» rispose lui «ma… nel frattempo che tu cazzeggi con questi stronzi, Bassich guadagna terreno.»

«Giusto» assentì Leone. «Quindi ora velocizziamo lo spettacolo.»

Detto ciò, lesto, infilò il cappio formato dal laccio sulla testa della vittima prescelta e lo tirò giù fino alla base del suo collo. Colto di sorpresa, Lucio non riuscì a reagire per alcuni istanti e Leone ne approfittò per fare passare la penna tra la sua pelle sudata e il ruvido cordino. Senza esitazione, l’aguzzino cominciò a ruotare la Bic. Il legaccio si strinse subito, trasformandosi in un’improvvisata garrota che scavò un solco doloroso nella carne della vittima.

Sentendo la pressione chiudergli la trachea, Lucio strabuzzò gli occhi nelle orbite e iniziò a soffocare. Vedendo l’amico diventare livido e gonfio in volto, Giulio urlò: «Fermo! Lascialo! Tortura me!».

Ignorandolo, Leone diede un altro giro alla penna. La plastica vecchia scricchiolò e il laccio affondò ancora di più nella gola congestionata del malcapitato, spingendolo a un passo dall’incoscienza, mentre l’afflusso di sangue al suo cervello rallentava pericolosamente.

Leone assunse l’espressione di un divulgatore televisivo. «Sapevate che gli spagnoli usarono la garrota per secoli?» spiegò, sornione. «Era il loro strumento di morte preferito».

Contorcendosi sulla sedia, Lucio prese a gorgogliare, sbavare e strisciare gli scarponi sul pavimento.

«Così lo ammazzi!» implorò Dino, in lacrime. «Smettila, ti supplico!».

Di colpo Leone iniziò a ruotare la penna nel senso opposto poi, quando ebbe allentato a sufficienza la tensione, la sfilò dal nodo che aveva creato.

Il legaccio sulla gola di Lucio si allargò di colpo e il poveretto riuscì a risucchiare un filo d’aria, solo un attimo prima che la mancanza di ossigeno lo facesse svenire. Lucio cominciò a tossire, ma il colorito rossastro della sua faccia sbiadì velocemente.

Con le gambe molli per la paura, Dino tirò un sospiro di sollievo e si accasciò sulla sedia cigolante.

«Che ti prende, capo?» sbottò Franco. Dal suo posto accanto al bancone, Marco scosse la testa e bestemmiò sottovoce.

«Niente, riflettevo sul fatto che questo tipo ha dimostrato di essere un vero amico per quei due» replicò Leone, togliendo il legaccio dal collo di Lucio. «Però a quegli ingrati non sembra importare, altrimenti mi avrebbero detto quello che voglio sapere. Forse c’è bisogno di rendere il gioco un po’ più interessante».

«Ti sembra un gioco, razza di psicopatico?» sbraitò Giulio.

«Tutta la vita è un cazzo di gioco, dovresti saperlo». Leone rise, fece ruotare il cerchio floscio del legaccio sul dito indice e avanzò dietro le spalle di Gioele.

Dino strabuzzò gli occhi. «Lascialo stare!»

«Se lo sfiori, giuro che ti ammazzo!» rincarò Giulio, balzando in piedi.

A quel punto, sempre più irritato, Marco lasciò il bancone e a grandi passi raggiunse Giulio. Gli sferrò un pugno dritto al fegato che lo scagliò di nuovo sulla sedia.

«Stai giù, coglione!» sbraitò, poi gli puntò la pistola alla tempia. «Non ho mai comprato neanche un gratta e vinci, io! Odio qualsiasi gioco, quindi facciamola finita!».

Il sorriso svanì dalle labbra di Leone. «Mi scoccia darti di nuovo ragione, Marco, però adesso inizio ad annoiarmi anch’io» disse. «Non volete parlare, eh? Beh, allora è arrivato il momento di fare sul serio»

Vedendolo arrivare, terrorizzato, Giole strisciò indietro sul pavimento lercio di fango, cartacce e calcinacci, rannicchiandosi contro l’angolo interno del bancone a “L”.

«Aiuto, papà! Aiutami!» strillò.

Sempre tenendo sotto controllo Lucio, Franco lo seguì con lo sguardo e sogghignò. «Senti come frigna il ragazzino».

