XII – Il segno dei giusti

4,99

Formato: Epub, Kindle

Autore: Pino Benincasa

Note sull’autore

COD: ISBN 978-88-6690-227-0 Categoria: Tag:

Descrizione

Un paesino dell’Italia meridionale, negli anni del fascismo, la festa patronale in onore di san Giustino da celebrare, contadini che reclamano giustizia e un podestà proprietario terriero con una moglie giovane, bella e innamorata… ma non del marito, un maresciallo dei Carabinieri, il parroco, il dottore, il maestro elementare: un microcosmo sconvolto dalla misteriosa scomparsa di alcuni bambini, dove giungono un gerarca fascista e un manipolo di Camicie Nere, apparentemente per indagare. Ma l’oggetto della loro indagine è ben più importante, agli occhi del Duce, di qualche moccioso scomparso.

In questo romanzo si intrecciano e si fondono reale e fantastico, tra luoghi suggestivi, remoti enigmi, fenomeni naturali estremi, fino a ricondurre lì dove la storia ha inizio.

INCIPIT

Sudato come un tarallo inzuppato nel latte, Santino correva a perdifiato giù per il vicoletto della Mula, rischiando ad ogni passo di rompersi l’osso del collo talmente era ripida la discesa. Fu sicuro di romperselo sul serio quando con un unico salto superò gli scalini con cui quel budello terminava e si tuffava nella luce abbacinante di piazza del Rosario, dov’era la chiesa più grande del paese.

Eppure non aveva scelta. Meglio finire nelle mani del dott. Sabbatelli che in quelle di suo padre.

Stavolta non mi salva nemmeno la Madonna del Rosario, pensò mentre attraversava come un fulmine la piazza procurando sorrisetti ai quattro vecchi seduti davanti all’Osteria del Popolo.

Che minchia ci trovassero da ridere, Santino proprio non se lo spiegava, ma certo non era nella posizione di andare a domandare.

Alla fine era riuscito a farsi bocciare e non lo sfiorava il minimo dubbio su quella che sarebbe stata la sua sorte. Suo padre avrebbe mantenuto la promessa massaggiandogli la schiena con lo scudiscio usato per i buoi e poteva solo sperare che non venisse a sapere della risposta sgarbata data al maestro Macaluso, altrimenti era probabile ci finisse direttamente lui sotto al giogo a tirare l’aratro.

Coltiursi fronteggiava con un silenzio sonnacchioso quel caldissimo mezzogiorno di inizio giugno ed il cuore di Santino batteva talmente forte da impedirgli di confezionare una qualsiasi scusa da portare a sua difesa. Fosse l’affanno della corsa, la paura o il senso di colpa non avrebbe saputo dirlo quando si ritrovò a volare sui ciottoli di via Bellavista, appena ribattezzata dal podestà via dell’Impero, altro bell’affare. Lui non sapeva neanche dove si trovasse quest’Etiopia – e sì che il maestro gliel’aveva pure detto – ancor meno immaginava le sembianze della faccetta nera di cui cantavano alla radio. Una cosa sola aveva subito saputo con certezza: tutto quel baccanale significava solo seccature. E così infatti era stato. A cominciare proprio dall’inaugurazione di quella via, quindici giorni prima, quando gli era toccato starsene impalato per ben due ore, infilato nella camicia nera e con in testa quel ridicolo fez che tutti i balilla avrebbero volentieri usato come vaso da notte.

