Quinta Elle. L’anno della pandemia

4,99

Formato: Epub, Kindle

Autore:Fabio Filippi

Note sull’autore

COD: ISBN: 978-88-5539-208-2 Categoria: Tag:

Descrizione

La VL è una classe di Liceo Scientifico di 17 studenti. L’anno scolastico è iniziato come tutti gli altri anni scolastici con le aspettative degli studenti legate all’esame di maturità e alle prospettive per il loro futuro. Ci sono studenti ancora incerti sulla scelta universitaria o lavorativa; per altri, invece, il futuro è chiaro perché coltivano interessi o passioni già da tempo. Al fianco dei ragazzi, ci sono i genitori, sovente ansiosi, distratti o assenti, preoccupati o inconsapevoli. Oppure genitori che proiettano se stessi nei propri figli.

Nel mese di marzo del 2020, il lockdown, causato dall’emergenza dovuta alla pandemia, ha cambiato la prospettiva di studenti e insegnanti. Il professor Pontremoli, ricoverato a causa del virus, ha modo di riflettere sulla sua professione, su come l’ha affrontata. Ha l’occasione di “guardare” la scuola nel suo insieme, le relazioni coi colleghi, la professionalità di alcuni di loro e la preoccupante estemporaneità di altri. Ma proprio l’emergenza della malattia del loro insegnante di storia e filosofia fa emergere la grande umanità degli studenti, che riscoprono il sentimento di partecipazione e solidarietà.

 

Premessa

 

Mai come in questo caso è doveroso il preludio che spesso precede le narrazioni: i nomi e fatti citati sono fittizi. Ogni riferimento è da intendersi come puramente casuale.

Detto ciò è inevitabile, credo, che qualche lettore si riconosca nei personaggi che compaiono in questi racconti perché il contesto è reale e le persone, qui descritte, sono costruite su modelli reali.

Mi faccio carico appieno del rischio che corro ma non posso fare a meno di descrivere caratteristiche umane che ho osservate durante la mia vita da insegnante. Se non altro, io ne sono il primo bersaglio.

La 5L è una classe di Liceo Scientifico composta da 17 studenti: Arina, Jacopo, Matteo, Davide, Sofia, Li, Alessandro, Marco, Francesco, Giovanna, Chiara T, Chiara, Michael, Federico, Adele, Tommaso, Elena.

Gli altri protagonisti, sono gli insegnanti.

Annibale Pontremoli – Storia e Filosofia

Antonia Bizzarri – Disegno e Storia dell’arte

Artemisia Bach – Inglese

Don Guido –Religione cattolica

Federica Valdinoci – Scienze naturali

Francesca Farneti – Matematica e Fisica

Patrizia Calabrini – Italiano e Latino

Ugo Bazzoli – Scienze motorie

 

 

 

La scuola non è composta solo da ragazze, ragazzi e insegnanti, ma anche da personale con varie mansioni. Tra questi compare, in questa finzione, la signora Anna.

Annibale

 

«Questa è la mia chiamata?»

«Direi di sì.»

«Ah. Non pensavo arrivasse così presto.»

«Però è arrivata.»

«E… non c’è appello, immagino.»

«Non c’è appello. Non è un processo penale.»

Sorride, o crede di farlo e dice: «Immagino sia anche inutile chiedere un rinvio…»

«Immagini bene.»

«Perbacco.»

«…»

«Quindi tu saresti il Padreterno.»

«C’è chi mi chiama con questo nome. Ma non ha importanza quali parole usi.»

«Non sono sicuro di essere pronto…»

«Nessuno lo è mai. Non ti preoccupare.»

«Credevo fosse diverso. Come funziona, ora?»

«Se vuoi, puoi gettare uno sguardo alle tue spalle.»

«Gli altri fanno così?»

«Qualcuno lo fa. Lo devi volere tu.»

«…»

«Annibale?»

«Sì. Vedere ogni istante… da questa prospettiva… non è facile.»

«Non sei obbligato.»

«Mi torna in mente tutto… e niente. I ricordi si sovrappongono. Non so bene che filo seguire.»

«Lasciati andare, allora. Qual è la prima cosa che ti viene in mente?»

«Il mio lavoro. Domani avrei dovuto interrogare.»

«Già.»

«Ma allora a cosa è servito tutto questo?»

«Non essere severo con te stesso. Chiediti piuttosto se quello che hai fatto fino ad ora ti ha dato sensazioni positive. Chiediti se hai recitato la tua parte nel teatro della vita.»

