Descrizione
Ambientato in quel tratto di Sicilia da cui si ha l’impressione di poter “prendere la Calabria con le mani”,L’amore allo specchio è un romanzo vivace e ironico che si potrebbe definire di genere “giallo”, ma sarebbe estremamente riduttivo: la vera indagine che si conduce è quella della ricerca della verità e delle risposte alle domande che da sempre agitano il cuore dell’uomo. Alla caccia di una presunta, preziosissima reliquia, nientemeno che una Lettera della Madonna e alcuni suoi Capelli, il geometra Bonanno, detto il Cavaliere, e il becchino Caruso, soprannominato la Morte, ricostruiscono, con lo stimolo dell’anziano professor Pirri, l’iter delle reliquie, e rischiano a più riprese la vita a causa di un inquietante personaggio , il Frate. Dopo il ritrovamento dei misteriosi reperti, tra interrogativi sulla loro autenticità ed esplosioni di devozione popolare, avverranno anche dei miracoli, forse non tutti genuini… fino ad una conclusione inaspettata.
INCIPIT
15 agosto 2003
Il vecchio lasciò la stanza prima dell’alba. Chiuse la porta attento a non far rumore. Trascinava lungo il corridoio un pesante sacco di tela. Scese prudente le scale appena segnate dalla lampada notturna, attraversò l’ingresso, finalmente schiuse il portone.
Uno schiaffo d’acqua maligna lo sorprese sulla soglia.
“Notte fottuta! La mia solita fortuna!”
Precipitava una pioggia battente. Il cappuccio tirato sulla testa, si avviò con cautela sulle mattonelle scivolose verso il retro della villa.
“Pirri, questa è l’ultima che mi fa: stanotte saldiamo il conto!” sibilò scaricando il sacco su un rudimentale carrello nascosto dietro il capanno degli attrezzi.
Il diluvio, più della notte, faceva buia la campagna. Spingeva con fatica crescente lungo un sentiero fangoso tra gli ulivi. La pioggia cadeva obliqua e per quanto cercasse di ripararsi tenendo bassa la testa, la camicia sotto l’impermeabile di plastica era già fradicia.
“Se prendo una polmonite e ci resto secco, avrà anche questo sulla coscienza! Ma tanto lei era sicuro di finire all’inferno… anzi ci sarà già! A questo punto cosa le possono fare?”
Il viottolo sbucava improvviso sulla strada costiera. Attraversò le quattro corsie di slancio, quasi senza guardare per non perdere l’abbrivio. Dall’altra parte la spiaggia era infestata da una bassa vegetazione selvatica; la sabbia bagnata e compatta l’avrebbe facilitato ma adesso era l’intrico dei rovi a ostacolarlo.
“Potrebbe pure prendermi un infarto! Ma c’è un’altra cosa, professore, che mi fa incazzare: ho cominciato anch’io a parlare da solo!”
Scavava cauto distribuendo lo sforzo per non bruciare troppe energie nell’impeto iniziale. Ogni cinque minuti prendeva una breve pausa e in meno di un’ora aveva terminato.
“Finalmente qualcosa gira per il verso giusto.”
Sbirciò di nuovo l’orologio. Era ancora buio ma il sole doveva essere già sorto: un rapido spostamento delle nubi avrebbe spalancato in pochi istanti il giorno. Fece scivolare il sacco nella buca.
“Addio.”
Cominciò a riempirla. Adesso con affanno.
Non c’era più tempo per riposare: un lucore crescente filtrava dalla cortina di pioggia. Il cuore accelerato, colmò la fossa con un’ultima serie di palate scomposte. Il temporale s’indeboliva. In un definitivo tocco di perfezione – la schiena a pezzi, le mani sanguinanti – spazzò la sabbia indurita con dei rovi.
“Il dottore mi ha raccomandato di riguardarmi e non fare sforzi. Le metto anche questo in conto! Spero solo che il diavolo lo venga a sapere e sappia cosa farle!”
S’era fatto giorno. Tre barche a strisce dai colori vistosi, tirate in secca per il maltempo, presidiavano la spiaggia; qua e là i resti dei falò di San Lorenzo punteggiavano la sabbia come macchie d’inchiostro pasticcione su un foglio spiegazzato; più avanti, nero d’inverni, inclinato a tribordo, agonizzava il relitto di un mercantile; bianca sullo sfondo, la massa cubista del paese più vicino.
Indugiava con lo sguardo sulle onde, come in attesa di qualcosa dal mare. Dalla memoria tre sillabe scesero alle labbra.
“Morgana… Morgana…”
Un’eco distinta tornò da lontano. Strana, ritardata, plurima.
Non aveva più importanza.
Migliorava. Dall’altra parte dello Stretto la sagoma del continente emergeva massiccia dalla pioggia sottile; qualche barca si staccava dalla costa; alle sue spalle si facevano più frequenti le auto in transito. Rimanere con quell’attrezzatura sospetta era inutile e pericoloso: riprese la via di casa.
Adesso che non serviva, aveva smesso di piovere.
Un uomo più giovane aspettava sulla strada. Magro, stempiato, barba di tre giorni, l’abito scuro del mestiere, giocava con una moneta d’argento appoggiato al cofano brillante del suo carro funebre.
“Almeno poteva darmi una mano!” ringhiò il vecchio.
“È il mio giorno libero. Certe cose le faccio solo in servizio.”
“Come sapeva che ero qui?”
“Mi hanno telefonato dalla villa. Passando ho visto qualcuno sulle dune e ho immaginato. Le avevo detto di non farlo, e anche per questo sapevo che lo avrebbe fatto.”
“Mi è sembrato il giorno giusto.”
“Lui diceva sempre che le date sono importanti.”
Il giovane aprì il portellone caricando il carrello nell’alloggiamento delle bare. Salirono sull’auto.
“Io avrei scelto un altro posto. Magari il giardino della villa. Qui c’è il pericolo che qualcuno, scavando per caso…”
“Non si preoccupi: tutto quello che potevo l’ho fatto a pezzi. Tranne i capelli. Li avrei dovuti bruciare, ma non me la sono sentita. In poco tempo tutto sarà marcio e irriconoscibile. Alla fine ogni cosa tornerà alla terra.”
“Anche la foto?”
“No. La foto l’ho conservata.”
“Lui come ci chiamava?”
“Il cavaliere e la morte.”
Per il resto del breve tragitto rimasero in silenzio.
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