La metamorfosi del professor Strunz

2,99

Formato: Epub, Kindle

Autore: Ezio Saia

Note sull’autore

COD: ISBN 978-88-6690-128-0 Categoria: Tag:

Descrizione

Presentazione di Gianluca D’Urso

La mansuetudine del professor Strunz è scritta nel suo codice genetico. Quando il dottor Ciripalli, specialista del settore, diagnostica l’anomalo metabolismo da ruminante del matematico, non fa altro che leggere la sua storia e, al contempo, il suo destino, come un abile cartomante. Strunz è un novello Bartleby, un uomo di in-azione, che subisce inerme gli attacchi del suo nemico giurato, che lo perseguita e ossessiona: il riflusso della cultura sessantottina, ovvero quel che ne rimaneva negli anni Novanta. A differenza dello scrivano di Melville, però, il professore si logora nel rancore. A cominciare da quando, poco più che adolescente, il corteggiamento della sua futura moglie lo costringe ai concerti degli odiati cantautori e ai dibattiti dei disprezzati gruppi di sinistra, per finire al momento in cui la sua routinaria vita professionale viene funestata dall’avvento delle nuove teorie pedagogiche. Proprio queste ultime costituiscono l’innesco della prima trasformazione del mite Strunz da figura di secondo piano del consiglio scolastico a strenuo capeggiatore dell’opposizione al rinnovamento. La seconda, definitiva, metamorfosi kafkiana è un ritorno all’originale docilità in una sorta di ciclo cosmico. Ma i propri tormenti, suggerisce la storia del professor Strunz, ciascuno li porta con sé ovunque, persino nella trasmigrazione in un nuovo corpo. Può capitare che la fuga da una specie asservita all’autorità di una presunta egemonia culturale, si concluda in un’altra specie assoggettata al dominio di un malgaro presunto zoofilo, con l’aggravante del persistere dell’ossessione per le lettere livorose da recapitare agli esponenti più in vista tra i politici del centro-sinistra. Il professor Strunz è una sorta di pellicola per negativi di un personaggio di Tondelli – con il quale Saia ha in comune la ricerca di una colloquialità estrema nello stile del linguaggio e l’abbondante uso di neologismi – arruolato nelle schiere degli avversari politici delle figure dello scrittore emiliano, rivelandosi in questa distanza ideologica e culturale un perfetto uomo del suo tempo.

Gianluca D’Urso

INCIPIT

PRELUDIO ALL’evento straordinario

Tutto era cominciato con i globuli. Troppi globuli e troppo grossi, dicevano i numeri sul foglio ufficiale emesso dal laboratorio ASL, Sezione Sangui, Dipartimento Ematocrito. E mica li puoi discutere i numeri, perché, se già Pitagora li considerava magici e santi, sono addirittura divenuti il mondo con Galilei, che i numeri li conosceva come Dio comanda, e non perse l’occasione di dirci che ciò che appare a noi bifolchi sotto forma di padelle, mammelle, gnocchi e sughi è in realtà fatto di numeri. Pura apparenza il mammellame e pura apparenza la gnocca; per non parlare poi delle padelle, dei polli e dei fagioli. Pura sostanza, invece, i numeri: vagoni di numeri, valanghe di numeri, l’intero universo, compresi il paradiso e l’inferno.

Comunque il signor Strunz, laureato in patrie matematiche e professore delle stesse, aveva i globuli grassi come balene, che si davano ai bagordi e se la spassavano, nuotando placidamente nel sangue e figliando come dannati.

Che poi, con quel mal di testa che improvvisamente aveva colpito il professor Strunz, quei globuli c’entravano poco, ammise il dottore del pronto soccorso dall’alto della sua autorità, ma tant’è: c’era la carta e la carta cantava. Mica carta normale, ahinoi: carta ufficiale, intestata, timbrata e firmata da un bipede discepolo d’Ippocrate, munito di laurea e specializzazione, il quale aveva cavato il sangue al signor Strunz e se l’era lavorato per bene, asciugando, contando e misurando con somma acribia.

«Lei ha troppi globuli e troppo grossi», aveva sentenziato.

«Ovverosia? », aveva chiesto lo Strunz, allarmato. «Che debbo fare? È grave?»

