Pacific Vortex

4,99

Formato: Epub, Kindle

Autore: Caterina Peschiera

Note sull’autore

COD: ISBN 978-88-6690-045-0 Categoria: Tag:

Descrizione

Terza media

Cecilia scopre che il suo universo simbolico fatto di situazioni e personaggi immaginari può realizzarsi compiutamente attraverso la parola scritta e ciò la porta a trovare una dimensione nuova e prorompente di se stessa nella realizzazione di un romanzo. La scoperta del proprio talento la condurrà sulle prime ad uno stato di estasi solitaria, un vortice di autogodimento e di alienazione da cui si farà risucchiare fino a creare una distanza incolmabile dalla realtà.

La vicenda personale di Cecilia si interseca con la storia di Scilli, il personaggio uscito dalla sua fantasia e in cui la ragazza si identifica in modo inquietante. Si tratta di una creatura disadattata come lei, un incrocio bizzarro tra una sirena ed un umano. Stupenda o mostruosa, a seconda dei punti di vista.

Torna l’istanza ecologica del primo libro attraverso il romanzo stesso di Cecilia ambientato presso il Pacific Vortex Trash, immenso accumulo di spazzatura in mezzo all’Oceano Pacifico. Trovandosi a contatto con questa curiosa massa che invade il loro mondo, la colonia di Sirene e Tritoni in cui vive l’emarginata Scilli, cede alle lusinghe della novità, che portano i più ad interpretare la nostra spazzatura come progresso.

Torna anche l’istanza morale, proposta nel primo libro e amplificata nel secondo in cui la coerenza etica di Cecilia diventa quasi ossessiva fino a sconfinare in una pericolosa diffidenza anche verso chi non se lo merita.

Nello scritto di Cecilia lo snodarsi della vicenda segue in modo simmetrico l’evolversi di quella della giovane autrice, finchè in entrambi i casi, la via d’uscita consisterà nel cedere all’apertura verso le persone giuste, ragazzi come lei con i quali poter vivere un contatto profondo e soddisfacente, finalmente riuscendo a sperimentare amicizia, fiducia, condivisione e amore.

INCIPIT

1 – PACIFIC VORTEX

Pacific Trash Vortex è un enorme accumulo di spazzatura galleggiante (soprattutto plastica) situato nell’Oceano Pacifico. La sua estensione non è nota con precisione: le stime vanno da 700.000 km² fino a più di 15 milioni di km², pari a tre volte la superficie della penisola iberica.

Cecilia aveva gli occhi grandi come lanterne.

Sulla schermata di Wikipedia, quell’ammasso gigante di schifezze in mezzo al Pacifico stava assorbendo tutte le sue funzioni mentali. Le sembrava di sentirlo circolare all’interno della sua testa, inesorabilmente in senso orario come le correnti oceaniche che lo avevano generato, mentre si espandeva a dismisura come un gigantesco minestrone di plastica. C’era di tutto: bottiglie, contenitori, flaconi, imballaggi, borse, borsette, anche qualche paperetta per le vasche da bagno.

«Cecilia, mi fai vedere?»

Le si era avvicinata quella nuova. Le pareva si chiamasse Laura.

«Sì, certo, certo» rispose Cecilia, ancora rapita da quelle immagini, ma sufficientemente in sé per capire che quella cosa che le era appena successa aveva qualcosa di assolutamente insolito. Pur con la mente occupata da tonnellate e tonnellate di rifiuti profondi trenta metri dal pelo dell’acqua, non se l’era lasciata sfuggire l’occasione del secolo e aveva risposto come se tutto fosse stato normale. Non lo era invece, non lo era per niente, non lo era da due lunghissimi anni, esattamente da due lunghissimi anni e due giorni. Il terzo anno di sciagura era appena iniziato, infatti, in quella favolosa III D, popolata da un’intera colonia di vampiri. Ventidue: 8 maschi e 14 femmine. Ora erano in 23 per la precisione ma l’ultima arrivata non aveva ancora individuato di che specie fosse.

Era stato bello sentirsi chiamare, dall’inizio dell’anno non era ancora mai successo. Sembrava che, dopo tutto quello che era accaduto in passato, dopo i pettegolezzi, dopo le liti e dopo le burle, Cecilia non potesse essere, per i suoi compagni, che qualcosa di simile ad un disturbo cronico con il quale rassegnarsi a convivere.

Sentirsi chiamare. Sentirsi chiamare per nome. Sentirsi chiamare per nome e da una sconosciuta. Forse quel nobile isolamento del quale, con lacrime a fiumi, aveva imparato a sentirsi fiera, poteva essere finalmente infranto e la porta della sua anima, blindata con scrupolosa attenzione, aperta ad una nuova speranza.

