Nel gioco delle ombre

4,99

Formato: Epub, Kindle

Autore: Bruno Bruni

Note sull’autore

COD: ISBN 978-88-6690-365-9 Categoria: Tag:

Descrizione

Dario e Irene, bravi ragazzi Scout. Una sera vanno insieme ad ascoltare la cugina di Irene che canta in un gruppo rock. L’esibizione avviene in un locale periferico, che nelle serate morte organizza l’angolo del dilettante. Un fatto insignificante perso nel tempo. Punto di partenza per conseguenze che stenderanno la loro influenza lontano, fino ad un futuro che, quella sera, nessuno di loro potrebbe immaginare.

Dario e Irene si perdono di vista, la vita li maltratta, li lusinga. Pubblico e privato li coinvolgono, li distraggono. Amore e politica per Irene, amore ma anche ambizione e fretta di avere successo per Dario.

”C’è gente che ha avuto mille cose” dice una canzone. Qualcuno ne farebbe a meno, altri vivono per cercare emozioni. Dario e Irene si ritrovano per caso, molto tempo dopo, stupiti, estranei ed in qualche modo sempre uguali. Il tempo passato è una vertigine che spaventa, che attrae. Le persone amate, e perdute,  lasciano ricordi che sono ferite sempre aperte. Dario e Irene sono bravi ragazzi, e lo saranno per sempre, ma i conti vanno chiusi, per sopravvivere.

 

INCIPIT

Lo conosco, ripetevo tra me, l’ho già visto da qualche parte. Continuavo a pensarci in ascensore, mentre salivo in studio. Quella faccia antipatica intravista poco prima, durante il sopralluogo. Mi sarebbe venuto in mente, ne ero sicuro. In studio, al solito, Vittoria aveva spalancato tutto creando correnti d’aria e vortici che sparpagliavano carte messe in ordine con cura e fatica. Ho chiuso con forza eccessiva la finestra della mia stanza, mentre Vittoria entrava.

«Ho aperto un attimo, c’era aria viziata» annunciava lei con la sua voce da soprano.

«Ottimo. Esce l’aria viziata, entra lo smog» brontolavo, ma tanto non stava a sentire. Raccoglieva da terra un foglio, porgendomelo distratta. «Com’è andato il sopralluogo? Qui tutto bene. Indovina chi ha telefonato» esclamava, allegra.

«Benito Mussolini. Adolf Hitler.» Mi irritano quelli che dicono Indovina

Lei sbuffava, con aria di compatimento. «Che ridere. Era Morini, che mi sollecita il progetto definitivo. Mi sa che devo darci dentro. Una montagna di cose da fare, senza perdere un minuto.»

«Mi sa che i tuoi clienti tipo Morini sono come l’Aids. Se li conosci, li eviti.»

Vittoria sospirava. «Bravo. E poi mangio alla mensa dei poveri. Il cliente ha sempre ragione, no? Ma vedo che sei di buon umore, stamattina. Se la cosa ti consola, ho passato la notte in bianco, mamma aveva la sua colica. Sono a pezzi, andrei a dormire, e devo ancora finire i conteggi di casa Botta.»

«In effetti non mi consola. Tua madre ha intensificato i tempi delle sue coliche, o sbaglio?»

«Poverina, diventa vecchia, ci vuole pazienza.»

«Non mi pare che fosse diversa dieci anni fa.»

Vittoria alzò le spalle, uscendo senza rispondere. Io ho acceso il PC, sospirando. Per un attimo mi era venuto in mente qualcosa, ma Vittoria rientrava ingombrando la porta. Aveva anche il fisico, da soprano. Quelle versione XL, tutto burro e ciccia.

«Raccontami del sopralluogo. Sai che sono curiosa. Poi vado a finire Morini, ma mi dovresti dare una mano. Se hai tempo.»

Con lei è inutile arrabbiarsi, la conosco da anni, ormai. Ho cercato di riassumere, intanto che scorrevo la posta elettronica.

«Un intervento strutturale di poca importanza. Qualche crepa, ma la proprietà dell’immobile non vede l’ora di liberarsi di quelli dei Servizi Sociali. E così fanno le cose grosse. Naturalmente era presente uno schieramento di forze mica male. Funzionario Asl, funzionario del Comune, che non ho capito a che titolo fosse presente, l’amministratore della casa, la direttrice del Servizio Sociale. Un’ora di chiacchiere inutili. Presenterò una relazione tecnica.»

Lei annuiva, già poco interessata. Intanto armeggiava con la mia finestra, sistemando le tende a pacchetto. Le dà fastidio se sono arrotolate in modo non simmetrico. E sbirciava il mucchio di cartelline polverose che avevo ammucchiato dietro l’armadio. «Dobbiamo trovare il tempo di fare archivio» mormorava scuotendo la testa. L’argomento archivio è pericoloso. Vittoria è il disordine in persona, ma a tratti è presa da rigurgiti di razionalità, e vorrebbe riordinare e pulire tutto. È già successo, e dopo il caos era inestricabile, con giorni di fatica e tempo perso. Ho subito tentato un diversivo. «Indovina chi è la direttrice dei Servizi Sociali?»

Era una vendetta inutile, rifarle il verso. Sbeffeggiare Vittoria è come sparare alla Croce Rossa. Restò in attesa, l’aria interessata.

«Eravamo insieme negli Scout, nel secolo scorso» completavo. Sicuro di aver fatto centro. Infatti, sorrideva, intenerita. Lei adora le nostalgie, le rimpatriate.