«Ancora per poco» ribatté Leone, poi afferrò il colletto della giacca di Gioele, lo fece ruotare come un bambolotto di pezza e gli si piazzò dietro la schiena, spingendogli il ginocchio contro la spina dorsale. Il ragazzo si agitò, cercando di divincolarsi, ma la disparità di forze rendeva tutto inutile. Leone gli ficcò l’improvvisata garrota intorno alla gola sottile ma si fermò prima di stringere il cappio, mettendo in scena un teatrale e macabro momento di suspense.

«Dai, il gioco è bello quando dura poco» protestò ancora Marco, osservando la scena con l’aria di chi aveva perso la pazienza. Un sinistro sorriso comparve sulla bocca di Leone.

Ormai nel panico, incurante del pericolo, Dino scattò in piedi. «Lascia stare mio figlio!» urlò.

Anche Lucio si alzò, pronto a reagire, sfruttando la momentanea distrazione di Franco. All’improvviso, mentre all’esterno esplodeva il boato di un tuono così vicino da far vibrare la vetrata e tintinnare i vecchi lampadari, Marco si rese conto che la situazione stava precipitando. Spostò la pistola dalla tempia di Giulio e la puntò verso Dino. «Non muoverti o ti faccio saltare le cervella!» intimò.

Mentre la sua minaccia ancora risuonava nell’aria, all’improvviso, approfittando del momento, Giulio gli balzò addosso, caricandolo come un toro durante una corrida. Lo colpì con la testa all’altezza delle reni con tutta la forza che aveva accumulato nelle gambe, facendogli perdere l’equilibrio. Marco cadde in avanti. Per attutire l’impatto e proteggere la faccia, l’uomo mollò la pistola e protese le braccia verso il pavimento. A causa dello slancio eccessivo, anche Giulio perse l’equilibrio. Entrambi finirono a terra, scivolando sul vecchiume putrido. In un attimo, i due finirono aggrovigliati in una specie di lotta greco-romana, resa impari dal fatto che Giulio aveva le mani legate dietro la schiena.

Mentre Giulio e Marco combattevano a terra per raggiungere la pistola, rotolata sotto la sedia di Dino, quest’ultimo si scagliò verso Leone, nel tentativo di allontanarlo dal figlio.

In mezzo a quella confusione, Franco sembrò risvegliarsi da un colpo di sonno improvviso: dimenticò di avere Lucio in piedi a pochi passi e si girò verso il compagno a terra. Sul pavimento, Giulio era riuscito a impossessarsi della pistola anche se non era in grado di servirsene perché era schiacciata sotto la sua schiena. A cavalcioni sopra di lui, Marco stava cercando di strappargliela dalle mani.

«Fanculo i dilettanti!» imprecò Franco. «Sta andando tutto a puttane!»

Puntò la sua arma, ma esitò a premere il grilletto temendo di sbagliare mira e colpire il compagno.

L’attimo di indecisione gli costò caro. Lucio lo sbilanciò con uno spintone e poi, con un calcio ben assestato al collo del piede di appoggio, lo atterrò come un sacco di concime. Cadendo, il mercenario sbatté forte la testa sulla pedana di un pallido manichino nudo e perse i sensi, scivolando in un’oscurità accogliente.

Lucio ne approfittò per allontanare la pistola con una pedata. Si guardò intorno senza sapere cosa fare: entrambi i fratelli erano in difficoltà e sembravano sul punto di soccombere agli avversari. Dino si era scagliato urlando contro Leone, ancora impegnato a strangolare Gioele. L’aguzzino aveva scartato di lato e lo aveva atterrato con facilità. Ora incombeva su di lui, pronto a fargliela pagare. Poco più in là, Giulio e Marco lottavano sul pavimento contendendosi il possesso della pistola. Il falso poliziotto aveva iniziato a investire il malcapitato con una scarica di pugni, nel tentativo di indebolirlo.

Un altro tuono riecheggiò nelle vicinanze, facendo tremare le pareti dell’edificio abbandonato. Lucio strinse i pugni, tentando di decidere cosa fare.

Per la terza volta, nello stesso maledetto giorno, avrebbe dovuto fare una scelta difficile. Chi aveva più bisogno di lui, Dino o Giulio?

Scelta 1: Lucio soccorre Dino.

Scelta 2: Lucio soccorre Giulio.