Loderingo de’ Malavolti

16,00

Formato: Libro cartaceo pag. 222

Autore:Walter Castagno

Note sull’autore

 

COD: ISBN: 978-88-5539-334-8 Categoria: Tag:

Descrizione

Anno 139 dopo l’Apocalisse. Un uomo integerrimo, originario della Toscana, affronta, armato della sua incrollabile Fede e del defensor, creature non umane ed estremisti senza pietà, muovendosi nei territori del Piemonte.
Il mondo è indirettamente nelle mani del Vaticano. L’attuale Papa, Paolo VII, è certamente abile nel manipolare le situazioni a suo favore. L’ordine dei Cavalieri Protettori gli è fedele, e conduce un’aspra battaglia per salvare il popolo da un’orribile condanna.
Ed in tempi tanto difficili, talvolta, si diffondono idee pericolose, estreme, che conducono alcuni uomini a sentirsi in dovere di giudicare gli altri, ed in taluni casi a condannarli.
Nobili intenti, mezzi a motore dal sapore un po’ rétro, misteri senza soluzione fanno da sfondo alle gesta di Loderingo de’ Malavolti e dei suoi fidati compagni in una missione sul filo del… defensor!

INCIPIT

Cronache di Loderingo: ultime volontà

Nell’anno 139 d.A. (dopo Apocalisse, n.d.a.) mi accingo a trascrivere le memorie della mia umile esistenza su questo pianeta, al servizio della Santa Madre Chiesa. Nuovamente si presenta ai miei stanchi occhi una primavera: il nascere dei fiori sui rami, il cinguettare dei piccoli volatili, sono la poesia della vita, che, nonostante tutto, continua a scriversi nel libro dell’Universo. Per ognuna di queste meravigliose stagioni si son poggiate sul mio viso sette rughe, ormai ne è ricoperto. Comprendo che fra non molti tramonti andrò incontro al Padre, che ho servito fedelmente nel mio cammino. Non temo questo momento, come non ho mai temuto il male che ho incrociato viando per i sentieri dell’esistere. L’ho sempre combattuto, con il defensor sguainato e la forza di Dio nelle mie membra. E così mi accingerò alla fine: fiero e ardito come ho vissuto.

Il mio nome è Loderingo de’ Malavolti, e sono un Cavaliere Protettore. La mia famiglia è originaria di Siena, ma nel seguire il destino per me voluto dall’Eterno Padre, sto trovando l’ultima dimora in un paese chiamato Lanzo, sulle montagne a nord di Torino, in una valle, chiamata appunto Val di Lanzo. Sono nato nel 60 d.A., e per questi tempi duri e oscuri ho raggiunto un’età che non tutti riescono a raggiungere, soprattutto se uomini d’arme come io son stato.

All’età di 12 anni fui allontanato dalla mia famiglia e introdotto all’Eremo di Calomini, presso Lucca, condotto da frati francescani. Mio padre così volle, essendo io il suo terzogenito. La mia famiglia possedeva una tenuta vitivinicola sulle colline senesi: coltivavamo le vigne, e producevamo il vino. I filari scendevano ordinati dai declivi, come uno stormo d’uccelli che s’accinge a migrare e mantiene la geometria del volo costante nel cielo. Le uve, tutte nere, producevano vini dal sapore asciutto e caldo, che lasciavano sul palato sentori di geranio e ciliegia, e scaldavano il corpo e l’anima, anche con il loro colore rosso intenso, scuro quasi come il granato. Erano vitigni Sangiovese, dai quali si produceva il Brunello di Montalcino.

Il primogenito, Alberigo, avrebbe ereditato i poderi, e avrebbe portato avanti l’attività familiare. Egli è sempre stato un buon lavoratore, un ragazzo con la testa sul collo, come si usa dire: mio padre l’ha educato severamente, concedendogli pochi svaghi. La secondogenita, Nicoletta, sarebbe andata in moglie a un commerciante di vini. Nico, come l’ho sempre chiamata, era una ragazza esile, lieve come una piuma di pettirosso, dai capelli biondo scuro, che ricordavano la paglia. Non è mai stata molto loquace, anzi, la definirei introversa: ha sempre preferito scrivere, piuttosto che parlare, riempiendo le pagine dei suoi diari, e pure interi libri, sia di sue prose che poesie. Io non avevo più molto da ricevere, se non una piccola rendita in danaro (che poi mi sarebbe servita per attrezzarmi come Cavaliere): per questo mio padre, il Signore lo custodisca, decise di mandarmi dai francescani, per studiare, imparare un mestiere, ed eventualmente avviare la carriera ecclesiastica.

