Maeva, la benvenuta

4,99

Formato: Epub, Kindle

Autore: Daniela Vasarri

Note sull’autore

COD: ISBN 978-88-6690-2553 Categoria: Tag:

Descrizione

Matilde è una donna moderna e coraggiosa, oltre che dannatamente ostinata. Non più sposata, decide di inseguire il proprio sogno di maternità, negatole nel precedente matrimonio e di affrontare da sola le fatiche e i dubbi di un’adozione. La nuova condizione è  un’operazione delicata e affascinante, di certo anche coinvolgente ma spesso difficoltosa, proprio perché vissuta come unico genitore. Negli incontri dei personaggi che vivono indirettamente con lei questa esperienza, Matilde sa ben destreggiarsi perché possiede una guida interiore e un affetto giovanile ricorrente nella memoria, che le daranno la forza anche i migliorarsi.

Parte quindi in direzione Thailandia e, dopo aver superato la burocrazia e la diffidenza del personale dell’orfanotrofio,  incontra così Maeva, una bimba scampata miracolosamente al terribile tsunami del  2004, che diviene finalmente sua figlia adottiva.

Ritornata in Svizzera, dove ha la sua residenza, Matilde sente che l’amore è entrato nuovamente nella sua vita, grazie al rapporto con la bambina, e l’amore richiama sempre altro amore. La vita della giovane donna – e anche quella della bambina – conosceranno  una svolta positiva assolutamente inattesa.

INCIPIT

Era estate, il periodo peggiore per affrontare quel viaggio in oriente, ma non le importava.

La peluria bionda sulle gambe si interrompeva dove iniziavano le caviglie, magre e ossute come la sua figura, sorretta da un morbido mocassino dal colore sbiadito e un poco allentato all’esterno, che tradiva l’andatura tipica di chi non ha gambe perfette. Non ne aveva mai fatto un dramma.

“Sei cocciuta come il mulo di mia nonna” le urlava Franci, il suo migliore amico.

Sapeva di esserlo, anche se con Franci non lo ammetteva mai. Ora stava per dare a se stessa la più forte dimostrazione della propria caparbietà, ma Franci non sarebbe più stato presente a ricordarglielo questa volta. I loro destini avevano scelto strade diverse.

Si era presentata al check-in con un buon anticipo, nel timore di non riuscire a salire per tempo su quell’aereo diretto verso Bangkok.

Così Matilde ora, con le spalle incollate a quel finestrino dell’ala destra nella parte anteriore, segue con una frenesia ben celata le manovre di decollo. Ripassa i gesti precedenti per accertarsi di non aver tralasciato nulla, soprattutto visualizza se stessa mentre ripone nella grande borsa blu floscia i documenti, quelli indispensabili perché la sua missione vada a buon fine. Molte ore di volo la attendono, non ha voglia di conversare con chi occupa il posto accanto al suo, infila gli auricolari nelle orecchie dando un segnale ben chiaro di isolamento. Permetterà di venire distratta solo dalla hostess al momento del cosiddetto pasto offerto dalla compagnia.

Il jumbo si alza, lascia Roma, che da grande capitale diviene una macchia di case sempre meno visibili, poi le nuvole e finalmente il sole. Matilde è vicina alla realizzazione del suo sogno, solo poche ore ancora.

“Franci, quando sarai grande vorrai dei bambini?” domanda Matilde, con la sua solita aria indagatrice, seduta con le gambe penzoloni sulla panchina di legno verde dietro casa, dove erano soliti trascorrere le ore pomeridiane.

“Se troverò la donna giusta certamente” gli risponde secco, con fare adulto, guardando in alto, alla ricerca di un volto nella sua fantasia. “E tu?”

“Oh farò qualsiasi cosa pur di averne, anche senza un uomo” risponde Matilde determinata.

“Sì, ma se non incontrassimo la persona giusta con cui farne?” le chiede Franci preoccupato.

“Ci sposeremo noi” e scoppia a ridere, agitando le gambe secche.

