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16,00

Formato: Libro cartaceo

Autore: Giancarlo Ibba

Note sull’autore

COD: ISBN 978-88-6690-460-1 Categoria: Tag:

Descrizione

Uno spietato cacciatore di taglie, un apache in fuga, un pilota di astronavi, un investigatore privato nei guai, due belle ragazze confuse, un casanova palestrato, un uomo senza memoria di cui si conosce solo l’iniziale del nome, K., una sarta maltrattata dal marito alcolista, un bambino che sembra molto più maturo della sua età: personaggi che vengono da epoche differenti e luoghi diversi, senza spiegazione e all’improvviso, si trovano misteriosamente proiettati in un nuovo, strano “mondo”. Un insieme eterogeneo e mutevole di ambienti, dove c’è sempre un dettaglio che “non torna”, non in sintonia con le leggi della fisica e della natura. Come se non bastasse, un’oscura minaccia sembra incombere costantemente su tutti loro, in un crescendo di tensione che farà emergere i lati migliori o peggiori di ciascuno. Ma la realtà è ancora più terribile e difficile da accettare.

INCIPIT

OUVERTURE

0.0 – AL LARGO

  

«Ti prego, non farlo!» supplicò il vecchio, davanti all’ufficiale nazista, mostrando i palmi. Nonostante l’età e la voce arrochita, le sue mani non tradivano il minimo tremore. «Posso spiegarti tutto.»

L’hauptmann S.S. Hans Falk scosse la testa, facendo tintinnare la canna brunita della sua Luger contro i denti, bianchi e perfetti.

Distese le labbra in un sogghigno, poi esclamò: «Heil, Hitler!»

Premette il grilletto. Il proiettile attraversò il palato molle e la sua testa esplose, facendo schizzare in aria il berretto con visiera.

Atterrò ai piedi del vecchio, con un tonfo flaccido, il distintivo a forma di teschio grondante di sangue e grumi di cervella. Subito dopo, il corpo del nazista crollò sulle pietre bagnate del ballatoio.

I piedi, dentro gli stivali lucidi, scalciarono ancora per un attimo.

«Perché la verità è così difficile da accettare?» si domandò il vecchio.

Sollevò il capo e rivolse lo sguardo verso il mare in tempesta.

Nonostante il cappotto pesante, i pantaloni e il maglione di lana a collo alto, rabbrividì. In cima al faro, un gelido vento salmastro fischiava tra le inferriate di sicurezza che delimitavano il balcone circolare. Cento metri più in basso, sotto un sudario di foschia, le onde dell’oceano si abbattevano fragorosamente contro gli scogli. Schiuma biancastra frizzava negli anfratti, spazzando gli ammassi informi di alghe morte e i grotteschi artropodi che se ne cibavano. Il rumore prodotto dalle loro grandi chele era simile a un applauso svogliato. Una barriera di nubi tempestose, farcite di tuoni fragorosi e lampi azzurrognoli, circondava l’intero orizzonte marino.

Il clima e il paesaggio erano sempre gli stessi, in quella zona.

Suo malgrado, da molto tempo, l’uomo si era ritrovato costretto a svolgere la solitaria mansione di guardiano del faro. Un faro che segnalava pericoli ben più sconvolgenti di quell’isolotto roccioso.

Il vecchio strizzò le palpebre e aguzzò la vista verso i confini del suo ristretto mondo. Ventagli di rughe gli si formarono ai lati degli occhi. Una sola lacrima gli solcò il viso, strappata subito via dal vento, incessante, tagliente come un rasoio. Si aggrappò alla solida balaustra di ferro, incrostata di sale, cercando il coraggio di buttarsi.

Le sue dita nodose, ancora macchiate di vernice gialla, verde e rossa, si strinsero con forza. Da quell’altezza, la microscopica isola basaltica su cui si ergeva il suo solitario faro sembrava poco più di un fazzoletto di terra sterile e roccia frantumata dalle intemperie.

«Merito questo destino?» domandò il vecchio, sporgendosi.

Un rumore meccanico gli impedì di formulare una risposta.

Nella luce livida dell’eterno crepuscolo, il potente fascio di luce rotante della lanterna alle sue spalle illuminò la cresta dei marosi e si riverberò nei fitti banchi di nebbia. Il faro non aveva necessità di manutenzione. La dispensa restava sempre piena e la corrente, per quanto non ci fossero linee elettriche, non era mai mancata. La sua presenza in quel luogo dimenticato, tutto considerato, era superflua.

Fin dall’inizio, non aveva mai avvistato nessuna nave al largo.

Anche perché, come aveva scoperto, non esisteva un “al largo”.

Al termine di una dolorosa riflessione, con passo malfermo, il vecchio si staccò dalla ringhiera e raggiunse la porticina di metallo che conduceva verso la ripida scala a chiocciola che s’inerpicava all’interno del faro. Prima di chiudersela alle spalle, lanciò un’ultima occhiata al corpo dell’ufficiale nazista, riverso sulla balconata.

Non c’era alcuna ragione di sbarazzarsene, gettandolo in mare, o seppellendolo da qualche parte. Tutta fatica sprecata, come ben sapeva. Durante i lunghi anni che aveva trascorso in quel luogo, ne aveva compreso alcune delle bizzarre regole e assurdi meccanismi.

Discesi con calma e prudenza le centinaia di gradini, rischiarati a intervalli regolari da piccole lampade rosse incastonate nella parete scrostata, il vecchio entrò nel suo modesto alloggio. L’ambiente era ricavato nel solido cubo di cemento armato che faceva da piedistallo allo svettante cilindro, tinteggiato a strisce bianche e rosse, sopra la sua testa. L’arredamento dell’alloggio, per quanto fosse incredibile, era l’unico legame con un passato che desiderava dimenticare.

Appeso il cappotto a un gancio, il vecchio si accasciò nella sua poltrona, di fronte a un camino scoppiettante. Scrutando le fiamme accarezzare i ciocchi, ebbe la nitida premonizione che tra non molto avrebbe avuto altri visitatori. A parte Hans, il fanatico nazista, da diverso tempo non era arrivato più nessuno al faro. I sopravvissuti, ultimamente, erano sempre meno. Neppure uno, dopo aver appreso la verità, aveva deciso di andarsene. Tutti quelli rimasti o erano stati fagocitati dalle Ombre Striscianti o avevano finito con l’uccidersi a vicenda o, come Hans, si erano suicidati. La solita, triste storia.

Nel piccolo ambiente, saturo di fumo, il vecchio tossì e iniziò a piangere. La solitudine forzata e le troppe delusioni l’avevano reso debole. Irritato con se stesso, asciugò le guance con un fazzoletto, poi alzò gli occhi dal fuoco e fissò la piccola cornice, posata sulla mensola del focolare. Non conteneva una foto ricordo di famiglia: era il ritaglio ingiallito della prima pagina di un quotidiano.

Con sguardo lucido, sotto le folte sopracciglia, l’uomo lesse per l’ennesima volta quel misterioso titolo a caratteri cubitali e aspettò l’arrivo dei suoi prossimi ospiti. Non c’era un se, solo un quando.

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