Descrizione
Salvatore, 19 anni, dopo tre anni passati in una comunità rieducativa, si trasferisce a Ferrara dalla natia Puglia, ospite dello zio, che lo obbliga a impiegarsi come corriere espresso, mentre lui sogna di lavorare in un ristorante. Pieno di rabbia e frustrazione, smarrito di fronte al mondo degli adulti con i quali viene in contatto, che vede dominato da violenza, maleducazione e cialtroneria, grazie all’amicizia di Giulia e alla scrittura di un diario, Salvatore ripercorre i drammatici avvenimenti che hanno segnato la sua adolescenza, arrivando a prendere coscienza di sé, della sua identità sessuale, dimostrandosi capace di affrontare con onestà le proprie debolezze e i propri errori. Una storia di rapporti famigliari, di amicizia e di riscatto.
INCIPIT
Le unghie, mangiucchiate e sporche di terra, grattarono la ruvida superficie della pietra tufacea, lasciando sopra di essa, al passaggio dell’intera mano, una scia di sangue simile alla figura di un antico sciamano preistorico.
Il ragazzo cercò di rimettersi in piedi, aggrappandosi con penosa lentezza alla base del muro a secco, spingendosi in avanti con il piede destro, contorto da una malformazione congenita. Non riuscì nel suo intento perché il dolore e la paura avevano annebbiato la sua mente, già naturalmente poco predisposta alla dinamicità, e contratto i muscoli di quel corpo deputato sin dalla nascita a un infermo destino.
Respirava a fatica a causa del flusso di sangue che gli usciva dal naso rotto e gli colava in bocca, insudiciandogli anche il mento e la maglietta di cotone, strappata in più punti.
Il cane, che guidava da molto tempo quel branco di randagi, fiutò il sangue e la paura, riuscendo perfettamente a distinguerli dall’odore di muschio terroso con sfumature di cuoio che il sottobosco emanava. Le sue agili zampe avanzarono tra l’erba e le ghiande, giungendo in prossimità di quel corpo funestato dalla cattiveria degli uomini e degli dei.
I suoi compagni erano dietro di lui, un’accozzaglia di razze, storie e vagabondaggi.
Il gatto, che avevano sbranato quella notte, era stato un insoddisfacente pasto per sei stomaci alla perenne ricerca di cibo.
Il primo morso venne sferrato dal capobranco, nel punto dove i folti ricci neri del ragazzo si congiungevano al collo. Un brutale tramestio di denti, sangue, carne, peli, sudore e ossa.
La faccia del giovane venne spinta violentemente contro la grassa terra, che copiosa penetrò nella bocca e fra i denti storti, smorzando le urla per l’atroce dolore generato dall’azzannamento.
Il secondo giunse sulla coscia, elargito da un meticcio dal pelo bianco con una macchia nera all’altezza dell’occhio. Il pantaloncino bianco, con le bande laterali arancioni, che rievocava la divisa della nazionale olandese di calcio che prese parte ai mondiali del 1978, fu ridotto a brandelli.
Resi audaci dall’esempio dei primi due, anche gli altri cani si avventarono sulla malcapitata preda.
Sordi ringhi si levarono verso le fronde del bosco di querce. Le foglie tremolanti, accarezzate dalla calda brezza estiva, producevano un setoso fruscio che si unì, in un crescendo musicale, al frinire delle cicale, stemperando il rumoroso orrore della caccia.
Oltre il bosco, frutteti, uliveti e vigneti si estendevano a perdita d’occhio. La valle era un susseguirsi di effetti cromatici, un tripudio di colori che viravano dal verde dei secolari ulivi, al bianco dei trulli e delle masserie sino alla terra rossa di quella campagna assolata e percorsa da un’aria tremolante e afosa.
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