Descrizione
Onorino è un uomo dei monti, felice di appartenere a quel mondo fatto di silenzi e panoramiche visioni, dove il tempo scorre lento e le stagioni si susseguono nell’ordine stabilito senza variazioni di programma. È pago di quel suo essere montanaro e malgaro, nonostante la spiacevole interferenza della guerra che lo coinvolge distraendolo e facendogli pensare, suo malgrado, ad un eventuale abbandono della montagna per via di quella serenità violata. Tuttavia sarà poi soltanto nella seconda parte della sua esistenza che le sopraggiunte nuove esigenze familiari origineranno quel cambio di rotta che lo porterà a vivere nella grande città e a misurarsi in un caleidoscopico rincorrersi di situazioni, che affronterà accompagnato dalla grande curiosità per ciò che non conosce e dalla sua capacità di meravigliarsi con quel sincero candore che da sempre lo contraddistingue.
INCIPIT
Odore di neve.
Era quello che Onorino aveva sentito aprendo la finestra, come sempre faceva appena sceso dal letto.
D’altronde il tempo era ormai maturo per la calata dei candidi cristalli, e poi era la sua gamba corta che gli confermava quell’imminenza per via del dolore alla caviglia che si ripresentava puntuale a ogni insorgere di cattivo tempo. A pensarci bene, avrebbe potuto far fruttare questa sua caratteristica “meteoveggenza”. Chissà che prevedere in anticipo l’arrivo delle infauste perturbazioni non potesse valere qualche soldino. E con questo pensiero, accompagnato da un brivido di freddo, richiuse la finestra e tornò a letto, cosa peraltro insolita per Onorino, ma gli occorreva dare sollievo alla gamba dolorante, e poi non aveva più tanto da fare. Il giorno precedente, Berto e i suoi compagni erano venuti a riprendere le vacche e le pecore che gli erano state affidate per l’alpeggio estivo, adesso nella stalla erano rimasti solamente gli animali di famiglia, e l’accudirli gli avrebbe portato via poco tempo.
Il ritrovato tepore che il giaciglio aveva conservato tra le ruvide lenzuola di tela era una vera piacevolezza, addirittura sublime, se solo non gli fosse venuto in mente don Fulgenzio. Sì, perché se quel curatore d’anime avesse saputo di questo suo indugiare tra le coltri, avrebbe tuonato che era cosa da fannulloni e da nullafacenti, ed era peccato che comportava una penitenza, ben che andasse, di almeno venti Ave Maria e altrettanti Pater Noster.
Comunque era ormai quasi giorno, e al di là del senso di colpa per quella botta di pigrizia, restava il fatto che fannulloni si nasce, e lui non c’era nato; così, abbandonato l’inducente al peccato, si vestì in fretta e scese dabbasso, dove già sua madre ciabattava e litigava con il potagé che, sfacciatamente indifferente alle minacce, non voleva saperne di accendersi.
Onorino ritenne opportuno non lasciarsi coinvolgere nel casalingo conflitto e sgattaiolò fuori dalla cucina allontanandosi dal campo di battaglia. Avrebbe bevuto il latte munto al calor di vacca, completando poi la colazione con due uova fresche e appena “sfornate” da razziare nel pollaio, proposito che avrebbe realizzato subito dopo il consueto e quotidiano governo delle bestie.
Ma quella doveva proprio essere una balzana giornata, uno di quei giorni in cui gli accadimenti avvengono in totale anarchia, senza alcun rispetto per le normali abitudini. Prima l’anomalo poltrire, poi la mancata abituale colazione in cucina, e adesso il non più necessario lavoro nella stalla, perché a questo aveva già provveduto papà Giustino.
Ora, non avendo altri impegni per la mattinata, Onorino decise di risalire in camera e preparare l’abito buono, perché nel pomeriggio sarebbe dovuto scendere in paese. Nell’attraversare il cortile incontrò l’Olmo, suo “fratello”, e come sempre faceva lo salutò, senza peraltro ricevere alcun controsaluto, e non perché l’Olmo fosse maleducato, o peggio, affetto da sordità, semplicemente perché l’Olmo era tale di nome e di fatto. Un’antica tradizione di famiglia prevedeva che alla nascita di ogni figlio maschio, e nella stessa data, venisse piantato un albero che sarebbe stato curato e accudito proprio dal neonato, naturalmente quando l’età glielo avrebbe consentito. E trentadue erano gli anni trascorsi dalla nascita di Onorino e quelli dalla messa a dimora nel cortile del suo “fratello” di legno, che ormai aveva raggiunto una ragguardevole altezza e sfoggiava una folta chioma di verdi foglie decidue, che in primavera si accompagnavano a piccoli grappoli di fiori rossi e frutti, che giunti a maturazione liberavano altrettanti piccoli semi alati che il vento provvedeva a disperdere contribuendo alla continuazione della specie, proprio come natura comanda.
Regola quest’ultima che, a dispetto del suo nome, Onorino non aveva ancora onorato, e non perché non avesse un buon seme, semplicemente perché a differenza del “fratello” a lui serviva l’unione con una compagna per procreare, e questo era un problema. Lì, alla grangia, le femmine erano già accasate, e giù in paese le ragazze da marito erano quasi tutte scese in città per lavorare a servizio; le poche rimaste si contavano sulle dita di una mano. Tra l’altro, quelle altezzose restanti erano anche brutte, ma per via dello squilibrio tra domanda e offerta potevano permettersi di fare le preziose.
Che poi, a Onorino, quel suo celibato non dispiaceva affatto. Lui aveva i suoi animali, i suoi boschi e quelle montagne imponenti che lo sfidavano a raggiungerne le vette. E i suoi libri, pochi per la verità, ma letti e riletti decine di volte e che lo facevano sognare, anche se di alcune parole non conosceva il significato e l’interpretarle gli riusciva difficile. Non era però un uomo ottuso, pur avendo frequentato solamente la seconda elementare, anzi, era continuamente alla ricerca di risposte ai suoi perché e aveva una non comune capacità di analisi; si rendeva quindi conto che le insistenze dei suoi genitori affinché si “sistemasse” avevano una indiscutibile logica. E a questo riguardo ci si era messo anche don Fulgenzio, che aveva deciso di trovargli una moglie a tutti costi, perché, sosteneva, era dovere del buon cristiano metter su famiglia e prolificare. Questo giustificava il suo intervento in qualità di sensale, impegno che il religioso svolgeva con la massima serietà, considerandolo una missione pastorale.
Ed era veramente un buon pastore quel sacerdote, sempre dalla parte dei più deboli e dei più bisognosi, senza alcuna distinzione tra credenti e non. Personaggio pittoresco, caratterizzato da un fisico imponente e un cuore grande, sempre disponibile e nemico giurato di ogni forma di ingiustizia e prevaricazione, irriducibile sostenitore e portavoce dei valori di contrasto a questi ultimi che lo rendeva alquanto inviso dai detentori del potere, ma molto amato dai suoi parrocchiani.