Street Artist

14,00

Formato: Libro cartaceo

Autore: Vera Durazzo

Note sull’autore

 

COD: ISBN 978-88-6690-406-9 Categoria: Tag:

Descrizione

Street Artist è una raccolta di 22 racconti brevi, scritti con le tonalità trasparenti e leggere dell’acquerello, ispirati da personaggi storici – Leopardi, Verdi, la contessa di Castiglione, Garibaldi – ma anche dai tipi umani più diversi, dall’ex compagno di scuola diventato barbone o ladro per necessità, all’immigrato alla ricerca di integrazione, alla coppia che vede la propria casa distrutta dal terremoto ma conosce inaspettate solidarietà, dalla donna che ama il découpage al bambino peruviano che corre felice in un museo. Personaggi diversi, anche lontani nel tempo, che la capacità di affabulazione dell’Autrice riesce a unire in un solo dipinto, dai colori lievi e sfumati, a rappresentare la vita.

INCIPIT

STREET ARTIST

Un anziano rannicchiato su una panchina. Morto di freddo e di solitudine.

Vittima della morsa del gelo, avevano detto in televisione. Le frasi fatte, usate dai giornalisti, come “morsa del gelo, spirale della violenza, tunnel della droga” gli creavano dentro un senso di fastidio. Rispondeva mentalmente con un “assolutamente sì”, altra espressione ridicola. Quella volta non fu così: la sensazione del freddo che ti abbranca con artigli muscoli e cervello ebbe un altro effetto: esistevano, dunque, solitudini ben diverse dalla sua. Prese in fretta una decisione. Cercò in rete e trovò ciò che faceva al caso suo. Subito iniziò l’indagine negli armadi a muro e nello sgabuzzino dove sua madre aveva riposto coperte, plaid e trapunte, scelte a suo tempo, con rigore, di pura lana vergine. Tirò giù gli involti, sigillati in sacchetti di plastica, ne aprì uno e l’odore della canfora lo inebriò e lo fece tossire. Spuntarono dei plaid a riquadri scozzesi e coperte verde militare. Li scosse, per liberarli dai residui di canfora e esaminò gli scaffali del ripostiglio; vide una grande cesta con il manico, sul cui fondo era posato un thermos. Ricordi di passate scampagnate.

Andò in cucina con la cesta, prese il thermos e ne svitò il coperchio per procedere al lavaggio. Cercò nell’armadietto la moka da sei tazze, che non usava da tempo. La lavò, poi vi mise un solo cucchiaino di caffè per prepararla all’uso. La avvitò, dopo aver riempito d’acqua la parte inferiore, e la mise sul fornello acceso. L’aroma del caffè gli diede una spinta di vitalità, mentre preparava panini al parmigiano e al paté di olive. Gettò via il contenuto della caffettiera, poi preparò il caffè altre due volte, per riempire il thermos. Aggiunse al liquido scuro dieci zollette di zucchero. Nel paniere, insieme ai plaid a quadretti, collocò i panini, il thermos, dei tovaglioli di carta. L’effetto “cestino di Nonna Papera” gli piacque, facendogli balenare l’idea di un pic-nic notturno.

Meno male che mia madre non buttava nulla, pensò. E uscì.

 

L’appuntamento era alle ventitré, sotto i portici adiacenti alla vecchia stazione. Vide che altri volontari stavano distribuendo gilet gialli, su cui spiccava la scritta “Samaritano nella notte”.

Si accostò a una donna per prenderne uno.

«Ciao, mi chiamo Michela, sono la referente» disse lei.

«Io sono Ferruccio» rispose, prendendo il gilet.

«Non ti ho mai visto, è la prima volta che vieni?»

«È così.»

«Allora ti cerco una “compagna di viaggio”.»

La donna si avvicinò a un gruppetto di persone e parlottò con una ragazza dai capelli lunghi, ondulati. Reggeva una borsa verde, da cui spuntavano delle coperte. Le due si staccarono dagli altri e vennero verso di lui.

«Ti presento Arabella, sarà la tua compagna di viaggio, stanotte.»

«Ho portato anch’io qualcosa» disse Ferruccio, indicando il cesto.

La ragazza sorrise, soltanto con gli occhi. Si avviarono insieme verso le strade poco illuminate del quartiere. Fiocchi di neve leggeri come piume svolazzavano tra i tetti dei caseggiati. Mentre passavano davanti all’atrio di un palazzo fatiscente, scorsero alcuni sacchetti annodati su uno stuoino: un gatto grigio li stava annusando. Una donna rugosa, dai capelli arruffati, apparve da un sottoscala e si sistemò alla meglio sul giaciglio.

«Le possiamo dare un caffè caldo?» chiese Ferruccio.

Un brontolio soffocato, interrotto dalla tosse.

«Nonna, ti abbiamo portato le coperte» disse Arabella, avvicinandosi. Prese una coperta dalla borsa verde e la appoggiò sul corpo della vecchia. Ferruccio versò un po’ di caffè in un bicchiere di carta che posò sullo scalino. Gli occhi di Arabella gli dicevano di non fare domande.

«Forse desidera un sorso di latte» mormorò la ragazza e versò dal thermos che teneva nella borsa verde un goccio del contenuto in una tazzina di plastica. La porse alla vecchia che l’afferrò e bevve come un neonato dal biberon.

«Lenta la neve fiocca fiocca fiocca…»

Arabella si era inginocchiata accanto al giaciglio e ripeteva la filastrocca imparata da bambina. Sperava che funzionasse da ninna nanna, giacché lei non sapeva cantare.

«A me piace la Merini» disse una voce confusa.

Dopo alcuni versi, Ferruccio udì un lieve russare.

«È meglio che andiamo» le disse.

Questa qui è un tipo particolare, pensò.

Continuarono a perlustrare le strade, camminando su uno strato di neve farinosa. Giunsero a una piazzetta, al centro della quale si scorgevano panchine e alberi spogli.

Qualcuno si era costruito un ricovero, quasi a forma di pagoda, con pezzi di cartone e sacchi dell’immondizia.

Ferruccio e Arabella si avvicinarono e videro un uomo disteso sul sedile, seminascosto dal riparo che si era costruito.

«Serve una coperta?» chiese Ferruccio, tirando fuori un plaid dal cesto.

L’uomo spostò i cartoni e si mise seduto. Il suo sguardo incrociò quello di chi gli aveva rivolto la parola. Un lampo guizzò sul suo volto.

«Anche a scuola portavi roba scozzese, un giubbotto, mi pare.» Il timbro della voce era cambiato, ma il tono era lo stesso: Ferruccio riconobbe Livio, uno dei migliori amici, al liceo. Superfluo chiedere come se la passasse.

«Pieno di bruciature di sigaretta, ero un pasticcione, tu no. Eri un artista. Durante le ore di Storia dell’Arte disegnavi caricature del professore.»

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