Una singolare eredità

14,00

Formato: Libro cartaceo

Autore: Ludovico Alia

Note sull’autore

 

COD: ISBN 978-88-6690-426-7 Categoria: Tag:

Descrizione

Sergio è un ragazzo a cui la vita non ha donato molto.

Ma ha in serbo alcune grosse sorprese.

Le cose pare vadano nel modo peggiore quando una lettera di un notaio torinese annuncia una imprevista eredità.

Il protagonista verrà avvolto da una nuova e mai nemmeno immaginata realtà che sino ad allora gli era stata nascosta dalla propria madre. Conoscerà persone molto particolari, il mondo dei voyeur torinesi, e comprenderà che per certe persone il sesso è un gioco da vivere in un certo modo.

Venti giorni di un caldo luglio torinese che cambiano profondamente la vita di Sergio e, ciò che più conta, gli permettono di scoprire se stesso.

 

INCIPIT

1° luglio 2002

Oggi è una delle giornate più negative di tutta la mia vita, una data che proverò a sistemare nel più profondo angolo della mia mente, è il 1° luglio dell’anno 2002.

La mia esistenza sino a oggi non è stata certo esaltante e ora, con freddo cinismo, mi viene tolta l’unica possibile illusione, l’unico progetto mai immaginato.

Non posso certamente ignorare quanto è accaduto, ciò che ho visto, la rabbia che ho nel cuore.

Ma sono e resto un inguaribile ottimista: ragiono. Forte degli insegnamenti e dei consigli che mi ha impartito mia madre, in fondo sarebbe stato peggio, molto peggio, se non me ne fossi reso conto.

Forse un’anima pietosa ha fatto in modo che potessi accorgermi della verità.

In questo momento, e cioè alle 9:00 di mattina, apro la porta ed entro nell’androne del mio condominio.

Sbircio nella mia cassetta postale e raccatto le tre buste che trovo al suo interno poi infilo le scale che mi condurranno al mio alloggio: nel palazzo in cui vivo non c’è ascensore.

Socchiudo la porta del sottotetto che è anche la mia casa e entro in quell’unica camera di cinque metri per cinque con il soffitto spiovente. È ciò che mi posso permettere con il risicato stipendio che percepisco come guardia giurata.

Mi sono trasferito qui da poco meno di un mese, e cioè da quando mia madre è volata in cielo dopo aver trascorso una vita difficile ma onesta.

Getto la corrispondenza sul tavolo in mezzo alla stanza, la aprirò dopo, e mi spoglio gettando lo zaino e la sgualcita e consunta divisa da vigilante sul letto.

Entro nel piccolo bagno di due metri per uno e mezzo, e mi infilo nella doccia.

L’acqua tiepida scorre sulla pelle e mi rilassa: mi permette di lasciar vagare la mente per qualche minuto e analizzare ancora una volta la mia vita e in particolare gli ultimi avvenimenti.

Annoto un padre che, prima di morire, ha pensato bene di perdere tutto il denaro al gioco d’azzardo, lasciandoci in cambio un cumulo di debiti.

Non era stato un buon genitore e nemmeno un buon marito.

Rispetto il suo nome e la sua figura unicamente perché mia madre continuava a ripetermi che quello era mio padre, e anche solo per tale merito dovevo rispettarlo e amarlo.

La mamma era puntigliosa, precisa e molto, molto religiosa. Essere poveri talvolta porta a controllare e gestire tutto in modo maniacale per manifesta impossibilità di poter compiere un qualsiasi errore: una spesa non indispensabile non era assolutamente nemmeno immaginabile.

Che scenata quando ero tornato da scuola con la cartella rotta!

Mi rendo perfettamente conto di avere ereditato quella maniacale precisione: la esercito su tutto ciò che mi circonda e che possiedo.

Non getto cibo, eseguo regolarmente le pulizie di casa, qualsiasi guasto lo riparo autonomamente e mai ho chiesto assistenza dall’esterno: «Bisogna sapersela cavare da sé!» continuava a ripetermi mia madre.

Ho anche acquisito la sua mania di paragonare il viso delle persone a quello degli animali: mamma diceva sempre che l’espressione rivela il vero carattere: una persona con un viso da ratto ha buone probabilità di comportarsi come l’animale a cui somiglia, e di rivelarsi uno scaltro approfittatore delle disgrazie altrui.

