Descrizione
Sono passati dieci giorni da quando il terrorista Michel Sidibé, detto il Ragno, ha assaltato una miniera d’uranio in Niger gestita dall’imprenditore italiano Armando Corrado Granata.
Sono passati dieci giorni da quando una squadra del 9° Reggimento d’Assalto Paracadutisti “Col Moschin” ha condotto un’operazione volta a liberare la miniera occupata dagli uomini del Ragno. Nome in codice della squadra: Task Force Geko.
Sono passati dieci giorni da quando il capitano Ferrone ha guidato la Task Force Geko, riuscendo a liberare la miniera. Ora, si ritrova in fuga dopo che due uomini hanno cercato di ucciderlo. Come ha fatto a cacciarsi in quel guaio?
Sono passati dieci giorni da quando Michel Sidibé è sopravvissuto all’assalto della Task Force Geko. Ora, tutti i servizi segreti occidentali lo stanno cercando. Riuscirà a cavarsela ancora una volta?
Dopo Protocollo Granata, Alessandro Cirillo e Francesco Cotti ritornano con un nuovo emozionante romanzo dal ritmo serrato e ricco di azione. Pedine sacrificabili si aggiunge al nascente genere Action Tricolore che conta già diversi libri dei due autori.
Purtroppo, in questo grande gioco ci sono delle pedine sacrificabili.
Autostrada E35 (Svizzera), 22 novembre
Erano passati tredici lunghissimi minuti dalla sparatoria.
Paolo Ferrone continuava a far rimbalzare gli occhi tra il parabrezza e lo specchietto retrovisore. Per mantenere la lucidità stava cercando di concentrarsi sulla respirazione. Prendeva lunghe boccate per riempire l’addome d’aria ed buttava fuori sempre dalla bocca. Sette secondi per inspirare, altri sette per espirare. Così gli avevano insegnato anni prima al corso di approccio al nuoto tattico. Respirazione addominale, per calmarsi, concentrarsi e schiarire le idee prima dell’azione. Nonostante la disciplina che si stava imponendo era in un bagno di sudore e il cuore stava iniziando solo in quel momento a rallentare il ritmo.
Cercò di analizzare la situazione nella sua globalità. Le condizioni meteo erano buone: cielo nuvoloso senza accenni di pioggia, visibilità orizzontale ottima. Il cruscotto della BMW sottratta ai due sicari che avevano provato a ucciderlo segnava una temperatura esterna di undici gradi, il traffico sull’autostrada era scorrevole. Fece una verifica mentale di cosa aveva a disposizione: una Glock 19 con sedici colpi, trecento franchi svizzeri, il portafoglio con i suoi documenti e più della metà di serbatoio di gasolio. Indossava una giacca invernale in Gore-Tex nera, un maglione in lana e scarponcini leggeri della Salomon. Agganciata alla cintura portava la sua inseparabile pinza multiuso Leatherman Wave, al polso il grosso orologio Luminox. E nel porta-badge da collo custodiva la maledetta chiavetta USB.
Impostò il cruise control dell’automobile per tenersi a cinque chilometri orari sotto il limite di velocità vigente su quel tratto autostradale. Controllò l’aletta parasole alla ricerca di qualche indizio. Non trovò nulla. Quindi, contorcendosi sul sedile, aprì il cassetto porta oggetti lato passeggero. Conteneva solo un paio di fogli dell’assicurazione e il libretto di uso e manutenzione, in tedesco. Con la mano affondò dentro il vano per cercare qualsiasi cosa. Era impossibile che un veicolo usato da due sicari non avesse qualcosa di utile. Certo, poteva essere una scelta premeditata utilizzare un’autovettura “sterile”, tuttavia Ferrone si fece l’appunto mentale di verificare appena possibile il baule. Alla fine, le sue dita trovarono una biro in plastica. La guardò e se la infilò nella tasca della giacca.
Verificò il navigatore satellitare sul grosso display touch. Si era liberato subito del suo smartphone per evitare di essere tracciato, ma dopo una breve riflessione aveva compreso che una BMW dotata di GPS era la cosa più tracciabile che potesse esistere.
Aveva bisogno di pianificare la sua fuga con l’attraversamento del confine svizzero. Gli servivano dati, tempi, cartine e indicazioni di eventuali risorse. Il sistema integrato di navigazione dell’automobile era buon compromesso in quanto poteva essere utilizzato proprio per questo tipo di organizzazione. Finché fosse rimasto in movimento sull’automobile sarebbe stato un bersaglio più difficile da colpire. Appena si fosse fermato, però, avrebbe dovuto avviare un piano realistico e fattibile.
L’addestramento e le varie esercitazioni SERE[1] eseguite negli anni con il Col Moschin in Italia avevano dato a Ferrone una serie di schemi e procedure da seguire. Per quanto potesse sembrare bizzarro, certe cose erano molto più codificate di quanto si potesse immaginare.
La sua attuale situazione rientrava nella categoria di spostamento in un ambiente semi-permissivo. Non doveva superare il confine di due paesi in guerra fra loro, ma aveva elementi ostili che gli stavano dando la caccia. I movimenti in ambienti semi-permissivi erano caratterizzati da pianificazione accurata e avevano il vantaggio del fatto che il tempo non era un fattore di minaccia. Tradotto: poteva impiegare tutto il tempo necessario per attraversare il confine, l’importante era non farsi notare dalla popolazione locale e, naturalmente, evitare di farsi catturare dai suoi inseguitori.
