Un pomeriggio di primavera

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Formato: Libro cartaceo pag. 172

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Autore:MauroFranco

Note sull’autore

 

o Tripla E

 

COD: ISBN: 978-88-5539-302-7 Categoria: Tag:

Descrizione

Un gruppo di anziani habitué, una capra curiosa e un occasionale escursionista si ritrovano accanto a un pilone votivo in un bel pomeriggio di primavera e si raccontano storie. Di ambientazione valsusina, sono vicende della piccola provincia che abbracciano tutto il Novecento, mettendo in scena i personaggi più disparati, dagli sposini dei primi anni del secolo, la cui luna di miele si riduce ad una visita di mezza giornata a Torino, al periodo del fascismo e delle leggi razziali, alla Seconda guerra mondiale, al reduce dalla prigionia che ritrova l’amore della sua ragazza fino al reduce “inopportuno” che, tornato dopo anni dalla Russia, scoprirà che la sua ricomparsa nuoce alle dinamiche della famiglia e del paese… e tanti altri uomini e qualche donna, buoni e meno buoni, coraggiosi o vili, giovani o vecchi. Un insieme di situazioni, personaggi e voci che si affollano e che si presentano come l’affresco di un mondo che è sì provinciale, ma che potrebbe essere di qualsiasi provincia italiana, a raccontare il nostro passato recente che pure, per tanti aspetti, ci sembra già così lontano, quasi relegato in un’altra epoca. Per ricordarla a chi l’ha vissuta e per farla conoscere a chi non c’era.

INCIPIT

Quegli scarponcini li avevo comprati dopo averne provati almeno una decina di paia. Eppure, in quel tiepido pomeriggio di primavera, dopo pochi chilometri a passeggio sulle vecchie mulattiere che disegnano i loro arabeschi tra i boschi della piccola borgata di Peroldrado, un fastidioso mal di piedi cominciò a tormentarmi. Ero indeciso tra lo sfilarmi quegli strumenti di supplizio e proseguire a piedi scalzi oppure lasciarmi cadere a terra e riposarmi. Dopo pochi minuti mi trovai ad affiancare un malridotto muro a secco e, mentre camminavo cercando un punto dove sedermi, intravidi un pilone votivo. Mi avvicinai con l’intenzione di sedermi là vicino e togliermi le scarpe. Stavo sciogliendo i lacci quando udii un calpestio sull’erba, dalla cadenza parevano i passi brevi e spediti di un bambino che stesse correndo. Ero pronto a scorgere il faccino di un marmocchio, sperando di non impaurirlo con la mia presenza. Avevo abbozzato un sorriso in modo da mostrare una certa affabilità quando, al cessare del calpestio, mi apparve il volto cordiale e cogitabondo di una capretta. Corrugava la fronte come se si stesse sforzando per comprendere chi potessi essere, mentre un debole refolo le stava muovendo i barbazzali.

«Giovanotto, te ne stai sdraiato per terra. Io alla tua età correvo dietro alle marmotte!» mi sentii dire.

Comparve un signore dal volto grinzoso e rubizzo, addolcito da un sorriso affabile e quasi infantile.

«Purtroppo le scarpe nuove mi hanno tradito e i miei piedi si stanno lamentando» risposi a quell’uomo che ispirava in me un’innata simpatia.

Nonostante la fisiognomica sia una pseudoscienza sconfessata da molti studiosi, rimango con la convinzione, avvalorata finora dai fatti, che con le persone dotate di sorrisi schietti e genuini si possa chinare lo scudo dietro al quale ci ripariamo.

Dopo pochi secondi altri lo raggiunsero e cominciarono a disporsi davanti al pilone, chi adagiato sul muro a secco, chi seduto sull’erba inverdita dalla primavera. Solamente la capretta rimaneva impassibile in piedi, seguitando a scrutarmi con un bizzarro sguardo indagatore.

«Con il bel tempo veniamo in questo luogo pressoché tutti i giorni. Così trascorriamo un pomeriggio insieme a raccontarci aneddoti e a discutere a proposito dei vari argomenti sui quali riusciamo sempre a non andare d’accordo.»

In pochi secondi arrivarono, alcuni ansimando, altri suoi amici.

«Oggi abbiamo un giovanotto a tenerci compagnia e ad ascoltare le nostre storie da vecchi bacucchi.»

Avevo superato i quarant’anni da un po’, ma viviamo in un’epoca in cui si continua a essere considerati ragazzi fino a un’età indefinita.

Fin da bambino ho sempre gradito seguire i racconti degli anziani. Vivere la loro epoca attraverso i loro aneddoti.

«Mi fa piacere stare qui assieme a voi. All’ombra di questi castagni sarò ben lieto di far riposare i miei stanchi piedi attingendo alla vostra saggezza.» Pronunciai questa frase con un tono quasi poetico volendo apparire un po’ ironico, ma non troppo.

«Qua siamo all’ombra e, se dovesse piovere, possiamo ripararci sotto lo spiovente del pilone. Così come faceva il povero Raffaele» ribadì uno di loro mordicchiando un bastoncino di liquirizia.

«Ma sei sicuro che quel randagio di Raffaele dal Collombardo arrivasse fino a qua?» replicò un altro.

«Ma che Collombardo! Raffaele abitava qua vicino a Campambiardo.»

Sulla località di provenienza di Raffaele, persona a me completamente ignota, cominciò una controversia che divise il gruppo in più fazioni.

«Scusate, ma chi era Raffaele?» Dopo una decina di minuti tentai di mettere fine alla diatriba spostando la loro attenzione.

«Te lo racconto io! Di che paese fosse non mi ricordo con precisione, comunque era di qui, della Valle di Susa. Facciamo finta che fosse del Collombardo.»

«Va bene! Il Collombardo non è neanche un paese, ma è una montagna. Così mettiamo d’accordo tutti!» Con questo commento riuscii, incredibilmente, a far sì che i contendenti si placassero per ascoltare il racconto.

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