Trentasei colori del buio – Il segreto di Sara

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Formato: Libro cartaceo

Autore: Raffaele Aveta

Note sull’autore

COD: ISBN 978-88-6690-478-6 Categoria: Tag:

Descrizione

Michele Grimaldi, un chimico che vive a Milano e scrive per una rivista scientifica, è ossessionato da tempo da un sogno. Durante un viaggio a Roma, riconosce nelle strade del Ghetto i luoghi del suo incubo e trova una traccia che lo conduce a Sara Bemporad, una ragazza ebrea deportata ad Auschwitz nell’ottobre del ’43. Nella casa dove viveva la ragazza, trova un ciondolo d’oro che ha la forma di croce uncinata ornata di pietre preziose di diversi colori.
Michele, spinto dall’impulso di scoprire se Sara sia ancora viva, ne ripercorre le vicissitudini, che l’hanno portata prima a Torino, poi a Vienna, e di là a Lione, dove apparentemente si perdono le sue tracce. Anche un gruppo di ex nazisti, però, la ricerca attivamente, e Michele, sospettato di avere informazioni che in realtà non possiede, correrà un serio pericolo. Ma l’importante segreto di Sara è stato ben custodito…

INCIPIT

Prologo

Corro nella nebbia bassa e leggera. All’improvviso un ostacolo, non c’è tempo per urlare. Sposto il peso del corpo e la corsa perde il ritmo, le falcate si allungano nel tentativo di ritrovare l’equilibrio. Una mano mi afferra il braccio e lo stringe con forza, la schiena si inarca, le gambe cedono.

La fuga è finita. Silenzio.

Apro gli occhi annebbiati dalla fatica e lo sguardo si posa su volti freddi, bianchi, immobili.

CAPITOLO 1

Varcare l’androne di quel palazzo mi provoca sempre la stessa sensazione. Sembra che il tempo si fermi, come in una vecchia fotografia rivista mille volte.

Bruna Danieli è la mia terapeuta da qualche mese. Una donna di cinquanta anni, portati bene, accurata nel vestire e affabile nei modi, il suo sorriso aperto e sicuro accoglie i pazienti sulla porta dello studio.

«Buonasera, signor Grimaldi.» Mi fa cenno di sedere.

«Come va?»

«Come al solito.»

Sorride con aria rassicurante.

Mi invita ad accomodarmi sul divano, ma rimango seduto sulla sedia. Abbiamo all’incirca la stessa età e, a giudicare dai quotidiani che qualche volta le ho visto spuntare dalla borsa, anche le stesse idee politiche. Ma nella visione del mondo siamo su posizioni opposte: lei è convinta che Freud ci abbia consegnato le chiavi del sapere e del potere, io che la realtà abbia i piedi ben piantati a terra, grazie alla legge del vecchio Newton che nessun Io o Super Io potranno mai cambiare.

Trattengo un mugugno: «Come faccio a staccare la spina? Mica posso girare un interruttore per fare clic».

«Deve trovare il selettore mentale e girarlo su “relativizza il relativo”. Deve impedire che la sua ansia renda ogni problema un assoluto.»

La guardo con aria perplessa. Frase complicata per esprimere un concetto semplice: non te la devi prendere. Non so se irritarmi o buttarla sull’ironia.

«Ogni assoluto può diventare relativo.»

«Relativizzare il relativo, basta questo per risolvere il mio problema?»

«Insieme possiamo trovare gli strumenti per capire. Le soluzioni dovrà trovarle lei.»

«Certe volte ho la sensazione di essere dentro alle sabbie mobili. Più mi agito, più sprofondo e più mi convinco che non riuscirò a trovare la via d’uscita.»

«Ha fatto ancora quel sogno?»

«Sì, purtroppo.»

«Me lo racconti di nuovo.»

«Corro a perdifiato nel buio, la sensazione di morte è fortissima. Corro finché non urto qualcosa o qualcuno e quando rialzo la testa vedo delle facce bianche, immobili, che mi fissano. Mi risveglio sudato, ansimante, e non riesco più a riprendere sonno. L’angoscia mi accompagna per tutta la notte e il giorno seguente.»

«C’è qualche particolare nuovo emerso ultimamente?»

«No. Ma ho sempre la sensazione che mi sfugga qualcosa.»

«Sono quasi due anni che fa questo sogno.»

«Sì, circa due anni, ma col passare del tempo si è fatto sempre più frequente e sempre più vivido.»

«Mi parli ancora del sogno. Le facce che vede le ricordano qualcuno?»

«No. Sono immobili, inespressive.»

«Sono volti di uomini o di donne?»

«Non so dirlo con precisione. Forse di donne. Un viso di donna sembra meno minaccioso.»

«Perché pensa questo?»

«Non lo penso io, lo dice la statistica. Gli assassini sono quasi sempre maschi e gran parte delle violenze sono maschili, così come i generali che hanno massacrato popoli interi, da Giulio Cesare a Napoleone, per non parlare di dittatori come Hitler o Stalin.»

«Come sarebbe il mondo se fossero le donne a governare?»

«Di sicuro migliore.»

«Non è una opinione molto diffusa tra gli uomini.»

«Lo so che sembra strano detto da un uomo, ma sono convinto che voi donne siate migliori di noi.»

Sorride. «Quindi si aspetta che nel sogno venga una principessa a salvarla?»

«Non so se ci sia salvezza al di là di quelle facce bianche ma, se ci fosse, verrebbe sicuramente da una donna.»

«Sta sconfinando in una lezione di catechismo cattolico?»

«Io? Figuriamoci!»

«Il cristianesimo è l’unica religione che pone una donna come strumento di Dio per la salvezza del mondo» aggiunge la Danieli.

«Ma io sono veramente convinto che le donne siano migliori degli uomini. Quando vi abbiamo lasciato governare ve la siete cavata molto meglio di noi.»

«Come donna ne sono lusingata, ma come terapeuta vorrei capire meglio queste sue affermazioni.»

«Prima mi aiuti a capire il sogno. Perché continua a perseguitarmi, cosa vogliono da me quelle facce?»

«Ha provato a ripensare al suo passato? C’è qualcosa che gli somiglia? Sarebbe in grado di dargli un nome?»

«Dargli un nome?»

«Nel linguaggio biblico, pronunciare il nome di qualcuno vuol dire conoscerlo nel profondo, per questo il nome di Dio era espresso dal tetragramma, una serie di consonanti impronunciabili.»

«Capisco. E questo dio senza nome che porto dentro come lo posso trovare?»

«Finché rimarranno senza nome, le paure saranno le sue padrone. Cerchi nella sua mente.»

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