Descrizione
Una storia del primo Novecento, dall’inizio del secolo al primo dopoguerra. Per non dimenticare chi eravamo, e come vivevamo.
INCIPIT
“Che cos’è che la fa, la Mercedes?”
“Eh, la fa, la fa! E speriamo che la faccia alla svelta!”
Le urla della moglie del padrone, il “Sciur” Piero, risuonavano per tutta la corte. Sovrastavano il muggito rabbioso che giungeva dalla stalla per colpa dei bifolchi i quali, sull’onda di ribellioni nazionali fresche fresche, avevano incrociato fieramente le braccia sospendendo la mungitura e seduti sotto il portico avevano anticipato con l’attenta partecipazione delle mogli la colazione mattutina.
Niente di che: una fetta di polenta abbrustolita, un’aringa secca e una benefica sorsata di vino per mandar giù tutto quanto.
“Ma siete matti? Ma non le sentite quelle povere bestie?”
Proprio in quel momento le mucche sfatte per la sofferenza erano zitte, mentre rimbombava prepotente l’ultimo urlaccio della Mercedes.
“Proprio oggi? Speriamo almeno che sia un maschio!”
Il Piero questa volta, la quinta, era sinceramente preoccupato di dover accogliere un’altro esemplare di quel sesso che sarà anche stato debole ma che, visto l’eccesso numerico, una moglie e quattro figlie, cominciava un tantinello a sopraffarlo.
Adesso poi ci si mettevano anche quelli lì!
“Cosa è che volete? Con me ve la prendete? Ehi, Toni, chi era con te dall’Aida due notti fa, alle tre, per far nascere il vitello?”
L’Aida era la vacca più giovane, al suo primo parto. Poi c’erano la Violetta e la Gilda che con il toro Rigoletto attestavano la passione del Piero per la lirica verdiana.
“Mi dici, Toni, chi ha sempre lavorato fianco a fianco con te dalla semina al polverone della trebbia? Di’, ma li vedi i calli delle mie mani? Guarda che io non dormivo quando tu lavoravi e, se ti ricordi, sono sempre stato io a venirti a chiamare all’alba per andare nei campi e neanche adesso mica me ne vado a spasso mentre voi vendemmiate!”
Il ronzio di miriadi d’insetti accompagnava infatti il primo raccolto dell’uva e già l’odore dolciastro del mosto s’alzava dalle bigonce stracolme di grappoli.
La natura quell’anno era stata più generosa degli uomini, di certi uomini: i padroni. Solo certi padroni, però, perché mica tutti erano uguali.
Lui, padron Piero, riteneva in fondo d’essere solo uno dei contadini addetti alle sessanta biolche del sito. Quella terra da cui dipendeva la vita sua, della famiglia, della famiglia dei salariati e di qualche bracciante stagionale.
La terra, la vecchia madre, coccolata e sfruttata, venerata e pure all’occasione bestemmiata.
“E Toni, che ti credi, che le tagliatelle della tua Rosina siano diverse da quelle della mia Mercedes? Quello che c’è per me sulla tavola c’è anche per te!”
Oh Dio, non sempre, rifletté per un istante il Piero ricordando i pollastrini alla cacciatora che seguivano spesso le tagliatelle della Mercedes e le tagliatelle e… basta della Rosina.
Una certa differenza nella distribuzione dei beni, bisognava ammetterlo, poteva esserci.
Ma mica era colpa sua se il mondo andava così.
Era la vita.
Erano le regole.
Mica le aveva fatte lui.
C’era una condizione del padrone e una del contadino.
Era normale.
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