«No», aveva biascicato l’altro. «Vada, vada dal suo medico di famiglia, che ci penserà lui a sistemarli per bene. ».

Allora era andato dal suo medico dottor Piripicchio, essere pacifico e acefalo, con cui aveva scambiato poche decine di parole in qualche decina di visite, nelle quali ogni volta era stato redatto un certificato ufficiale di depressione nervosa, col quale il depresso Strunz, malato tranquillo, potesse starsene a casa qualche giorno a curarsi in pace le sue fisime stravaganti.

Era infatti disastrato nella mente, a causa del mondo dispettoso che lo circondava, ed era quindi esaurito da una vita, diagnosticato come tale e come tale trasmesso dal precedente dottore, che prima però, per coscienza, aveva sottoposto lo Strunz, i suoi sangui e i suoi organi a tutte le prove possibili. Lo Strunz era dunque tornato da lui con i referti completi per una definitiva sentenza e una cura; ma il dottore, dopo aver letto, sobbalzato per motivi suoi, sorriso, ghignato, tossito, pulito le narici, le orecchie e i baffi aveva dichiarato che tutto era a posto, tutto a puntino, organo per organo, dal fegato alla milza, dagli intestini allo stomaco. I sangui, poi, e le urine, ovverosia colesteroli, albumine, grassi, densità, pastosità, pastosità e  pesi  tutto era perfetto. Lo Strunz era l’immagine della salute, e quindi se ne andasse dal neurologo della mutua. «Un uomo semplice, rassicurante e alla buona. Niente della superbia che hanno di solito quelli della sua razza. Vedrà che si troverà bene», aveva aggiunto allegro il dottore, ma poi aveva subito cambiato tono: «Mica guariscono nessuno, quelli, ma, in compenso, sanno tutto loro e pontificano pure la loro nullità; parlano e parlano il nulla e fanno congressi su quel nulla. Guardi, signor Strunz, io potrei scriverlo su un biglietto quello che le daranno e poi chiuderlo in una busta e consegnarglielo, sicuro come il moto della luna che ci azzeccherei. Mica perché sono un mago, ma perché da loro ho mandato caterve di esauriti di tutti i tipi, ma quelli, dopo aver pontificato e studiato una cura mirata caso per caso, demente per demente, esaurito per esaurito, cascasse il mondo, ti rifilano sempre le stesse pillole. Quattro ansiolitici in croce, magari un tri o tetraciclico, un bel calcio nel culo, cambio, inversione e via a rompere i coglioni al medico di base».

S’era quasi accaldato, il medico della mutua, terminando con un ansito acuto, ma aveva presto ripreso: «Questo perlomeno non banfa né starnazza con la cassa toracica piena di boria. Vedrà signor… signor…», aveva dimenticato il nome e lo stava cercando sulla cartella, per cui lo Strunz lo aiutò: «Strunz», disse. «Certo, Strunz», assentì il dottore. «Vedrà, caro signore, che troverà un mite, sincero e umile dottore, benché neurologo. Che non le romperà le scatole con tante domande su come lo fa con la moglie o con le altre o se è stato violentato da piccolo. Ché sempre lì quelli finiscono: che il padre o lo zio se li è inforcati per bene, gli infanti. E ci danno, ci danno, ci danno fino che alla fine uno lo confessa anche per toglierselo dai coglioni: “Sì, mio padre mi ha inforcato, davanti, di dietro e perfino tra i denti, ma adesso, per pietà, basta: mi scriva la ricetta, chiuda il conscio, l’inconscio e il metaconscio e trovi un altro inforcato”. Al che l’indagatore di inconsci vari si deterge il sudore, annota l’ennesimo caso di inforcata famigliare e multipla, aggiorna la statistica – cinquanta inforcati su cento – e dice al malato redento: “Vada in pace, guarito, pulito e mondato! E mi mandi i suoi amici, che glielo troviamo pure a loro l’inforcatore diabolico”. Perché mica hanno pace, quelli! Se al piano primo interrato di quel benedetto inconscio l’inforcato non lo trovano e l’inforcatore neppure, mica si scoraggiano. Vanno al secondo, gli impavidi, e dopo il secondo, al terzo e così via fino all’infinito di Cantor. Prima o poi l’inforcata si trova, e se non si trova si inventa, perché devono pur arrivarci una buona e benedetta volta a chiuderla questa statistica e annunciare all’Italia quello che tutti sapevano già: “Vi hanno inculato tutti e più volte, e per ultimo vi abbiamo inculato noi con le nostre parcelle”».