I fiori per la tomba di mio padre, nonostante la nostra povertà, non erano mai mancati; e quante volte ci eravamo recati al cimitero! In fondo, mi sono sempre sentito quasi estraneo a quell’uomo che andava e veniva da casa, non si sapeva mai dove fosse e quali fossero le sue occupazioni.

Al contrario capivo perfettamente le gravi difficoltà in cui si dibatteva mia madre, avvertivo il dolore che provava. Ero e rimango profondamente legato a quella donna semplice, dolce e tranquilla, che ancor prima di partorirmi si prodigava nel tentare di ragionare con quell’uomo, di convincerlo che il vino e il gioco non erano la strada corretta da seguire. Poi un giorno la polizia ci aveva avvisato di aver rinvenuto il corpo senza vita di mio padre in una roggia nelle campagne limitrofe a Reggio Emilia.

Mia madre da quel momento aveva dedicato la vita a me e alla chiesa cattolica, provvedendo ai miei bisogni, senza chiedere aiuto a chicchessia se non alla parrocchia e al sacerdote.

Messa ogni domenica e preghiere ogni giorno.

Mamma si era spaccata la schiena lavorando come cameriera, donna delle pulizie, badante per anziani non autosufficienti. Grazie al suo lavoro e al denaro guadagnato, avevo conseguito la laurea in Scienze Forestali: sognavo di entrare nella Guardia di Finanza, ma non mi riuscì di entrare nei ranghi dell’esercito per una presunta insufficienza cardiaca. In seguito ero riuscito a trovare lavoro, molto tempo dopo, come guardia giurata.

Nonostante il lavoro regolare, il mio conto in banca è in condizioni pietose.

Lo stipendio base non è purtroppo sufficiente a pagare i costi dell’affitto e delle spese condominiali, anche a causa della palese poca correttezza dell’amministratore, unite a quelle delle bollette e le spese per il cibo e i generi necessari.

Devo continuamente chiedere di fare turni di lavoro straordinari per riuscire a sbarcare il lunario e questi fortunatamente mi vengono concessi. Il motivo? Perché sul posto di lavoro ho incontrato Viviana, la sorella del mio responsabile: bruttina, il viso paragonabile a quello di una sfortunata scimmia macaco passata sotto a uno schiacciasassi, e dotata di un carattere freddo e ombroso. Gli altri attributi del corpo però li aveva tutti piacevolmente proporzionati e anche grazie alle spinte nemmeno troppo velate ricevute dal fratello, le avevo chiesto di uscire e lei aveva immediatamente accettato. Passati sei mesi ci eravamo fidanzati con il classico anello che Viviana aveva infilato al dito senza peraltro esternare troppa gioia. Mia madre era rimasta contenta di quella bella novità: desiderava che mi trovassi una compagna e sognava di vedermi all’altare.

In passato non ero mai uscito con una ragazza: quando sei povero e non proprio un adone le squinzie ti evitano e preferiscono i ragazzi che possono offrire il cinema e che magari sfoggiano una bella autovettura per portarle in giro.

Erano trascorsi altri sei mesi e Viviana, pur essendo mia coetanea, aveva mostrato mille remore e ritrosie a concedere i momenti di intimità che sono naturali per una coppia di fidanzati.

D’accordo, nemmeno io sono bellissimo; il grosso e lungo naso sul mio viso non è forse motivo di grande attrattiva per una donna, e forse neppure la incipiente calvizie aiuta ad invogliare un rapporto intimo, ma anche in considerazione dell’ufficialità dell’unione, Viviana avrebbe dovuto comprendere che di certe cose un uomo avverte necessità, a ventisette anni.

Ad ogni buon conto non eravamo mai andati oltre la masturbazione reciproca, anzi, Viviana si era sempre rifiutata di farmi raggiungere l’orgasmo.

Nei momenti finali dovevo provvedere da me mentre lei mi osservava annoiata.

«Mi fa schifo lo sperma» diceva «e il rapporto completo solo dopo il matrimonio.»

In ogni caso mi ero impantanato io in quella situazione.

Speravo che il futuro potesse essere latore di imprevedibili miglioramenti. Ero un illuso.

