Descrizione
Siamo a metà degli anni Novanta. In una Cagliari invernale e cupa, flagellata dalla pioggia, un professore universitario viene ritrovato sezionato in settantasei pezzi, nel suo appartamento, ma questo è solo il primo di una serie di misteriosi, efferati delitti.
Perché tutto ciò? Chi mai può essere capace di tanta violenza? E, soprattutto, con quali motivazioni? I protagonisti della storia sono studenti universitari come tanti, come il protagonista, Lorenzo, i suoi compagni di appartamento, la sua ragazza July, che convive con l’amica Betta, e Stella, grande amica e compagna di Lorenzo alla Facoltà di Scienze Naturali. Ragazzi assolutamente normali, che preparano esami, amoreggiano, condividono le spese di appartamenti in costante disordine, vanno al pub, in birreria, magari scolano qualche cocktail di troppo, ma le trasgressioni sembrano finire lì, e ordinaria e banale è pure la Facoltà che frequentano, affollata di animali impagliati e scaffali con barattoli pieni di liquido in cui si conservano repellenti cadaverini traslucidi e mollicci, sale buie e un po’ tetre, un grande Acquario debolmente illuminato in cui nuotano pigramente cernie e murene. Ovviamente non mancano, come da copione, i professori stronzi che godono nel mettere in difficoltà gli studenti con domande a trabocchetto. Ma anche in una così tranquilla quotidianità, follia e bisogno di vendetta sono pulsioni sempre in agguato nel più profondo della mente umana e pronte a esplodere, basta il giusto innesco…
INCIPIT
Mi chiamo Lorenzo Carta. Due giorni fa, al risveglio, non avrei mai potuto immaginare che, solo un paio di ore più tardi, la mia vita sarebbe degenerata. Naturalmente, come quasi sempre succede nell’esistenza umana, le cose avevano già preso una brutta piega da molte settimane. Quello era soltanto il giorno in cui gli Scheletri del Passato, invece di limitarsi a bussare all’uscio, come Il Corvo di Edgar Allan Poe, uscirono dalle tenebre degli armadi per prendersi la loro vendetta.
All’improvviso tutto crollò.
Ecco come sono andate le cose.
Aprii un occhio cisposo. A fatica scrutai nella penombra screziata della stanza. L’alba. Sbiadita luce perlacea fra le stecche scure e marce della vecchia persiana. Non sembrava tardi. Le sei e un quarto, forse. O qualcosina in più. Mai stato bravo a calcolare l’ora esatta con il sole.
Sbadigliai, fino quasi a slogarmi la mandibola. Lentamente, facendo molta attenzione a come mi muovevo, sollevai il braccio sinistro e portai il quadrante fosforescente del mio Sector a pochi centimetri dall’occhio sbarrato. Cercai di focalizzare le lancette verdastre dell’orologio: regalo dei nonni paterni per il mio ventiquattresimo e ultimo compleanno.
Sei e quaranta.
“Merda fossile…” mormorai, spalancando anche l’altro occhio.
Non era possibile: ritardo bestiale!
Mi coprii la faccia con le mani e imprecai sottovoce.
La sera prima, pieno di buone intenzioni e libero da cattive tentazioni, avevo deciso di svegliarmi un po’ prima del solito, diciamo verso le cinque e mezzo, per finire di ripassare gli ultimi tre capitoli del programma di Anatomia Comparata. In teoria, avrei dovuto ripassarli assolutamente quella nottata, ma poi… gli eventi avevano preso una direzione diversa. A volte capita. Non c’è niente di male. Tranne, forse, quando la mattina dopo si deve sostenere un esame di Comparata.
“Mmmh…” gemette una voce femminile al mio fianco. “Che hai?”
Una ciocca di capelli ricci e biondi spuntava dal bozzolo di lenzuola, coperte e piumone. Nella stanza non c’era neanche un termosifone.
“Sei sveglia?” chiesi, con le labbra come piene di novocaina.
“Mmmh…” rispose la voce, senza sforzarsi troppo.
“Scusa. È tardissimo. Devo andare.”
“Mmmh…”
Dal bozzolo emerse il volto assonnato della mia ragazza.
Giulietta Mannai, conosciuta da tutti come July.
“Eh?” disse, sbattendo le palpebre per scacciare via il sonno residuo.
Ignorando il freddo, mi misi a sedere sul mio lato del letto singolo e mi abbracciai le ginocchia ancora infilate al calduccio, sconsolato, con i capelli scomposti sulla fronte. Scossi la testa. Il cervello ancora spento.
“Non sono riuscito ad alzarmi in tempo…” dichiarai, amareggiato. “Dovevo ripassare degli appunti prima dell’esame. Bah! Pazienza.”
July mi posò un bacio veloce sulla guancia ruvida di barba.
“È colpa mia. Non dovevo chiederti di dormire qui da me, stanotte.”
“Tranquilla…” la rassicurai, voltandomi verso di lei. Per poco non cascai dal letto. “Non ti preoccupare. Tanto ho ripetuto abbastanza ieri mattina con Stella. La mia collega. Era solo per scrupolo, capisci?”
“Non ti senti ancora pronto?” s’informò lei, preoccupata. “Vuoi saltare l’appello di questo mese? Quando inizia la prossima sessione?”
“A maggio.” Mi grattai la testa arruffata e imbronciai le labbra, contrariato da quella raffica di domande. A July piaceva molto chiedere e poco rispondere. “No, voglio darlo adesso. È solo che… lo sai, quello Sforza è un crumiro pignolo! L’ultima sessione ne ha sbattuto fuori nove su dieci! È uno che gode a metterti in difficoltà… Un vero stronzo.”
July sorrise. “Sbaglio o questo era uno sfogo?”
Sbuffai, irritato. “Ah, no! Dai, July, non cominciare con ‘sta storia!”
“Perché ti scaldi tanto? Tu sei represso. Quante volte l’ho detto?”
July, quando ci si metteva, sapeva essere spietata.
“Milioni.”
“Eppure continui a fare il duro, tenendoti le cose dentro, come una pentola a pressione piena d’ansia fino all’orlo. Alla fine esploderai.”
“Stammi lontana, allora. Sono pericoloso.”
Sospirando, July mi prese la testa fra le mani e prese mordicchiarmi il lobo dell’orecchio sinistro. Mi faceva impazzire quando faceva così.
“Anche io lo sono…” sussurrò, con il fiato corto. “Non sai quanto.”
Non lo sapevo, infatti. Non ancora.
Comunque sia, dimenticai l’esame per i seguenti quindici minuti.
Più tardi, verso le sette e un quarto, consumammo una rapida colazione nella piccola cucina del minuscolo appartamento, due singole, bagno e cucina, che July condivideva con la sua amica del cuore. Mentre mangiavamo biscotti alla crema e caffè, seguimmo in silenzio alcuni videoclip sulla TV quattordici pollici di July, perennemente sintonizzata su MTV. In quel momento c’era un video molto bello di Jon Bon Jovi.
“Beh… devo scappare!” annunciai, posando la tazza sul tavolo.
“Chiamami, ok?” July non staccò gli occhi dallo schermo. “Ciao.”
“Ciao.”
Il nostro rapporto non era mai stato convenzionale.
Quando lasciai la mia sedia e indossai il mio solito cappotto blu, sulla soglia dell’angusta cucina apparve una figura barcollante, sbadigliante e scarmigliata. L’amica del cuore. Una cretina totale. Non la sopportavo.
“Bonjour…” salutò, accasciandosi sulla sedia libera. “Caffè?”
Elisabetta Raju non salutava mai in italiano: era plebeo.
“Betta!” July sorrise, alzando lo sguardo. Stravedeva per la sua sexy coinquilina. Erano compaesane e si conoscevano fin dai tempi delle scuole medie. Un’amicizia nata sui banchi e cresciuta nei locali notturni. “No, il caffè è finito… Prendi il mio, July. Tanto io non ne voglio più.”
Betta sedette sulla sedia che avevo lasciato libera, senza degnarmi di un’occhiata, allungò una mano e afferrò la tazzina semivuota. La scolò. Poi sospirò, incrociò le braccia sopra il tavolo e vi posò la faccia gonfia.
“Nottataccia?” domandai, tanto per dire qualcosa, mentre verificavo di aver preso le chiavi dell’appartamento e infilavo il libretto degli esami nella tasca del giaccone. “Deve aver piovuto quasi fino all’alba.”
Nel frattempo, July piluccava le briciole di biscotto rimaste sul piatto e scrutava con espressione ermetica la massa di capelli rossi di Betta.
Quest’ultima, senza sollevare la testa, rispose: “Sono a pezzi, gente. Ho ballato fino all’alba su quel cubo del cazzo. Un deficiente ubriaco mi ha pure toccata. Una serata schifosa: musica hip-hop e pioggia di merda! Tutto per cinquantamila misere lire. Mi sono stufata di questa vita.”
Era quello che diceva ogni mattina e dimenticava tutte le sere.
Sogghignai. “Toccata dove, Betta?”
July mi scoccò un’occhiata al cianuro.
Feci finta di non vederla e sprofondai le mani nelle tasche dei jeans.
Betta comunque non mi degnò di una risposta. Era come se non fossi presente. Tra noi due non c’era un grandefeeling. Ci sopportavamo, più che altro, per il bene di July e in nome del quieto vivere. Amen.
“Bene!” esclamai, con un finto entusiasmo da avanspettacolo che non mi apparteneva, avvicinandomi alla mia ragazza. “Io vado. Ci vediamo.”
“In culo alla balena!” disse July, sorridendomi.
“Crepi il lupo!” replicai, toccandomi le palle attraverso la tasca.
La baciai sulla guancia, salutai Betta (che non rispose) e uscii.
Erano le otto meno venti.
Marina A –
Difficile trovare la fiducia nel futuro in una specie di catacomba
Mi mancava il primo della trilogia di Giancarlo Ibba, avendo già letto gli altri due: “L’alba del sacrificio” e “C’era una volta in Sardegna” (pubblicato di recente), non potevo fare a meno di leggere anche il romanzo che ha permesso all’autore sardo di esordire nel mondo della scrittura. Questa sorta di percorso inverso è stato più interessante di quanto avrei potuto prevedere. Veniamo alla trama: Lorenzo Carta è uno studente universitario di Scienze Naturali, un ragazzo molto particolare, imbevuto delle sue origini sarde fino al midollo. Un tipo strano, silenzioso, dalla personalità fragile, traballante, insomma: un involucro talmente colmo di emotività da far venire persino qualche brivido, e non esagero. Lui stesso si definisce un tipo da Deserto del Gobi, per sottolineare quanto lo attanaglia la solitudine. Sì perché in questo libro Ibba ci riserva ancora una volta qualcosa di speciale, quel qualcosa in più che il lettore si aspetta per non rimanere indifferente a ciò che legge. Tuttavia su questo aspetto vorrei tornarci in un secondo momento. Vorrei infatti parlarvi prima del corpo di questo thriller. Dunque, Cagliari viene fagocitata nel limbo del mistero, diventando così la “pellicola” in forma scritta di una serie di omicidi spaventosi. Le vittime appartengono a docenti dall’etica morale non proprio pulita, i corpi vengono sapientemente sezionati da un omicida seriale, e gettati in un Acquario, lasciati in pasto a cernie e murene. L’atmosfera è tetra e nebulosa, ci troviamo di fronte a un puzzle dell’orrore ben studiato, neanche a dirlo, nei minimi dettagli; pezzo dopo pezzo, pagina dopo pagina, scalino dopo scalino mi sono ritrovata catapultata in mezzo agli eventi, snocciolati direi, in modo semplice e scorrevole. In questo libro Ibba utilizza un linguaggio calibrato, accessibile a tutti, trasformandolo credo volutamente in uno stile aperto, per nulla scontato, rivolto a tutti coloro i quali desiderano cimentarsi in una lettura di questo genere. L’autore invita, chi non è mai stato nella Sardegna dei suoi racconti, a scoprirne un aspetto poco noto, quello lugubre creato ad arte per i suoi intenti. Conoscerete anche un pizzico di realtà sarda, quella incomprensibile dove la droga vive negli angoli delle strade, dove non si nasconde il degrado, dove troppo spesso gli sguardi e il linguaggio degli studenti, lasciati a se stessi, parlano del famoso orgoglio, che sono costretti a mettere da parte ogni giorno, perché i sogni in questa terra non sempre possono essere contemplati. L’Università viene descritta come un ambiente fatiscente: animali impagliati, pesci dalle ombre sinistre… Insomma, riversare le proprie speranze in un luogo così austero ha veramente il sapore dell’utopia. Cito testualmente: “Tutto l’ambiente trasudava di speranze e sogni in disfacimento. Difficile trovare la fiducia nel futuro in una specie di catacomba.” Sapete cosa vi dico? Che questo esordio già la diceva lunga sul talento di Ibba, temevo di notare forti differenze con i successivi romanzi, di vedere la classica base delle fondamenta che ci si aspetta quando si pubblica un libro per la prima volta. Invece no, ho scoperto lo scrittore sardo in una chiave diversa, dove la leziosità linguistica non serve a colorare le vicende, dove tutto scorre con una naturalezza imbarazzante. Il finale? Un susseguirsi di colpi di scena dove la verità viene sapientemente centellinata! Da amante del thriller psicologico non posso che apprezzarlo e rimanere ancora una volta sorpresa positivamente. “La vendetta è un gusto” era il tassello mancante, posso affermare tranquillamente che tra i tre è il mio preferito per il risvolto psico-thriller, ovviamente senza nulla togliere agli altri due che mi sono piaciuti comunque molto per motivi diversi. Beh! Devo dire che questo autore non solo merita di essere letto, credo infatti che debba godersi anche una serie di riscontri oggettivi da parte dei lettori che cresceranno nel tempo, ne sono certa.
Andrea L –
Un libro succulento
Questo libro, l’esordio di Ibba, già pone le basi dello stile di scrittura inconsueto, originale e frizzante che hanno finito per caratterizzare l’autore nelle sue opere successive.
Questo giallo thriller è intenso, ricco di atmosfere noir e di mistero, ma al contempo è divertente, a tratti surreale e, non ultimo, alla fine spaventoso.
È molto visuale e ben calzerebbe un adattamento cinetelevisivo. Infatti, durante la lettura è facile visualizzare mentalmente le situazioni, i personaggi e i loro movimenti all’interno delle ambientazioni descritte con cura.
Proprio i personaggi, ben delineati, diventano reali durante la narrazione degli eventi che li vedono protagonisti, assumendo atteggiamenti alquanto verosimili di fronte a situazioni anche “al limite”.
Hanno una personalità riconoscibile e, dopo poco pagine, già ci si immagina come potrebbero reagire, come se fossero amici o conoscenti. Ma nonostante questo, riescono a stupirci e a farci sorridere, commuovere e soprattutto a coinvolgerci nella storia.
La trama è originale e ben studiata, non scontata e soprattutto nel finale i molti colpi di scena riescono a tenerci con il fiato sospeso. Essendo ambientato in Italia, il coinvolgimento è anche maggiore e non si riesce a interrompere la lettura fino a che non si arriva alla fine. A quel punto se ne vorrebbe ancora, come quando, appena finita una succulenta bistecca, cotta a regola d’arte, la gola ci spingerebbe a mangiarne ancora. Un libro che definirei succulento anche per le molteplici citazioni cinematografiche inserite e anche per gli espedienti che, inaspettatamente, riescono a strapparci un sorriso anche nelle situazioni più pericolose e inadatte alla risata ma che poi si rivelano perfette. Infatti si tira un solo e breve sospiro di sollievo prima di venire rituffati in trame sempre più fitte e ingarbugliate.
La vendetta è un gusto, per concludere, è un libro davvero riuscito, ben scritto e direi sinceramente azzeccato. Per essere un libro d’esordio è sicuramente uno dei migliori che abbia letto e quel che ne è seguito ha mantenuto le aspettative, a volte superandole.
G.C. Ibba è certamente uno dei migliori esponenti italiani, contemporanei, della letteratura di genere e ci stupirà ancora, come ha già fatto con i suoi due successivi libri, L’alba del sacrificio e C’era una volta in Sardegna. Attendiamo solo di poterlo leggere ancora, molto presto.