Incarognito da questi pensieri, si chiese se fosse proprio il caso di affrettare così la sua certa punizione precipitandosi a casa. Per rifletterci su, decise di fermarsi un attimo a riprendere fiato alla fontanella appiccicata alla ringhiera. Mentre beveva si ritrovò a guardare il giallo dorato delle messi e il verde sbiadito degli ulivi, che riempivano la valle sottostante, lasciare ad un certo punto il posto all’azzurro luccicante del golfo. La vista servì subito a calmarlo. Cosa avrebbe dato per tuffarsi in quell’acqua così fresca. L’anno prima suo padre li aveva portati un giorno: lui e suo fratello. Era dovuto andare a comperare delle sementi per conto di Tropiano e al momento di partire, guadagnandosi l’imperitura adorazione dei suoi figli, li aveva fatti salire sul carro. Dopo aver caricato i sacchi si erano fermati in un punto sulla spiaggia dove Santino aveva trascorso il più bel pomeriggio della sua vita, tra tuffi, schizzi e capriole nell’acqua. Anche suo padre si era divertito ma, poiché lui apparteneva alla specie dei somari, per quell’anno niente bagno al mare. Pazienza, a ben altre rinunce si doveva rassegnare.

Smise di bere, rialzò la testa e sul punto di riprendere la sua corsa disperata si sentì afferrare con forza per la collottola.

“Dove credi di andare?” udì ragliare alle sue spalle.

Come caspita ha fatto papà a sapere già della bocciatura?

Il cuore smise di battere e per poco non se la fece addosso dalla paura mentre si girava preparandosi a ricevere le prime legnate di una lunga serie. Quando si accorse che non era suo padre non riuscì a trattenere lo stupore.

“Voi?” chiese senza capire ancora bene se dovesse sentirsi più sollevato o preoccupato. Quello continuava a guardarlo e a non dire una parola e soprattutto non mollava la presa che gli stringeva sempre di più il collo.

Non era mai stato guardato a quel modo e cercando di immaginare cosa potessero volere da lui quegli occhi, gli sembrò di sentire un brontolio sommesso provenire dal terreno, accompagnato da un leggero movimento. Forse fu prodotto dalla sua immaginazione ma aggiunto a quello sguardo ebbe il risultato di confonderlo ancora di più.

Sto andando a casa per mangiare, stava per dire. Ma non appena aprì la bocca fu colpito da un tremendo manrovescio e la sua testa volò all’indietro. Se non fosse stato per la mano stretta come una morsa sul suo colletto, il corpo l’avrebbe seguita oltrepassando la ringhiera e precipitando giù nella scarpata. Invece i suoi piedi non si mossero da terra, se li guardò mentre sentiva sulla lingua il sapore amarognolo del sangue che andava a mescolarsi con le lacrime. Cominciò a versare più acqua della fontana alle sue spalle, non tanto per il dolore – pure fortissimo – quanto per non riuscire a capire la ragione di quello schiaffo. Viste le sue imprese non era certo il primo né sarebbe stato l’ultimo ma, come sempre, bolliva dalla rabbia quando le prendeva senza motivo e in questo caso non riusciva proprio a trovarne uno.

Poi fu sollevato bruscamente da terra, afferrato per la cintola e infilato sotto a un braccio come se fosse una fascina di grano. Finalmente capì.

In giro non c’era anima viva ma lui lo stesso si mise ad urlare. Si procurò così un altro colpo, questa volta nello stomaco, finché la mano che l’aveva percosso due volte gli si serrò sulla bocca. Pochi passi nella direzione opposta a quella del suo arrivo e vide sopraggiungere un altro uomo, con in mano un sacco di iuta per le sementi uguale a quelli caricati sul carro con suo padre e suo fratello l’anno prima, nella sua giornata di mare.

Come aveva fatto a non pensarci subito? Pezzo di somaro.

Sapeva quanto stava succedendo in paese e quindi osservò senza meraviglia l’uomo aprire il sacco e infilarglielo sopra la testa, mentre l’altro lo lasciava scivolare all’interno. Lo sollevarono in due e cominciarono a correre.

Non poteva vedere nulla anche se non era del tutto buio – un po’ di luce filtrava dalla fibra della tela – eppure ora Santino sapeva come si sentivano i conigli catturati e trasportati in quegli stessi sacchi.

Continuò a piangere di paura più che di dolore e, terrorizzato, si accorse di non aver mai desiderato tanto le scudisciate di suo padre.

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