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Luna Pallida

3,99

Formato: Kindle

Autore:Dario Gigli

Note sull’autore

COD: 9788855392532 Categoria: Tag:

Descrizione

In una città dall’illustre passato, l’opinione pubblica è scossa dal titolo di un quotidiano locale: Vampiro a Taranto!

Possibile che una creatura millenaria si aggiri nella notte in cerca di vittime, come l’adolescente Giorgia, scomparsa dopo una notte in discoteca e rinvenuta cadavere qualche giorno dopo in un vicolo, dissanguata e con due fori sul collo?

All’esistenza dei vampiri proprio non crede l’investigatore privato Filiberto Basile, assunto dalla famiglia della ragazza.

Filiberto, pelle nera come l’ebano, è stato adottato da piccolo da una famiglia altoborghese. Ha un passato difficile, segnato dal razzismo e dall’ostilità del nonno, che l’ha reso cinico e disincantato.

Eppure, colpito dalla giovane età e dall’innocenza della vittima, farà di tutto per individuare il colpevole collaborando con il commissario Tonio Florio, amante della famiglia e della buona tavola.

Sullo sfondo, ma sempre presenti negli occhi e nel cuore di Filiberto, il mare, che scruta per trovarvi conforto, bellezza, speranza; e la luna, pallida come il volto dell’esanime Giorgia e offuscata dai fumi di un’acciaieria.

Un romanzo scorrevole e coinvolgente, ricco di suspense ma anche divertente e ironico.

Lucia Paparella

INCIPIT

Le luci psichedeliche danzavano su una folta distesa di mantelli neri che ondeggiavano, sospinti dal ritmo di una musica tecno. In quel tumultuoso assembramento di corpi, una mano callosa ne sfiorò un’altra piccola e candida, passandole una bustina in plastica trasparente, contenente della polvere bianca, che finì immediatamente nelle tasche di un paio di jeans attillati.

Quel contatto si ripeté poco dopo, ma questa volta invertendo il flusso di passaggio e vide trasmigrare una banconota da cinquanta euro.

Avvenuto il doppio scambio, le due figure si allontanarono, una diretta verso l’uscita e l’altra verso il bagno delle donne.

Giuseppe era soddisfatto, con quell’ultima vendita aveva fatto serata e poteva tornarsene a casa. In realtà ci sarebbe rimasto poco, perché doveva montare sul peschereccio di suo zio per prendere parte a una battuta di pesca.

La vita del pescatore era una bella merda. Si lavorava quasi sempre di notte, agli orari più disparati e sconvenienti, affrontando le intemperie, la pioggia, il vento, il freddo e il caldo, le mareggiate e la calma piatta. Ma sin da bambino non aveva avuto molta scelta: cresciuto col mare alle spalle, e con rari libri sotto al mento, aveva potuto unicamente seguire le orme di suo padre e di suo zio, che avevano svezzato tutti i mocciosi della famiglia direttamente sui pescherecci, tra la puzza di pesce e nafta.

E se, fino a qualche anno prima, quell’esistenza di fatica fisica e sacrifici veniva ricompensata da lauti guadagni, negli ultimi tempi, tra tasse, crisi economica e costi di manutenzione elevati, i profitti si erano assottigliati come una lastra di ghiaccio polare, esposta al primo sole estivo.

Per sua fortuna un amico d’infanzia l’aveva tirato dentro quel traffico di cocaina e gli bastava fare un paio di volte alla settimana il giro di alcune discoteche cittadine per racimolare un bel gruzzoletto. Certo, anche il mondo degli stupefacenti stava vivendo un periodo di ridimensionamento economico. Se prima la cocaina veniva considerata la droga dei ricchi ed era il carburante di lussuriosi festini o l’intermezzo tra una flûte di champagne e l’altra nei tavolini riservati delle discoteche, ora la si poteva acquistare a 50 euro al grammo e tagliata con metanfetamine mescolate con shampoo per capelli, olio per motori, liquido delle batterie, anche a molto meno.

Se non fosse stata un’attività illegale, Giuseppe avrebbe addossato la colpa di questi ribassi al Governo ma, vista l’impossibilità della cosa, riservava il suo malcontento politico, condito da bestemmie varie, solo quando parlava del suo lavoro ufficiale.

D’altronde l’abbassamento dei prezzi aveva avvicinato nuovi consumatori all’uso della magica polverina bianca. Lui si era specializzato nel rifornire i danarosi figli di papà che di giorno affollavano i banchi dei licei e di notte le discoteche. Soprattutto questi “sfigati” con i mantelli neri, come lui amava definirli, che si riunivano, una volta a settimana, sempre nello stesso locale, erano per lui una fonte costante di guadagno.

E con le tasche piene di soldi spillati a quei giovani viziati, stava fendendo la folla danzante per raggiungere l’uscita della discoteca. Si era appena lasciato alle spalle la gente ammassata, simile a un muro edificato con carne e ossa, e con passo spedito aveva disceso i tre ampi gradini che conducevano al disimpegno su cui si apriva il portone che si affacciava sullo stradone del lungomare, che ricevette una spinta che lo fece capitombolare contro il muro.

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