«Il teatro della vita… «

«…»

«In cuor mio, forse, l’insegnamento non era tra le massime aspirazioni che serbavo tra i miei desideri di giovane laureato in storia e filosofia. Ci sono finito dentro. E poi ci sono rimasto. Stare con gli studenti mi piace, voglio dire, mi è piaciuto. Per un breve periodo della mia vita ho accarezzato l’idea di dedicarmi alla ricerca storica. Ma poi ho lasciato perdere. C’era la cattedra libera qui al Liceo Scientifico e mi sembrava stupido lasciarla vacante, con la carenza di lavoro che c’è in giro. Mi sembrava stupido. E poi avevo voglia di essere indipendente, volevo andarmene a stare da solo. Una vita mia, insomma. Così ho dato il concorso. E… all’inizio, voglio dire, quando sono entrato in classe per la prima volta… nessuno mi aveva detto come si fa a insegnare. Ero convinto che fosse sufficiente comunicare una conoscenza e quindi ero tutto concentrato sulla disciplina, come dire, ero appiattito sulle nozioni. Così, si può dire che ho improvvisato. Una volta si faceva così. Adesso è diverso. In un certo senso insegnare è tutto tranne comunicare le nozioni della propria disciplina. Oltre a stabilire feeling con gli studenti, a saperli accogliere, a instaurare un’empatia emozionale, tener conto delle diversità e delle diverse abilità, ci sono i genitori che non accettano le disattese aspettative che i loro figli gli recano, accampano pretese di priorità nello stabilire quali sono le conoscenze e le competenze adatte per quella disciplina, avanzano… proposte o pretese. Vogliono un’alta preparazione per i loro figli, quasi chiedono garanzia che abbiano poi successo nella vita.»

«Hai incontrato difficoltà che non avevi immaginato.»

«Già. Pensavo fosse molto più facile. Tutto sommato in me era maturata la convinzione di aver raggiunto, con la laurea, un livello di conoscenze talmente elevato che…»

«… Ti sarebbe risultato semplice trasmetterle ad altri.»

«Sì, esatto. E invece non è così. Non è stato così. Ogni giorno che passava prendevo sempre più consapevolezza che occorreva molto di più. Mi tornano in mente tanti episodi… Alla fine non si ha il controllo mai di nulla.»

«Tuttavia non abbiamo un tempo infinito.»

«Non so decidermi cosa ricordare.»

«La cosa più semplice è richiamare alla mente l’ultimo anno, cosa dici? Immagina di sollevare gli occhi al cielo. Immagina anche di sospirare arrendevole.»

«L’ultimo anno scolastico.»

«Il tuo ultimo anno scolastico.»

«…»

«In settembre ero già stanco. Il mio collega di storia mi aveva fatto fesso. Non avendo la quinta, caso più unico che raro, mi pregustavo l’inaspettata pausa estiva subito dopo la conclusione degli scrutini di giugno. Niente riunione preliminare, niente documenti vari, né faticose riunioni coi colleghi provenienti dalle altre scuole come membri della commissione esterna.»

«È una parte faticosa, la relazione?»

«In quel caso può diventarlo. Gran parte dei docenti detesta l’esame di stato. Solo una parte degli insegnanti ne è coinvolta, per gli altri la scuola è finita. Ci sono molte incombenze burocratiche ma la faccenda più antipatica è lo scambio di ruolo. Nel momento in cui avviene il conferimento della nomina il professor X dimentica di essere a sua volta un insegnante a tutti gli effetti e si sente autorizzato a esprimere giudizi a volte anche velenosi sul lavoro dei colleghi delle classi che vanno esaminando. Talvolta il giudizio lo esprimono sulla pelle degli studenti. La riluttanza alla partecipazione degli esami è stimolata anche dal basso riconoscimento economico che di certo non incentiva a rendere piacevole lo spirito con cui si affrontano quelle settimane di lavoro. Ecco quindi che fioccano i certificati medici che, veri o falsi, rendono l’atmosfera ancora più nervosa e incerta. Lo scorso anno il mio collega di storia, dicevo, ha accampato la legge 104 per assistere la mamma malata defezionando quindi al suo impegno di accompagnare la sua classe all’esame di stato come membro interno. La mamma che necessita di assistenza proprio in giugno, quando vengono nominate le commissioni, con tutto il rispetto e la comprensione per la situazione in sé, pare una coincidenza singolare. Fatto sta che ho ricevuto l’incarico come membro interno supplente di commissione. In settembre ho saputo quali classi avrei avuto. Nella nostra scuola è tutto un mistero. Nessuno sa esattamente quali classi avrà l’anno scolastico successivo. Un terno al lotto. Più o meno uno lo immagina, certo. Almeno per continuità didattica le classi dell’anno precedente. Se devo scegliere mi va di ricordare la quinta L. Sono stato con loro fin dalla prima. Li ho visti bambini. Specialmente i maschi di quattordici anni, tutti spauriti. Erano in ventisette, un numero enorme. Una cosiddetta classe pollaio, tenendo conto che la struttura risale agli anni cinquanta, aule non tanto ampie, alcune senza finestre, con il soffitto infinito. I banchi erano tutti uniti uno all’altro e per le norme di sicurezza questo non è consentito per la mancanza delle linee di fuga. Comunque in due anni se ne sono persi sette, di studenti, per ragioni varie. Qualcuno si è trasferito in un’altra scuola, qualcuno ha cambiato città, qualcuno è stato bocciato e non so che fine abbia fatto. Tra la terza e la quarta ne abbiamo persi altri quatto, un bel numero. Stesse ragioni, più o meno. Una quinta di diciassette ai quali si è aggiunta Giovanna, ripetente, un numero comunque contenuto, un caso più unico che raro.