“Non essere sciocca, noi siamo amici, e gli amici non si sposano” le ribatte Franci razionale ma gentile.

“Beh, vorrà dire che ci aiuteremo allora, tu mi presenterai tanti ragazzi e io parlerò bene di te alle mie amiche!”

“Ok affare fatto” e le porge la mano come si conviene tra gentiluomini che stringono un patto.

“Franci… io ti voglio bene, noi saremo sempre amici, vero?” Matilde lo guarda, cerca la conferma in quel viso sottile, proprio come una donna vuole oltrepassare le apparenze sperando di ritrovare, materializzati anche sul volto dell’altro, i propri sentimenti.

“Sempre” le ricambia lo sguardo con serietà e Matilde smette improvvisamente di ciondolare le gambe.

“Signora scusi, faccia attenzione… che bevanda desidera?” una dolce ragazza, con un grembiule di plastica azzurro e un vassoio in mano, da dietro a un carrello instabile, la distrae dai suoi pensieri.

“Oh, mi scusi, acqua per favore e qualcosa di salato se possibile.” Matilde si ricompone, sorride impacciata al proprio vicino mentre gli allunga le braccia davanti e, con grande educazione, ritira il proprio spuntino.

Abbassa il tavolino avanti a sé, dà un’occhiata all’azzurro del cielo come nelle cartoline d’estate, e inizia a scartare le minuscole porzioni.

“Proprio come quando giocavo a fare la cuoca” non può fare a meno di ricordare.

“Assaggia!”

“No, sei una pessima cuoca.”

“Assaggia, ti ho detto.”

“Mai, è una schifezza fatta con la terra e i fili d’erba” si ribella Franci.

“Vedi che non sai stare al gioco? Chi ti prenderebbe come marito? Sei noioso e non hai fantasia” gli urla Matilde.

Perché proprio oggi il ricordo dell’amico Franci torna in modo tanto preponderante? Matilde si rende conto che forse avrebbe bisogno di lui, di essere ancora seduta sulla loro panchina, di avere la sua compagnia, la sua razionalità, la sua amicizia. Ma di Franci ha perso le tracce, da quando lui, dopo il primo anno di università, ha deciso di lasciare l’Italia, la famiglia e lei, quell’amica cocciuta.

Un po’ di turbolenza è normale, Matilde non le dà peso, è proiettata oltre, verso il suo nuovo cammino.

Dopo mezz’ora d’instabilità, finalmente l’aereo si assesta, i volti delle persone si distendono, le gambe si allungano e si sente di nuovo il biascichio di alcuni, senza tuttavia comprenderne i discorsi, perché il ronzio di fondo livella ogni conversazione.

Persino la luce del sole è cambiata, meno accecante, più conciliante, insomma.

“Mi scusi, posso?” Matilde si alza e scavalca con le gambe agili la persona sul sedile accanto.

Una breve camminata, per raggiungere il bagno della parte anteriore e sentire di nuovo le gambe in tutta la loro lunghezza. Uno sguardo distratto a chi sonnecchia, a chi legge, a chi si esercita conversando in un inglese stentato. Le hostess si concedono una pausa dopo aver sfilato con quei buffi carrelli carichi di confezioni trasparenti.

Il bagno occhieggia un “vacant” e Matilde vi si infila di traverso, facendo attenzione a non urtare un mini lavello di acciaio pieno di gocce d’acqua mista a sapone. Solleva la gonna di jeans, bada a non appoggiarsi sull’asse malgrado la posizione sia precaria e spinge il grosso pulsante di scarico, che assorda anche chi attende fuori nel corridoio.

Poi si guarda nello specchio quadrato, illuminato da una luce che la fa sembrare ancora più pallida, ma si giudica luminosa, lei conosce il motivo per cui appare così raggiante.

Ritorna stentatamente al suo posto “mi scusi, posso?” e ritrova la posizione lasciata, appoggia di nuovo la borsa blu floscia tra le sue gambe sul pavimento di moquette non prima di aver controllato con un’occhiata che non ne sia uscito nulla.

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