Nel solito posto vuoto, destinato a restare tale, era accaduto il miracolo e la sconosciuta di nome Laura si era seduta sulla sedia a fianco della sua, davanti al suo stesso computer.

«Perché ti sei spostata?» chiese Cecilia, incuriosita dal fatto che avesse lasciato proprio Matilde per venire da lei.

«Per forza…» e si interruppe. Cecilia la guardò incuriosita.

«Li vedi quelli a destra di Matilde?» fece Laura sottovoce «anche quelli a sinistra, veramente» e riprese ancor più sottovoce «naviga, naviga, sai dove sono finiti ‘per caso’? Prova ad indovinare!»

Cecilia si sentì decisamente a corto di idee e pensò fosse più elegante rispondere con un cauto silenzio.

Laura continuò: «Guarda, mi danno i nervi, non dovevamo cercare notizie sulla plastica? Sai quelli di che plastica si stanno occupando?» Cecilia continuava a navigare nell’ignoto. «‘Bambolone di plastica’ ma non quelle dei negozi di giocattoli. Mi capisci?»

Non capiva. Peccato, pensò Cecilia, inaugurare un incontro così promettente con un’espressione idiota come quella che si sentiva addosso. Tutto sommato, però, non provò un grande imbarazzo: erano lontani quei dannati momenti in cui si vergognava terribilmente per qualunque cosa. Aveva capito che sentirsi deficiente ogni tanto non era poi la fine del mondo. Ora si sarebbe sentita deficiente nel vergognarsi.

«Le bambolone dei sexy-shop! Laggiù vanno a caccia di siti porno, ci sei?» ed aggiunse, sorridendo:«Forse credono di essere rimasti in tema: sempre di plastica si tratta. Io, invece, preferisco navigare un po’ nel tuo mare di rifiuti. Ti dispiace?»

Uaooh. Che presentazione. Laura le aveva sottoposto nel giro di pochi istanti un curriculum da capogiro: decisa, impegnata, intelligente, ironica. Senza dubbio più informata di lei, almeno su certi temi. Forse non quelli fondamentali, ma utili, se non altro, ad evitare figuracce.

In altre parole, assunta a tempo indeterminato.

«Pacific Vortex» pronunciò Laura dinanzi all’immagine di rifiuti a perdita d’occhio galleggianti per l’Oceano Pacifico. «Pensa un po’, proprio a nord delle Hawaii, le isole più belle del mondo, c’è l’isola più brutta, un ammasso grande come mezza Europa.»

Ma dove stava leggendo? Cecilia quelle cose le sapeva perché le aveva appena viste in un’altra pagina, ma davanti a loro c’era solo un’immagine e nessuna spiegazione. Era informatissima quella ragazza e non solo sui siti porno, grazie al cielo.

Chissà se viveva i problemi ambientali come lei, come se si sentisse responsabile con le sue azioni dirette, quotidiane, come se il futuro del Pianeta dipendesse dal suo comportamento. In prima fila in una battaglia dagli accenti epocali.

Tutto quell’eroismo le era già costato in classe parecchie batoste. Meglio evitare le crociate, si era detta da un pezzo ed ora, che era cresciuta, sentiva di aver abbandonato l’ingenuità di quei giovanili ardori, coltivando i suoi principi all’ombra di una preziosa solitudine.

«Hai provato qui?» propose Laura cliccando su una nuova pagina.

Lo chiamano Pacific Trash Vortex, il vortice di spazzatura dell’Oceano Pacifico, ha un diametro di circa 2500 chilometri, è profondo 30 metri ed è composto per l’80% da plastica e per il resto da altri rifiuti che giungono da ogni dove. “È come se fosse un’immensa isola nel mezzo dell’Oceano Pacifico composta da spazzatura anziché rocce. Nelle ultime settimane la densità del materiale ha raggiunto un tale valore che il peso complessivo di questa ‘isola’ di rifiuti raggiunge i 3,5 milioni di tonnellate”, spiega Chris Parry del California Coastal Commission di San Francisco, da poco tornato da un sopralluogo.

Questa incredibile e poco conosciuta discarica si è formata a partire dagli anni Cinquanta, in seguito all’esistenza della North Pacific Subtropical Gyre, una lenta corrente oceanica che si muove in senso orario a spirale, prodotta da un sistema di correnti ad alta pressione.