Non posso pensare all’anno scolastico senza pensare a ognuno di loro. A lei, a Giovanna, che se ne vuole sempre stare per i fatti suoi forse perché non si sente accettata dal resto della classe o forse perché è il suo modo di reagire alla bocciatura. Non so a chi la voglia far pagare, a se stessa, ai genitori o a tutti. Quest’anno ho visto sua mamma, una donna a dir poco singolare. È venuta al colloquio agghindata in maniera quanto meno vistosa. Una minigonna vertiginosa con tacco da venti, capelli sciolti con la riga da una parte e trattenuti da una spilla a forma di farfalla. Ha fatto il suo ingresso con un sorriso smagliante e labbra pittate di rosso rovente. Dietro di lei la figlia, Giovanna, tutta immusonita, le mani intrecciate davanti e lo sguardo buttato a terra. Scena imbarazzante. Se qualche collega, malignamente, non me l’avesse preannunciato, non avrei mai creduto che fossero madre e figlia. Tutt’al più sorelle. Pare che il marito sia uno che in casa staziona poco e che tutto il carico della famiglia gravi sulle spalle della madre che oltre a Giovanna ha due figli maschi e due figlie femmine. Come faccia a sopravvivere, nessuna lo sa. Ha lasciato parlare me anche se non sono certo abbia capito ciò che le riferivo. Fra l’altro, il fatto di portarsi appresso Giovanna, non ha facilitato ciò che le avrei potuto comunicare liberamente senza la sua presenza. «Giovanna deve forse ancora integrarsi», le dicevo e poi aggiungevo, con l’enfasi di chi prevede nuovi e auspicabili orizzonti: «Ci sono segnali positivi come un’interrogazione sufficiente la settimana scorsa, anzi appena sufficiente, ma che comunque fa ben sperare». A ben guardare, nel suo complesso, la quinta elle è – era – una classe veramente eterogenea, come del resto ce ne sono molte ultimamente. Anzi vale più l’eccezione della regola. Oltre alla ripetente, una ragazza con problemi di apprendimento. Per il resto sono ragazzi normali. Elena e le due Chiara, Federico che ultimamente si è fatto un po’ vagabondo. Tommaso che ha qualche problemino a casa e per il quale la Calabrini dice sempre che lo si doveva bocciare in seconda, Jacopo, Davide, Matteo, Marco e Francesco, presi in blocco, forse poco motivati e comunque ancora molto infantili. E poi la cinese e l’ucraina.»

«Tutto qui?»

«…»

«Sei riuscito a farti un’idea precisa della classe, dei ragazzi, delle dinamiche e tutto il resto?»

A quelle parole inaspettate Annibale percepisce l’emergere di un rancore, qualcosa di lieve e remoto, come la memoria di un sentimento che ha già provato in passato, quando un collega piccato gli faceva osservazioni sul suo modo d’insegnare, o qualche genitore paventava il suo inadeguato metodo di valutazione nei confronti del proprio figlio o figlia. Un rancore sopraffatto dall’angoscia che lo coglieva, talvolta, all’idea di non aver capito nulla di quella classe e quindi nulla da dire.

«Se mi dici così… Credevo di avere capito abbastanza, se non tutto. Ma a questo punto… Detto da te, poi…»

«Non è possibile conoscere tutto.»

«Ma qualcosa in più, forse sì.»

«Ti piacerebbe scoprire chi sono veramente i tuoi studenti?»

«…»

«Non devi fare nulla, solo ascoltare. Sarà come volare. Passerai attraverso piccole fessure per dare uno sguardo alle loro vite, sentirai i loro pensieri. In alcuni casi tu sarai loro.»

«In alcuni casi?»

«Solo in alcuni casi, non chiedere altro. Ma c’è una condizione.»

«Quale?»

«Non potrai giudicare. Né loro né te stesso.»

 

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