Descrizione
L’omicidio di Gloria Baroni ha un movente passionale forse attribuibile a Paola D’Ilari, una trentenne ossessivamente gelosa e dal passato difficile, come appare a prima vista, o nasconde una matrice politica, come alcuni indizi sembrano rivelare al Commissario Soccodato?
L’autunno del 1977 è una stagione di violenze e attentati, perpetrati dalle Brigate Rosse e da gruppi neofascisti. Nel corso delle sue indagini Soccodato scopre sotto una galleria ferroviaria un deposito di armi e di documenti che rivelano legami fra trame nere (Golpe Borghese, strage di Brescia…), CIA e SID deviato. Esaminando le carte con l’aiuto del “cugino 007” Mimmo Garretto, il poliziotto s’imbatte nel padre di Paola D’Ilari, un apparentemente innocuo signore che lavora nell’ombra come trait d’union tra terroristi neri, servizi segreti e intelligence statunitense.
Una storia complessa e inquietante, che Soccodato saprà dipanare con la sua abituale logica e il suo buon senso.
Fregene (Roma), 24 ottobre 1976 – Domenica, verso sera
“Amava soltanto la moto,
protetto dal casco integrale,
correva a centocinquanta per la città;
aveva una tuta di pelle,
un’alta cintura alla vita,
sembrava un guerriero cattivo dell’aldilà…” [1]
«Pure il mangiadischi te sei portata! Ma… che disco è?!»
«Raffaella Carrà… È il lato B di Felicità tà tà, la sigla di Canzonissima, ti ricordi?»[2]
“… Faceva un rumore infernale,
passava e faceva paura,
correva a centocinquanta per la città.
Tremavano i vetri di casa,
scappavano donne e bambini,
sembrava un guerriero cattivo dell’aldilà…”
«Te prego… leva ’sta roba!»
«Perché?!»
«Ma come perché… dai! Canzonissima… È roba vecchia…»
«Però, ammettilo, pare che parli proprio di te!»
“… preciso, la sera alle sei,
la tuta più scura che mai,
andava al raduno di amici davanti al bar.
La moto gli dava potenza,
potere gli dava il rumore,
sembrava un guerriero cattivo dell’aldilà…”
«Ma falla finita…»
“… Credeva di essere forte,
soltanto per via della moto,
ma dentro la testa era vuoto,
o giù di là…”
«Praticamente il tuo ritratto…»
«Ma che caz..! Piuttosto, abbassa il volume, che se ci beccano…»
«Nessuno ci sente! Te l’ho detto: questa casa è mezza abbandonata!»
«Ah, sì?! Da quando? E poi che vuol dire mezza abbandonata?!»
«Vuol dire che i proprietari si fanno vivi sì e no un giorno o due l’anno, mentre un sacco di gente entra, fa fotografie, si infratta… Ma poi a te, in sostanza, che te ne frega?!»
«E i vicini?»
«Tranquillo! Non ci sta nessuno. Sono tutte seconde case per le vacanze. E poi… chi si introdurrebbe qui, a quest’ora, per vedere cosa succede?!»
«Mi piacerebbe capi’ che ci trovi in un posto del genere?!»
«È bellissimo, dai, sembra una costruzione spaziale! È un capolavoro di architettura moderna… Si chiama Brutalismo.»
«Tutto sembra meno che un capolavoro! Pare la casa di Eta Beta! Ma chi l’ha costruita?»
«Una famiglia di architetti: moglie, marito e figlio. Ci si saranno divertiti! In effetti sembra un giocattolone fatto coi Lego…»
«Un incubo! Passame la torcia, va’, ché qui a ogni passo rischiamo er capitombolo… ce stanno scalini dappertutto!»
«Andiamo nella stanza della meditazione…»
«Quale sarebbe?»
«Quella laggiù, a forma di sfera…»
«Ah, quella palla là! Ma, scusa tanto, perché avrebbero costruito ’sta casa se poi non ci vengono?»
«Che cazzo ne so! A me piace venirci e basta…»
«Di notte!»
«Soprattutto di notte! Basta saltare il cancello… Hai visto? Sotto, tra i pilastri, c’è l’acqua. Una grande piscina che quando piove si riempie e dà l’effetto palafitta…»
«E spiega le zanzare che me se stanno a magna’! Pure a fine ottobre, mortacci loro!»
«Vieni, ti faccio strada… attento ai gradini»
«Che hai detto che sarebbe ’sta palla?»