Le possibilità in effetti erano molte. I corsi di studio proposti spaziavano dalla letteratura alla medicina, dalle lingue straniere all’ingegneria. Dipendeva solo dalle propensioni e dal desiderio individuale di accrescere la propria conoscenza. La vita in più occasioni mi ha dimostrato che la volontà fa arrivare più lontano dell’intelletto: infatti, chi è intelligente non è detto che abbia voglia di applicarsi a dovere. Se un giovane non avesse avuto desiderio di studiare, i frati avrebbero potuto anche insegnargli un mestiere: falegname, fabbro, contadino, e altri. Infine, in ogni momento si poteva scegliere di perseguire gli studi teologici, e quindi prendere i voti. L’Eremo di Calomini era una struttura ampia che ospitava davvero molte attività. Durante i primi anni dell’Apocalisse fu ingrandito, con lo scopo di alloggiare molti sfollati, essendo una struttura protetta dal fianco della montagna, e quindi maggiormente difendibile. Furono costruite mura di cinta, e l’eremo venne lievemente fortificato. Arrivando dal bosco l’immagine che si presentava al viandante lo faceva apparire quasi come un piccolo villaggio: il campanile che sorge da dietro la struttura principale, è come se si nasconda alle spalle d’un casolare, e al suo fianco si levano edifici che paiono abitazioni che montano su un pendio, e per questo si vedono bene, seppure più in distanza. Alle terga di questo gruppo abitativo s’innalza il fianco del monte: roccioso, dai toni grigi e marroni, che arcigno veglia su coloro che s’appropinquano. Gli altri tre lati son cinti da un basso muro in pietra a secco, alto fino alla vita, che protegge un ampio cortile antistante alle strutture, pittate d’un immacolato bianco, senza peccato.

Nonostante tutte le possibili scelte che l’Eremo offriva, io, all’età di 16 anni, presi una decisione che mi condusse ancora più a nord. Durante le lezioni di Fortificazione del Corpo avevo dimostrato buone capacità atletiche. Inoltre, ammiravo i personaggi letterari e storici che avevano combattuto per difendere persone, terre, o ideali. Questi due elementi, uniti ai saggi consigli di Frate Gregorio (il mio insegnante di Filosofia), mi fecero comprendere che forse la mia strada era sì quella di restare nel grembo della Santa Madre Chiesa, ma come difensore contro gli orrori del tempo dell’Apocalisse. Dunque partii alla volta del Monferrato, in Piemonte, per raggiungere l’Abbazia Fortificata di Santa Fede, a Cavagnolo.

Questa struttura era in origine un’abbazia nata nei primi decenni del 700 d.C., che ebbe molteplici vicissitudini e passaggi di proprietà. A seguito degli sconvolgimenti dell’ultimo secolo e mezzo, il Papa decise di adibirla a Roccaforte della Fede: un luogo dove addestrare i Cavalieri Protettori. In tutta la penisola italica vi sono 22 luoghi come questo, e si tratta sempre di antichi edifici di culto trasformati in strutture fortificate. Santa Fede occupa una superficie di oltre 2000 mq, e può alloggiare quasi 100 persone, tra docenti, allievi, e personale di servizio. Lì fui addestrato per quattro anni. Imparai l’uso del defensor, divenni un abile cavallerizzo, mi furono insegnate tecniche di lotta corpo a corpo, l’uso delle principali armi da fuoco, e inoltre proseguii nei miei studi: lingue straniere, geografia, storia, teologia, scienze dei materiali e matematica erano le materie oggetto di conoscenza. La mia prima Crociata mi fu affidata all’età di 21 anni, mentre ero al servizio di Giovanni Ludovico Agliano, Cavaliere Protettore di maggiore esperienza rispetto al sottoscritto.

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