Nodo alla gola

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Formato: Libro cartaceo, pag. 334

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Autore: Carlo Bertot

Note sull’autore

COD: ISBN: 978-88-5539-412-3 Categoria: Tag:

Descrizione

Enzo Rizzo, giovane agente di Polizia, nel 2003 è stato determinante nelle indagini che hanno portato alla soluzione di un complicato caso, noto come “l’assassino del caschetto”. Dopo questa esperienza ha deciso di lasciare la divisa per dedicarsi a un lavoro che ritiene più tranquillo: è infatti titolare, con il cugino Alessio, di una impresa di traslochi. Lo ritroviamo nel 2016, sposato con Luisa e padre di uno scatenato bimbo di tre anni, Jacopo.

La morte del giovane violinista Daniel, legato ad Alberto, cugino della moglie di Enzo, un suicidio che appare ben presto abbastanza sospetto, lo rimetterà in gioco come detective dilettante, chiamato a collaborare dagli ex colleghi della sua squadra di Polizia. E della squadra fa ora parte anche una nuova, affascinante assistente…

In questo giallo, ambientato a Torino e nel comune di Farigliano, devastato dall’alluvione, l’autore gioca con il lettore, mettendogli costantemente davanti agli occhi indizi e possibili soluzioni, ma anche  costruendo personaggi credibili e profondamente umani.

INCIPIT
La bella sala dalle alte volte decorate era piena di musica: l’orchestra suonava ad alto volume una sinfonia che non conoscevo, un torrente di note che rimbalzavano sulle pareti, risuonando e avvolgendoci in una bolla di suoni meravigliosi. I contrabbassi e i violoncelli facevano da sottofondo, violini e viole cantavano la loro melodia giocando e alternandosi all’oboe, ai flauti, ai fagotti e ai corni. I motivi si intrecciavano, si rincorrevano, tornavano, a volte suonati da strumenti diversi, e facevo molta fatica a seguirli, anche se riconoscevo alcuni momenti musicali che si ripetevano di tanto in tanto. Come sempre in quei casi, mi lasciavo cullare dal tappeto sonoro che riempiva la sala da concerto, creando senza un momento di sosta le sue trame e le sue melodie, e che mi risuonava dentro. Era come se il mio cervello vibrasse insieme alla musica e io rispondessi vibrando con la musica; mi sentivo come immerso nel rintocco di tante campane.

Mi rendevo conto che il paragone che mi era venuto in mente era piuttosto fiacco. Ma, a mia discolpa, posso dire che prima di conoscere la musica classica grazie a Luisa, a quasi trent’anni di età, non avevo mai provato quella sensazione. Al massimo mi ci ero avvicinato qualche volta, dentro le chiese, quando qualche organista faceva risuonare le volte di una vibrazione quasi mistica, oppure alla domenica, quando andavo a messa con i miei genitori, e l’aria cominciava improvvisamente a vibrare tutta sotto il concerto delle campane di mezzogiorno.

Faticavo a ricordarmi chi fosse l’autore della musica che stavamo ascoltando, e riguardai ancora una volta il foglio che ci era stato dato all’ingresso. Sotto il titolo “Saggio di fine corso anno 2015-2016” la prima voce era “Orchestra – Brahms, Sinfonia n. 4 in mi minore – primo movimento: Allegro non troppo”. Per me un compositore valeva l’altro, non ero in grado di riconoscere un autore romantico da uno barocco, e questa cosa faceva sempre perdere la pazienza a Luisa. Ma non era colpa mia: nella famiglia Rizzo tutti i miei numerosi zii e cugini e cugine erano appassionati del Festival di Sanremo e della musica italiana. Io avevo sempre dato ben poca attenzione ai gusti musicali della mia famiglia, e anche le fidanzate che avevo frequentato prima di sposare Luisa tutto sommato avevano poco interesse per la musica. Di certo non avevo mai frequentato prima di allora una famiglia di musicisti e maestri di musica come quella di mia moglie. La mia totale ignoranza, non solo della musica più colta, ma anche di altri generi musicali (“jazz? cos’è?”) era considerata, dai miei suoceri e dai loro parenti, con bonaria sufficienza, come una pittoresca caratteristica della mia origine lucana. A dire la verità, nessuno me la faceva mai pesare, tranne a volte proprio Luisa, in privato. Continuai a lasciarmi cullare dalle melodie, assorto, guardando i musicisti suonare, affascinato dalle loro dita che correvano su e giù per le tastiere degli archi, guardando il direttore d’orchestra che muoveva intensamente le mani come se fosse lui a far scaturire la musica dall’orchestra con i suoi gesti magici.

«Enzo, digli qualcosa, no?»

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