D’altra parte, se avessi rotto il fidanzamento con la sorella, Pino, così si chiama il mio capo, denominato ‘Taz’ per la somiglianza con il fumetto della Warner Bros, il piccolo diavolo della Tasmania, a cui veniva accomunato in particolare per il carattere collerico, mi avrebbe fatto sicuramente licenziare.

Di lavorare ne avevo bisogno e non è così semplice trovare una nuova occupazione con una laurea da forestale.

Se prima desideravo ardentemente andarmene, non so ancora dove e neppure quando, da stamane il desiderio è aumentato in modo esponenziale.

Ieri pomeriggio mi ero presentato agli uffici della security con forte anticipo per poter elemosinare a Pino qualche ora di straordinario in più.

Mi aveva risposto evitando la domanda diretta dicendomi: «Questa sera non farai il solito giro, Francesco è ammalato e tu devi sostituirlo: ti mando al centro commerciale in coppia con Mirella. Poi verso le 23:00 arriverò anche io a controllare se è tutto a posto. Dovete fare la ronda tra la galleria dei negozi e il parcheggio interno, quello coperto. Talvolta gli addetti dimenticano le sbarre di protezione aperte e nella struttura entrano barboni, tossicodipendenti e coppiette in amore. Se la situazione fosse questa non dovete scacciare nessuno ma dovete controllare che rimangano nel parcheggio e non entrino nel centro commerciale vero e proprio, intesi?»

Mirella era l’amante di Pino, lo sapevano tutti, quella ragazza dal viso dolce da gazzella africana e per questo godeva di tutti i favoritismi e dei turni migliori e meglio remunerati.

Se Pino la mandava a fare un turno di notte doveva proprio essere a corto di personale.

Io non batto ciglio: «Sì capo, ho capito, ma per quelle ore in più che ho chiesto?»

«Di quelle non ti devi preoccupare. Sto già organizzando tutto. A proposito, come va con mia sorella?»

«Molto bene, andiamo d’accordo e vorrei fissare la data del matrimonio. Purtroppo non posso farlo perché non possiedo la cifra di denaro necessario a organizzare il tutto ed è per questo che domando di fare molte ore di straordinario» dico, mentendo in parte.

E così quella sera mi avvio al centro commerciale con Mirella come compagna.

Decisamente una bella ragazza, i capelli biondi raccolti in una crocchia sulla nuca incorniciano un viso dolce ma allo stesso tempo deciso.

La tuta militare cela un corpo aggraziato e ben proporzionato.

Normalmente lavora nel call center della security e tutti sanno che non ha esperienza di servizio attivo di vigilanza: non credo che, in caso di aggressione da parte di qualche malintenzionato, possa difendersi in modo adeguato.

Personalmente posso contare sui corsi di karate che mia madre mi ha fatto seguire in parrocchia: erano gratuiti ed ero addirittura diventato uno degli istruttori.

Ero effettivamente un po’ preoccupato di avere al mio fianco una collega che invece di aiutarmi sarebbe stata un peso, ma che fare?

Iniziamo il giro d’ispezione mentre Mirella si sofferma spesso a osservare le vetrine stracolme di scarpe, vestiti e ninnoli, come di solito fanno le donne. Per fortuna i negozi e il supermercato sono chiusi più di un’ostrica minacciata da un polpo, sennò sono certo che potrebbe addirittura entrare a fare acquisti.

Usciamo dalla costruzione per effettuare un giro esterno e notiamo l’accesso al parcheggio spalancato: sbarra alzata e cancelli aperti.

Torniamo alla galleria interna, lentamente, senza chiacchierare, sino a raggiungere l’accesso che dall’interno del centro commerciale porta al parcheggio.

Controlliamo che la porta di transito alla passerella di collegamento al multipiano sia ben chiusa e torniamo indietro per effettuare un altro giro di perlustrazione.

Intorno alle 23:30 Mirella riceve una telefonata sul suo cellulare. Dopo aver parlato alcuni secondi al telefono, ponendosi lontano da me per non farsi udire, si avvicina e mi chiede di dirigere i nostri passi verso la porta del parcheggio.

«Perché?» domando io. «Abbiamo verificato ed è chiusa, sprangata, non c’è nulla che non va.»

«Sì, lo so, ma ho appuntamento con Pino proprio lì, ora.»

«Quindi ti aspetta lì fuori? Non mi pare una buona idea aprire quell’accesso.»

«Tu rimarrai ad aspettarci, non ci metteremo molto, non preoccuparti.»

Non sono certo entusiasta ma come al solito devo chinare la testa e obbedire.

Apriamo l’accesso e Mirella si precipita fuori ad abbracciare il suo amante.

Pino, rivolgendosi verso di me: «Tu rimani qui, ho solo bisogno di parlare un attimo in privato con Mirella; ho già controllato il parcheggio e a parte qualche coppietta che sta amoreggiando non c’è nessuno. Non preoccuparti, torniamo subito».

Un bel dire non preoccuparti. Ma se succede qualcosa poi chi è quello che viene licenziato?

La fioca luce della strada non consente di vedere nulla; per fortuna ho sempre con me un po’ di attrezzatura speciale, come ad esempio il visore notturno che ho comprato a poco prezzo dai commercianti girovaghi polacchi. Made nella ex CCCP, forse un po’ grosso e pesante, ma funziona benissimo.

Rimango fermo alla porta, all’esterno.

Ogni tanto punto il visore in giro: per fortuna è tutto tranquillo.

Il tempo scorre lento e passa quasi un’ora: Mirella e Pino non si vedono.

Temo che non stiano solo parlando.

Trascorre un ulteriore quarto d’ora e decido di andarli a cercare: non si devono permettere di lasciarmi lì come un merluzzo sotto sale ad attendere i loro comodi!

E che Pino dica quel che vuole!

Appiccico un piccolo pezzo di nastro adesivo tra lo stipite e porta: se qualcuno entra lo strapperà e io potrò accorgermene.

Mi avvio e transito sulla passerella in cemento armato, ponte di collegamento con il parcheggio coperto, e osservo la strada sottostante: qualche micio impegnato a rovistare tra i rifiuti del ristorante, vedo circolare anche qualche grosso ratto che si unisce al banchetto senza per altro provocare alcuna protesta da parte dei felini: ce n’è per tutti.

Ma come fanno a mangiare quella roba? Mah, in effetti anche noi umani mangiamo porcherie, quelle nei bidoni, tutto sommato, puzzano solo un po’ di più.

Arrivo al multipiano.

Il secondo livello è praticamente sgombro da autovetture. Ne vedo solo una e punto il visore facendo attenzione a non farmi notare.

La lucina rossa dell’emettitore infra red si noterebbe, dalla parte di chi viene osservato, come un campanile in un paese di campagna.

Nell’automobile distinguo un uomo e una donna: si stanno baciando.

Sento un brivido provenire dal cavallo dei pantaloni: ogni tanto, durante il mio lavoro, mi capita di osservare qualche coppietta in automobile e sì, lo ammetto, mi sono anche masturbato spiandoli.

Non molto professionale, per nulla etico, ma non ho una vita sessuale molto soddisfacente, come avrete già capito, e sono sceso a patti con il demonio, almeno per questo.

Devo trovare Mirella e Pino.

Passo al terzo piano ma la porta pedonale di accesso è chiusa, potrei provare al primo o al quarto piano. Già che son qui passo al quarto e do un’occhiata.

Il quarto piano è deserto; c’è solo un mucchio di stracci in un angolo che dovrebbe essere il ricovero di un senzatetto che dorme.

Sul pavimento ci sono delle grate che permettono all’acqua piovana di defluire quando, per varie ragioni, penetra nell’area del parcheggio coperto.

Attraverso questi grigliati vedo delle autovetture, e anzi, anche se il parcheggio è male illuminato, una di esse credo di riconoscerla: la Opel Astra station wagon di Pino.

Mi fermo e osservo meglio: la macchina sta ondeggiando leggermente: e che cavolo? Stanno… accidenti.

Sollevo una sezione della grata e punto il visore all’interno della vettura.

Sono praticamente nudi, e Pino sta penetrando Mirella da dietro.

Hanno lasciato un cane da guardia alla porta del centro commerciale e loro si stanno divertendo, bella mossa!

Sai che penso? Mi diverto anch’io, a modo mio, cioè come posso.

Mi apro la patta dei pantaloni e inizio ad accarezzarmi. Devo fare attenzione a non farmi beccare, ma non possono certo vedermi dalla macchina, e se non sollevano lo sguardo verso il soffitto del parcheggio, cosa improbabile, sono al sicuro.

Il clochard è immobile e continua a dormire.

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