Si fece una gran risata, il generico medico di famiglia, e rise per compiacenza anche lo Strunz che, d’accordo nella sostanza, cominciava però a fremere per quella filippica che non voleva finire. Ma finì pure quella, con il medico ridivenuto ilare che augurava di cuore allo Strunz che il sopraddetto neurologo non fosse pure lui degenerato nel frattempo.

Per fortuna non era affatto impazzito, il neurologo, che accolse Strunz con sano e saggio buon senso, ascoltò lui e i suoi disturbi e gli consigliò di giocare alle bocce o di ritirarsi in convento coi trappisti o di darci con le mignotte. E di prendere, infine, regolarmente quelle pillole: non le scrisse neppure, il pacioso neurologo, ma prese il ricettario e lo timbrò solennemente con un’enorme timbrata in cui c’erano diagnosi, pillole, dosi e firma. La data la mise con un altro timbro. «Non ho scritto di giocare a bocce o di andare a mignotte, veda lei. Auguri signor… vediamo un po’, vediamo, signor…» «Strunz», lo anticipò Strunz, e «signor Strunz», ripeté il neurologo. «Arrivederci, e per favore faccia entrare il prossimo matto».

Da quel giorno lo Strunz, esaurito certificato, ebbe dal medico di famiglia tutti i permessi che voleva per curare i suoi poveri nervi; tanto che entrava e il dottor Piripicchio, vista la faccia sempre dolente, chiedeva: «Quanti giorni?», e se lo Strunz diceva due scriveva due, se diceva dieci scriveva dieci.

Pure quella volta, quando vide lo Strunz entrare con la sua faccia, il suo cappotto, la sua sciarpa, il valoroso dottor Piripicchio era già pronto con la penna in mano. «Quanti?», chiese soffiando; ma l’altro non rispose con un numero, e si limitò ad appoggiare sulla fòrmica della scrivania i fogli fatidici che attestavano quell’incredibile e nuovo malanno.

Li prese con attenzione, il Piripicchio, aggrottando la fronte e, quando vide quei dati cerchiati, s’illuminò, respirò di sollievo e si alzò addirittura: «Ah, vediamo un po’». Lesse, sfogliò i tre fogli e pontificò: «Abbiamo il colesterolo, signor… Strunz, e pure i grassi! Capperi! A quattrocento! Urge indagine». “Colesteroli, grassi?”, s’interrogava intanto lo Strunz, “ma sono i miei fogli? Gli stessi che testimoniavano e attestavano i globuli?”. Perciò espose sia quel dubbio che la storia dei globuli. Aggrottò ancora la fronte, il Piripicchio, e fece scorrere verso l’alto i  suoi bulbi balenghi occhialuti, recitando: «Qua dice “Strunz Giovanni, nato a… il giorno… residente a…”. È lei questo Strunz? », chiese severo.

Il moribondo annuì e si schiarì la voce con un «Sì», e il dottore annuì pure lui, questa volta bonariamente. «Passiamo al dunque», proseguì. «Lei ha due anomalie nel sangue: i grassi e i globuli, e fra i grassi pure i colesteroli danno di testa. Troppi, troppi e troppi, e c’è pure di peggio, perché deve sapere, mio caro signor Strunz, che in questo mondo complicato i colesteroli sono due: quello buono chiamato HDL e quello cattivo chiamato LDL. Lei ne ha troppo di quello maligno e poco di quello benigno. Due problemi, dunque, e due cure; niente di grave, per l’amor del cielo, ma bisogna starci dietro a certe cose e lei, malato fantastico fino alla data odierna, da oggi stesso è malato vero, serio, ufficiale e certificato da regolare attestato».

Aveva dato dei rimedi, il Piripicchio. Niente pillole per carità, ma un bel foglio con su scritto cosa poteva mangiare e cosa bere, quel nuovo malato, e allo Strunz che chiedeva pillole, aveva risposto: «Già ci accusano che ne diamo troppe, e non hanno mica torto! