Descrizione
1947-1949. Arrivano in Italia Gilda e altri film che fanno conoscere i divi e le dive di Hollywood. Luisa ha sedici anni, è l’unica superstite degli abitanti del suo paese massacrati dalle SS tedesche in ritirata. Adesso vive a Roma con gli zii Antonia e Peppe e la loro figlia Cecilia, sua coetanea. Ferdinando consegue il diploma di maturità e si prepara a subentrare al nonno Massimiliano nella guida del Consorzio, un gruppo finanziario e affaristico. Gioele è un operaio comunista, durante l’occupazione ha fatto la lotta clandestina, non accetta la nuova linea legalitaria e democratica del suo partito e organizza un gruppo che esegue atti di “giustizia proletaria”. Guglielmo è un agente del ricostituito servizio segreto. Riceve l’incarico di organizzare una rete armata clandestina allo scopo di prevenire un’invasione sovietica esterna o un’insurrezione comunista interna (o entrambe) in modo da rendere l’Italia affidabile per i nuovi alleati. La nuova rete si chiama “Gladio”. La giovanissima protagonista Luisa compare anche in età adulta nel romanzo I nostri figli non conosceranno la miseria, ambientato a Torino nel 1961 dello stesso autore.
1947 – LA RAGAZZA SULL’ALBERO
I cani dalmata Gorgo e Argo abbaiarono. Ferdinando sollevò lo sguardo dal libro e guardò verso il boschetto, ma non notò nulla d’insolito. Da pochi giorni il sole primaverile gli permetteva di uscire dalla villa e studiare seduto sulla panca con il libro posato sul tavolino. La panca e il tavolino erano di pietra, e il libro era il testo di contabilità e statistica con cui si stava preparando a sostenere l’esame per il conseguimento della maturità scientifica dell’anno scolastico 1946-1947. Ferdinando era molto bravo con i numeri, se si stava attenti i conti tornavano sempre, e non aveva faticato con le equazioni e i diagrammi. Dopo sarebbe andato all’università e avrebbe cominciato a lavorare insieme al nonno.
Ferdinando Sansoni aveva diciassette anni, la carnagione chiara con qualche lentiggine, gli occhi celesti e i capelli biondi ben ordinati con la riga in mezzo. Erano ben ordinati anche la camicia bianca, il pullover senza maniche, i pantaloni grigi con le pinces e i mocassini in pelle. L’ordine era la cosa che gli avevano insegnato fin da piccolo e che regnava nella sua vita fin dove arrivavano i suoi ricordi. Suo padre Giorgio amava le auto sportive, forse troppo, e un giorno maledetto l’Hispano-Suiza che stava provando a una curva troppo stretta aveva preso il volo e poi era stata avvolta dalle fiamme. Lui l’aveva saputo il giorno dopo dalla mamma in lacrime, che era morta l’anno successivo. Di lei ricordava che amava suonare il pianoforte e che era sempre preoccupata per la sua salute. Ferdinando e Massimiliano, il nonno paterno, non erano abituati a parlare e, dopo qualche tentativo, avevano rinunciato. Massimiliano Sansoni era un uomo d’affari, aveva girato il mondo e conosceva le lingue, aveva conosciuto esponenti del Cln e ufficiali americani e inglesi. Dopo la guerra passata in casa di amici in campagna, Ferdinando era tornato nella villa al centro di Roma. Seguendo i consigli di nonno Massimiliano, non avrebbe potuto sbagliare.
Nella villa c’erano sale e corridoi con i soffitti altissimi, e molti tappeti e quadri con austeri personaggi dagli sguardi severi che, dopo tanto tempo, non gli facevano più molta impressione. Torquato gli aveva detto che la villa risaliva ai tempi del Papa Re, ma il vecchio giardiniere tuttofare amava chiacchierare e non bisognava prenderlo troppo sul serio. Certo la villa i suoi anni li aveva e il suo effetto lo faceva.