«La stanza della meditazione.»
«E come mai è separata da tutto il resto?»
«Boh! Forse per dare una sensazione di distacco dalla realtà… La sfera è simbolo dell’universo… Vedi? Sul pavimento ci stanno i cerchi dello zodiaco, simboli cosmici…»
«Io sento solo gran puzza de muffa! E ’ste cazze de zanzare!»
«Non fare il difficile! Non esistono solo i monumenti decrepiti che piacciono a te e a tuo padre!»
«Decrepiti!! Quelli stanno là da dumila anni a testimonianza della grandezza di Roma imperiale! Vojo vede’, tra cent’anni, se ’sta merda starà ancora in piedi…»
«Uff! Quanto sei noioso! Roma imperiale… Il Colosseo, i fori, certo, ci sono ancora… ma l’impero, bello mio, è morto e sepolto!»
«Questo lo dici te! Hai visto che nel ’36…»
«Mo’ non ritira’ fuori la storia del duce… quell’impero è stato poco più d’una barzelletta!»
«Ahó, ma lo sai che hai rotto le palle!? Vie’ qua, piuttosto…»
Eccolo! Stavo in pensiero… Quanto lo fa sentire maschio tirarmi a sé dicendo “vie’ qua”! Lo dice sempre. Poi allunga le mani sul seno. Sempre. Certe volte ci mette un po’ più di forza. Ma mai tanta, come piacerebbe a me! Adoro quando mi prendono a schiaffi il culo e le tette. Pure da sola me le strizzo, le tiro come fossero di gomma, me le piglio a sberle fino a renderle toste e arrossate. A lui basta toccarle con un po’ di veemenza e… si eccita. Lo avverto dalle dita che gli tremano. Potrebbero essere le sigarette che cominciano a minargli il fisico, pure se è giovane, ma non sono le sigarette: è l’eccitazione. E io lo so perché ha uno strano effetto su di lui. La maggioranza degli uomini diventa animale, invece lui s’intenerisce. Il “cavaliere nero” smonta dalla BMW R75 – m’ha fatto du’ palle così col modello della sua moto, che alla fine l’ho imparato! – e diventa romantico. Dopo il primo strattone, accompagnato dall’immancabile “vie’ qua!”, mi prende la testa con dolcezza e la accosta al petto. Sento il cuore: batte come volesse schizzar via. Faccio un po’ di resistenza per stuzzicare la sua voglia e lui se ne esce regolarmente con la frase: “di’ che mi ami!”. Lo dice sempre con un tono così soffocato e querulo che le prime volte pensavo si sentisse male. Vado avanti con la sceneggiata: lo attiro su di me e gli dico con voce carica di sensualità che lo amo… sì, lo amo per la sua forza, lo amo per il fuoco che gli accende gli occhi, lo amo per il suo corpo… Sussurrate introducendogli la lingua calda e umida nell’orecchio, queste parole lo portano a ebollizione. Si divincola dal mio abbraccio perché, si capisce, è il grande maschio che deve decidere la posizione del coito! E mi prende…
L’equipaggiamento del centauro non è di quelli che rimangono impressi! E ancor meno gratificante è l’impiego che ne fa. La durata dell’amplesso supera difficilmente quella del disco sul piatto del mio Lesa, il ritmo dei suoi lombi rallenta e si arresta prima del pick-up e lui s’affloscia, pesante, mentre continuo a solleticargli l’orecchio con le labbra e con le vaneggianti frasi che ci si aspetta dalla donna grata all’uomo che l’ha virilmente posseduta. Una volta l’ho preso per il culo davanti ai suoi amici dicendo che se fosse un pilota di Formula 1 riuscirebbe a consumare un rapporto completo nel tempo di un cambio gomme… S’è incazzato da matti!! Avvicino il mio viso al suo ancora ansimante. Gli stampo piccoli, delicati baci sugli occhi, sulla fronte, sulle labbra e sul collo… E pure stavolta il pagamento della pigione è rimandato a data da destinarsi.
[1] Il guerriero (G. Boncompagni) – canta: Raffaella Carrà (1974).
[2] Felicità tà tà (G. Boncompagni – D. Verde – P. Ormi) – Sigla di testa dell’ultima edizione della trasmissione televisiva Canzonissima in onda dal 6 ottobre 1974 al 6 gennaio 1975 – canta: Raffaella Carrà (1974).
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