L’istruttore che anni prima aveva tenuto il corso delle tecniche di evasione e fuga era stato molto chiaro nei confronti degli allievi. Ferrone ripensò le sue parole.
Quando si tratta di attraversare un confine di una nazione civilizzata bisogna porsi una domanda: lo faccio in modo legale o illegale? Decisa la risposta c’è una serie di comportamenti pre-codificati da adattare alla situazione specifica.
Se siete costretti a superare il confine in modo illegale, cercate di ragionare in maniera tridimensionale. Posso passare sopra, sotto o di fianco? Evitate tutte le soluzioni che adottano nella zona gli immigrati clandestini: sono trucchi che qualsiasi Polizia di frontiera conosce alla perfezione. Verreste intercettati subito. Pensate a un piano il più possibile semplice, ma domandatevi sempre se non è già stato utilizzato dai clandestini. E ricordatevi che funziona così per tutte le nazioni del Mondo, perché tutte hanno i confini che vengono bucati da traffici di clandestini.
Ferrone ricordò che durante il corso, con i suoi colleghi allievi Incursori, gli istruttori creavano diversi scenari con cui testarli. Si trattava di veri e propri giochi di ruolo. Le assegnazioni potevano essere di vari tipi. Ad esempio, partendo da Livorno, gli allievi avevano sedici ore di tempo per incontrare delle persone specifiche da qualche parte nel Salento. Una volta arrivati dovevano ritirare un oggetto e riportarlo a Livorno senza che le «pattuglie di agenti ostili» simulate dagli istruttori li intercettassero. Mezzi di trasporto e metodi d’incontro con le persone dell’appuntamento erano responsabilità di pianificazione degli allievi. All’inizio era normale vedere queste attività come poco più di un “gioco degli agenti segreti”. Solo quando entravano nella mentalità corretta di queste esercitazioni, gli allievi comprendevano che per portare a termine queste assegnazioni servivano delle capacità non banali. Le stesse che poi avrebbero potuto utilizzare sul campo nella loro carriera. A fine corso gli istruttori illustravano nel dettaglio alcune attività di Intelligence svolte nei Balcani, in civile, da operatori del Col Moschin. Missioni a dir poco audaci, ma che avevano contribuito a sviluppare quelle capacità e procedure che ora stava impiegando Ferrone per pianificare la sua fuga dalla Svizzera.
Durante tutto il tempo che si trovò alla guida, Ferrone interrogò il navigatore sulle strade alternative per passare il confine, la posizione di centri commerciali e di parcheggi. Allo stesso tempo cercava di capire se ci fosse un potenziale team di inseguitori alle calcagna. Non riuscì a individuarlo, perché la maggior parte degli altri veicoli sull’autostrada lo superavano senza rimanere nella sua scia per più di una manciata di secondi.
Forse ci sono più squadre di sorveglianza che si danno il cambio per non dare nell’occhio?
Ferrone cercò di scrollarsi di dosso la paranoia, rammentando però che fino a quel momento era rimasto vivo proprio grazie a una generosa dose di essa.
Cercate nell’ambiente la presenza dell’anomalo e l’assenza di esso dove dovrebbe esserci.
Le parole del suo istruttore di SERE tornarono nelle sue orecchie. I veicoli intorno a lui procedevano tranquilli, alle spalle nessun veicolo che lo tallonava tenendosi a distanza. Niente velivoli visibili nel cielo. Ferrone aveva elaborato il suo piano in base agli algoritmi SERE utilizzando la mappa del navigatore. Aveva impostato la sua destinazione che avrebbe raggiunto in meno di tre ore. Sarebbe stato abbastanza vicino al confine italiano, ma allo stesso tempo a una distanza tale da confondere eventuali inseguitori.
Il resto del viaggio proseguì senza particolari eventi. Purtroppo, l’incursore non riuscì a godersi i panorami elvetici che la superstrada attraversava. Il navigatore lo guidò al parcheggio della stazione ferroviaria di Locarno. Non c’era molta gente in giro e l’area di sosta, non particolarmente grande, era mezza vuota. Mancava un quarto d’ora a mezzogiorno. Parcheggiò all’interno di uno spazio delimitato da righe che davano l’idea di essere state rifatte il giorno prima. Ferrone si guardò attorno. Nulla di anormale. Per qualche motivo rimase sorpreso del fatto che la sua BMW fosse l’unica automobile di grossa cilindrata in tutto il parcheggio, dominato invece da utilitarie italiane e francesi.
«Allora in Svizzera ci vivono anche i comuni mortali…» sussurrò tra sé e sé.
* * *
[1] SERE: Survival, Evasion, Resistance and Escape. (Sopravvivenza, Evasione, Resistenza, Fuga) Trattasi di una serie di nozioni organizzate in vari corsi specifici che sono erogati ai membri delle Forze Speciali per dare capacità di operare in ambienti ostili, resistere a eventuali interrogatori e periodi di prigionia e pianificare una fuga dalle forze ostili.
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