Quando era stanco di studiare, il ragazzo biondo e pallido riponeva i libri e s’inoltrava nel boschetto fin dove la villa non si vedeva più, e pensava di essere in una foresta piena di pericoli e misteri. Ma poi l’incantesimo si era spezzato. Nel boschetto non c’erano né belve né cannibali né ruderi di città antichissime, e non era nemmeno tanto grande. Sembrava che le dimensioni del boschetto si riducessero di giorno in giorno, e alla fine era rimasto un sentiero ben tenuto che, con due curve, girava intorno alle aiuole e alle siepi. C’era persino una panchina per l’esploratore stanco. Poi c’era un laghetto circolare con le sponde di pietra, con le foglie che galleggiavano sull’acqua immobile. D’inverno il laghetto si riduceva a una vasca asciutta e triste. Il giorno peggiore era stato quando Ferdinando aveva trovato l’inferriata dove il boschetto finiva e oltre cui non era possibile andare. Al di là c’era la strada asfaltata e, se si tendeva l’orecchio, era possibile sentire in lontananza lo sferragliare di un tram.
Ferdinando tentò di riprendere la contabilità e la statistica, ma ormai la concentrazione se n’era andata, e allora si alzò e si guardò intorno. I cani non abbaiavano più. Non aveva voglia di rientrare nelle sale dai soffitti altissimi, dove probabilmente Irene, la moglie di Torquato, era ancora intenta a pulire e lucidare, con l’aiuto di sua nipote Anna. Ferdinando s’incamminò sul sentiero di ghiaia in direzione del boschetto, e poco dopo la villa cessò di esistere.
Non avrebbe saputo dire cosa avesse attirato la sua attenzione. Forse un rumore diverso dal fruscio delle foglie o uno squarcio di colore diverso dal verde che lo circondava e sommergeva. Ferdinando fece qualche passo, girò intorno a una siepe, scavalcò una radice sporgente, alzò gli occhi e la vide. La donna selvaggia, cresciuta nella giungla insieme agli animali, era lassù aggrappata a un ramo nodoso, vestita solo con una pelle di animale e con i lunghi capelli che non erano mai stati tagliati. Improvvisamente il boschetto tornava a essere la foresta misteriosa e pericolosa dei suoi anni da bambino, da un momento all’altro dai cespugli sarebbe sbucato un leone o dal laghetto sarebbe emerso un coccodrillo.
Ferdinando non riusciva a smettere di guardare la donna selvaggia, e anche lei guardava lui. Poi lei si mosse e cominciò a scendere. I movimenti erano agili e sciolti. Una mano afferrava un ramo mentre il piede scivolava sulle asperità del tronco. Il ragazzo biondo e pallido fece un passo indietro e si guardò intorno, domandandosi come si sarebbe difeso se lei lo avesse assalito, ma non vide nulla che gli potesse servire alla bisogna. Avrebbe potuto semplicemente voltarsi e fuggire, ma la curiosità fu più forte. Forse la donna selvaggia aveva bisogno di cibo, e mangiando gli avrebbe raccontato la sua storia. Ma se non avesse saputo parlare la lingua italiana?
Poi la donna selvaggia posò i piedi per terra, e Ferdinando vide che era quasi una bambina e non era poi tanto selvaggia. Non era vestita della pelle di un animale ma con un giubbotto nero, una gonna pieghettata e un paio di scarponcini. Forse non era nemmeno nata e cresciuta nella foresta tra gli animali. Le mani erano imbrattate di terra, e un graffio le attraversava una guancia.
«Ciao.»
Meno male, parlava italiano. Ferdinando ritenne buona educazione rispondere sullo stesso tono.
«Ciao. Io mi chiamo Ferdinando. E tu?»
«Luisa. Cosa fai qui?»
«Cosa faccio qui?» Ecco una domanda che Ferdinando non si era aspettato. «Io abito qui. Questa è la mia casa.»
«La villa? Sì, sì, l’ho vista. Una volta ci sono passata davanti. Bella.»
«Come hai fatto a entrare?»
Luisa si guardò indietro, come indecisa se rivelare il suo segreto, poi si decise.
«Sono passata tra le sbarre. Una sbarra è piegata e c’è un varco. Ho fatto fatica, ma ci sono riuscita. Ho anche scavato un po’.»
Ecco spiegate le mani sporche di terra. Forse Luisa capì il suo pensiero e si portò le mani dietro la schiena. Ora i due ragazzi erano molto vicini, e Ferdinando percepiva l’odore di selvatico che emanava da quel corpo immaturo e sgraziato. Luisa aveva i lunghi capelli castani riuniti in una coda di cavallo. I lineamenti erano un po’ spigolosi e le labbra sottili e strette. Lo sconcertava il suo modo di fissarlo mentre parlava, come se volesse leggergli nel pensiero e capire tutto di lui. Era una sensazione nuova e sconosciuta.
«Perché?»
«Perché perché… perché si fanno le cose? Si fanno e basta.»
«Volevi rubare?»
«Io rubare? Cosa dici? Sei matto? Io sono ricca, ho tante cose, non ho bisogno di niente. Non voglio niente da te.»
«Guarda che ci sono due cani. Potevano farti male.»
«Allora ti preoccupi per me?»
Ferdinando arrossì. Davvero Luisa gli leggeva dentro, gli occhi verdi e penetranti non lo abbandonavano un istante. Ora le labbra strette erano atteggiate in un sorriso che gli sembrava di scherno.
«Tranquillo, Ferdinando. Ho visto i tuoi cani. Sono due cuccioloni molto simpatici, e loro hanno trovato simpatica me. Abbiamo fatto subito amicizia.»
Luisa fece un passo avanti e Ferdinando ne fece uno indietro. Nessun rumore giungeva dal resto del mondo. Non un filo di vento muoveva l’aria.
«Vivi qui con la tua famiglia?»
«La mia famiglia? Sì, sì, vivo con il nonno… e tu?»
«I miei genitori sono morti. Adesso vivo con i miei zii. In una casa più piccola della tua. La tua villa… me la fai visitare?»
«Oh no!» Ferdinando rispose di getto. «Non si può.»
«Come, non si può? Non è casa tua?»
«Sì, ma il nonno non vuole.»
«Non vuole che nessuno venga a trovarti?»
Ferdinando non avrebbe saputo cosa rispondere, ma Luisa non insisté.
«Ora devo andare.»
«E allora vai, cosa aspetti.»
«Ma tu cosa fai?»
«Stai ancora a preoccuparti per me? Ti ho detto che non ce n’è bisogno.»
Ferdinando fece qualche passo, poi si fermò e si voltò. Luisa non si era mossa, e teneva ancora le mani dietro la schiena. Ora era molto seria e immersa in profonde riflessioni. Levò una mano da dietro la schiena e gli fece un cenno stizzoso.
«Vai, vai, che non ti rubo niente, stai tranquillo.»
Il ragazzo pallido e biondo arrivò ai confini del boschetto. Ora vedeva di nuovo la villa. I mocassini si erano sporcati di terra. Si voltò un’ultima volta, e Luisa non c’era più. Non l’avrebbe rivista mai più e non avrebbe mai saputo nulla di lei. Recuperò dal tavolo di pietra il libro di statistica e contabilità e s’incamminò verso la villa. Aveva raggiunto la scalinata quando si sentì chiamare. Si voltò e vide il guardiano venire verso di lui. I guardiani erano cinque, indossavano tutti un completo grigio con una camicia bianca e una cravatta, e una volta Ferdinando si era accorto che, sotto la giacca, uno di loro portava una pistola. Il nonno gli aveva spiegato che era per la sua protezione.
«Scusi, signor Ferdinando…»
«Buongiorno, Arturo. Qualche problema?»
«Ha forse visto qualcuno nel parco?»
«Qualcuno?»
«Un estraneo, intendo. I cani hanno abbaiato, io e Roberto abbiamo fatto un giro ma non abbiamo trovato… forse lei ha visto…»
«No, no. Non ho visto nessuno.»
Il guardiano ringraziò e salutò. Il ragazzo rientrò nella villa.