Profondo Sud

8,00

Formato: Libro cartaceo

Autore: Francesca Mereu

Note sull’autore

COD: ISBN 978-88-6690-321-5 Categoria: Tag:

Descrizione

Due opere teatrali ambientate nel profondo Sud americano che raccontano, attraverso testimonianze di personaggi veri, la schiavitù, la segregazione, e la dura lotta dei neri per la conquista dei diritti civili.
La Musica del Diavolo lo fa attraverso la storia del blues, la musica testimone di proteste e violenze razziali. Un ritmo nato nei campi di cotone che ha rivoluzionato il panorama musicale americano e non solo.
The Magic City è invece la storia di Birmingham, la città dell’Alabama che Martin Luther King ha chiamato «la più segregata d’America». Qui negli anni Sessanta sono iniziate le manifestazioni pacifiche dei neri che hanno costretto l’America ad approvare leggi che bandiscono ogni tipo di discriminazione.
Nelle sue opere, ispirate al teatro documentario, Francesca Mereu porta il lettore e lo spettatore a scoprire, attraverso le emozioni dei protagonisti, la bellezza e le infinite contraddizioni di questa parte d’America.

INCIPIT

Voce narrante:È agosto a Birmingham, in Alabama. Da giorni l’afa ha avvolto la città nel suo consueto lungo e denso abbraccio estivo. Una stretta che ha svegliato grilli e cicale e costretto i boschi attorno alla città a liberare essenze di pino e rosmarino.

È in sere come questa che il profondo Sud gronda di blues. Lo cantano le diritte strade del piatto Mississippi che attraversano immensi campi di cotone e di mais; e quelle rurali dell’Alabama testimoni di proteste e violenze razziali.

E i vecchi quartieri residenziali della città. Le case di legno dipinto con le ampie verande sul davanti, i ventilatori a pale sospesi al soffitto per regalare un po’ di brezza ai padroni seduti su larghe sedie a dondolo.

(Musica: R. L. Burnside, Goin’ down south)

Parte prima

Voce narrante: È impossibile vivere nel profondo Sud e non amare il blues, la musica testimone della storia crudele di questa parte del Paese. Musica e poesia, il blues, che esprimono sentimenti così forti che ascoltandolo si sente il sapore del fango del Delta del Mississippi, l’odore del sudore dei raccoglitori di cotone, e la fatica degli operai nei cantieri delle ferrovie.

(inizio musica blues di sottofondo)

Le origini del blues si perdono nella notte dei tempi.

Questa musica piantò il suo seme all’inizio dell’olocausto africano — o la più grande deportazione della storia — quando a partire dal 1500 donne e uomini liberi, dal colore di pelle nero, si ritrovarono sbattuti nelle zone costiere del loro paese con dei collari al collo e delle catene che li legavano uno all’altro. (fine musica di sottofondo) Attendevano l’arrivo di navi di tutte le bandiere — inglesi, francesi, spagnole, portoghesi e olandesi — che li avrebbero portati a morire lungo il tragitto o nelle piantagioni e nelle miniere del Nuovo Mondo: in Mississippi, Alabama, Georgia, Carolina del Sud, Texas…

In Africa avrebbero lasciato non solo tradizioni, lingua e religione, ma anche la libertà e la dignità di esseri umani.

(inizio musica di sottofondo)

Il viso dalla pelle d’ebano di Margareth si illumina quando si parla di blues, i ricami lasciati dal tempo scompaiono. Appare il sorriso della giovane di una volta. Un sorriso dai denti bianchissimi.

Ha più di settant’anni Margareth e tante storie da raccontare. Storie di schiavi e di blues, la musica che da quattro generazioni fa da colonna sonora alla sua famiglia.

(fine musica di sottofondo)

Margareth: Elizabeth, la mia bisnonna, nata schiava in Alabama, raccoglieva il cotone e componeva blues.

Nonna Elizabeth aveva nascosto in fondo all’anima il ritmo d’Africa che i genitori le avevano insegnato. E quello era l’unica cosa che il padrone bianco non era riuscito a portarle via. Era un ritmo che batteva forte e le ricordava che nonostante il lavoro, la violenza e le umiliazioni, lei era un essere umano. Quando la vita diventava insopportabile, poi, quel ritmo iniziava a scalciare dentro, come un bambino che batte in grembo e chiede di uscire. E nonna Elizabeth lasciava che venisse fuori.

Nasceva così una canzone blues.

Aveva cantato quella volta che a tredici anni il padrone la prese di spalle, la buttò in terra e le strappò i vestiti e da adulta quando lo stesso uomo decise di vendere nonno Martin, il padre dei suoi cinque figli.

Cantò fino a notte fonda quel giorno la nonna. Cantò un blues triste, dolce, ritmato. Gli schiavi l’applaudirono. Le dissero che era un blues potente. E come poteva essere altrimenti?

Il dolore del distacco da nonno Martin era tale che il blues doveva uscire forte, carico.

Nonna Elizabeth, d’altronde, non voleva ammalarsi nell’anima. Aveva visto cosa era successo a Robert che fissava sempre il vuoto. Non sorrideva e non piangeva. Era diventato così dopo che il padrone aveva scaricato tanta rabbia sulla sua schiena. Poi se n’era andato sudato, stanco, soddisfatto e aveva dimenticato Robert legato a un albero per un giorno intero, o forse più, in balia del sole e degli insetti dell’Alabama.

Lo schiavo però doveva imparare la lezione: mai più rovinare un sacco di cotone.

Nonna Elizabeth diceva che il blues era il dono che Dio aveva fatto al popolo nero per aiutarlo a superare la vita.

Quella vita.

1 recensione per Profondo Sud

  1. Claudio O

    L’anima nera in ognuno di noi

    Questo è ciò che riesce a fare l’autrice, cambiare per la durata dello scritto la prospettiva nel lettore fino a farlo sentire tale e quale ad un colored negli anni bui (ma saranno poi veramente terminati?) del klu klux klan.
    Se desiderate per un attimo possedere un’anima nera, marchiata a fuoco dal jazz e dal blues, e siete anche affamati e desiderate capire cosa prova un “nero” americano, ancora oggi, in certe località statunitensi, beh… questo libro vi donerà queste emozioni.

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