«Che cosa carina, Dario. La conosco? Ti ha riconosciuto? Domanda inutile, tu sei sempre uguale.»

«Si chiama Irene Somis. Capelli grigi, non si tinge, ma per il resto non è invecchiata troppo. Brava persona, di poche parole. Ci siamo riconosciuti a vicenda, subito. Anche se io non amo i ricordi, lo sai, mi ha fatto piacere rivederla.»

Vittoria metteva su l’espressione assorta. Ero certo che quel nome, Somis, le avrebbe suggerito qualcosa. Infatti scuoteva la testa. «Somis. Parente del politico? Ma scusa, non sarà quella che era stata rapita? Che poi forse era un rapimento finto, e lei era complice dei terroristi. Una brutta storia. E mi dici che era negli Scout?»

«Tutte calunnie, Irene conosceva per caso qualcuno che era davvero coinvolto con i terroristi. Ti assicuro che era un tipo tranquillo, per niente sovversiva.» Già mi pentivo di aver dato il via a quella che poteva essere una serie infinita di illazioni e rimembranze inutili. E poi mi era caduto l’occhio su una e-mail, e volevo leggermela in pace. Caso fortunato, il cellulare di Vittoria si è messo a strepitare la sua musichetta scema nell’altra stanza, e lei è corsa via in un ondeggiare di gonna e ciccia, già affannata. Tanto sull’argomento Irene ci tornava, ero stato incauto a parlarne. Ma almeno avevo guadagnato una mezz’ora di pace. La sue telefonate sono sempre lunghe, e strutturate a catena. Una chiamata a lei crea immediatamente una chiamata di Vittoria, magari per assonanza, con qualche terzo ignaro. Ho letto il messaggio che mi aveva colpito. Era Dafne.

«Caro. Non ci siamo sentiti da un pezzo, mi pare. Ho avuto qualche noia fisica, nulla di troppo serio, comunque. Qui tutto procede senza scosse. Stiamo seriamente pensando di aprire una piccola succursale a Londra. Josette, la mia socia, esita. Io insisto. Insisto sempre, lo sai. Memento audere eccetera, come diceva il Vate. Il momento economico non è favorevole, ma quando mai lo è stato? Quelli che favoleggiano dei bei tempi in cui “Si poteva lavorare” farneticano. Sono dei nostalgici. Never complain, never explain. A proposito di nostalgie. Forse non ti sto facendo un favore. In questo caso, perdono, perdono. Mesi fa, ho incontrato per caso, qui a Parigi, Alice Leone. La figlia di Tea. È stata in America diversi anni, credo lavorasse in qualche Televisione. Tornata in Francia, si occupa di videoclip, cose del genere. Non ti avrei detto nulla, confesso. So che il passato non ti piace troppo. Ma si è presentato un fatto nuovo. Alice ha una parente, una cugina, che vive dalle tue parti. Credo sia una ragazza con problemi psichici, e praticamente sola al mondo. Alice è l’unica parente, le hanno scritto quelli dei Servizi Socio assistenziali. Me lo ha raccontato lei, una sera a cena. È stato due mesi fa, forse tre… Aveva deciso di andare in Italia, e incontrare la cugina tonta. Anche di questo non ti avrei detto nulla. Ma la storia è più complessa. Confesserò tutto, a questo punto. Con Alice siamo diventate amiche, da subito. È una ragazza intelligente, dal carattere non facile. Ha fama di seduttrice e in effetti, senza essere per nulla vistosa, ha un fascino naturale degno di sua madre. Mi hai capito, immagino. Il guaio l’ho combinato io. Incautamente, le ho raccontato un poco di noi, e di Tea, e insomma, una sera che avevamo bevuto ottimo Armagnac a casa mia, la vecchia Dafne si è lasciata andare a nostalgiche rimembranze. Alice sapeva poco di Tea. Tra l’altro, era tornata in Italia una decina di anni fa, quando il suo patrigno Edoardo era ancora vivo. All’epoca aveva scoperto che sua madre non era una santerellina, ma sai come sono i ragazzi, non ci aveva fatto caso più di tanto. Poi a quei tempi aveva problemini con la droga, me lo ha confessato. Adesso è più matura, e credo sia curiosa di conoscerti. Alors, en garde, mon ami! Alice potrebbe essere Pe-ri-co-lo-sa. Scherzo, ma non troppo. Credo fosse giusto avvertirti, deciderai tu il da farsi. Perdona una vecchia amica rimbambita dall’età e dalle medicine. A presto, spero, se Dio vorrà. Ti voglio bene, Dario caro.»

Altro che evitare i ricordi. Il passato mi veniva addosso come un treno. Ho risposto in fretta, prima che Vittoria tornasse all’attacco.

«Sei una infida traditrice. E non parlo di Alice Leone, né delle tue rimembranze alcooliche. Che venga pure, non sarà lei a spaventarmi. Ma tu, e quei tuoi accenni a malattie e medicine! Cosa hai avuto, si può sapere? Odio quelli che minimizzano tutto. Dammi notizie serie, ti prego. Sei una delle poche persone al mondo di cui m’importi. Rispondi subito, non fare Milady con i tuoi never complain. Mi fai stare in ansia.»

Sono rimasto imbambolato a fissare lo schermo per un bel pezzo. Sentivo la voce di Vittoria nella stanza accanto, il traffico sul corso sei piani più in basso, ed ero lontano, molto lontano, in quel passato che un poco mi spaventa, a cui non penso mai.

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