Storicamente i rifiuti di origine biologica erano spontaneamente sottoposti a biodegradazione, mentre in questo luogo si sta accumulando una enorme quantità di plastica e di rottami marini. Anziché biodegradare, la plastica si “fotodegrada”, disintegrandosi in pezzi sempre più piccoli, fino alle dimensioni dei polimeri che la compongono la cui ulteriore biodegradazione è molto difficile. La fotodegradazione della plastica può produrre inquinamento da PCBs. Il galleggiamento di tali particelle che apparentemente assomigliano a zooplancton, inganna le meduse che se ne cibano, causandone l’introduzione nella catena alimentare.

«Che disastro, pensa un po’ a quei poveri pesci che si trovano nella pancia microscopici pezzettini di plastica» commentò Laura.

«Le tartarughe invece si mangiano i sacchetti di plastica direttamente» aggiunse Cecilia. E continuò: «Se ci abitassero delle sirene? Ci pensi tu a come potrebbe prendere una cosa del genere un intero popolo di sirene?»

Le era scappato. Quella sua esplosiva fantasia non sapeva restarsene al suo posto. Mai.

«Come, scusa?» Laura sembrava non aver capito.

Murene. Poteva dire murene. Era facile scambiare sirene con murene. E tutto sarebbe tornato al suo posto. Non voleva che quelle sirene piombate all’improvviso rovinassero quell’inatteso miracolo e la dividessero subito da quella ragazza nella quale sperava tanto di trovare un’amica. Troppo impegnative da portarsi appresso come tutto quel suo mondo fantastico con il quale amava condividere gran parte del suo tempo. Ma di bugie non se ne parlava: accettarla doveva voler dire accogliere anche tutte le sue sirene e con le sirene tutto ciò che di fantastico popolava la sua mente.

«Non ho capito. Hai detto sirene?» ribadì la ragazza.

«Sì, pensa un po’ se proprio in quella zona fossero vissute da migliaia di anni una popolazione di sirene e tritoni, magari in qualche modo legate proprio a quelle correnti…»

«…che servivano per una migliore ossigenazione dell’acqua, ideale per il loro particolare sistema respiratorio misto branchie-polmoni. Quelle correnti, ognuna con la propria velocità, creavano autentiche strade che quelle popolazioni percorrevano instancabilmente da migliaia di anni in una città frenetica fatta di pura acqua…»

«Quelle correnti, ognuna con le proprie caratteristiche di temperatura e salinità, colore e trasparenza, creavano ambienti ai loro occhi diversissimi: condomini, ricchi palazzi, viottoli, parchi e zone ricreative dove un occhio terrestre avrebbe visto solo e nient’altro che acqua…»

Laura avrebbe continuato imperterrita il suo viaggio in quelle favolose correnti popolate da un antico popolo del mare, quando vide che Cecilia la fissava. Laura sembrò spaventarsi, forse aveva l’impressione di aver corso troppo e tacque. Cecilia si era già pentita amaramente per quello sguardo sbagliato. Sbagliato e nel momento sbagliato. Non sapeva più cosa dire. Era stata proprio lei a riportare Laura alla realtà, proprio lei che non era riuscita a lasciarsi andare in quel gioco meraviglioso. Era passato diverso tempo da quando, con le amichette delle elementari, riusciva a vivere una realtà parallela fatta di lotte tra buoni e cattivi, di magie e poteri usando tutto il suo nutrito esercito di Barbie e affini. Ora l’esercito se ne stava impolverato a guardarla dalla mensoletta della sua camera ma la sua immaginazione continuava a portarla ovunque ed era tutt’altro che impolverata. A differenza del passato, però, le sue avventure le conduceva rigorosamente in solitaria. Chi mai l’avrebbe più seguita nelle sue meravigliose storie ricche di personaggi, ambienti fantastici, amori, dolori e colpi di scena? E così esse si svolgevano principalmente prima di addormentarsi, nel calduccio del suo letto, e spesso anche nel tragitto casa-scuola. Talvolta finiva persino per sbagliare strada.

Ora però era stata la realtà a vincere anche su di lei con tutto il suo carico di arida normalità. E proprio lei si era ritrovata a guardare Laura come fosse strana. Proprio lei l’aveva fatto, proprio lei che ormai era convinta di essere strana per vocazione.

Laura si alzò senza dire una parola, approfittando del suono della campanella che indicava il cambio dell’ora e scivolò in silenzio in mezzo al gruppo di tutti gli altri ragazzi che, un po’ chiacchierando e un po’ spintonandosi, usciva dall’aula di informatica.

Gli unici ad indugiare furono Matilde e compagni, impegnati a contenere un’ilarità gonfia di soddisfazione per quell’avventura così ben riuscita a dispetto di regole e professori. E in barba anche a quella gente strana, come quella nuova, Laura, o quella solita, Cecilia, della quale non valeva nemmeno più la pena di parlare.

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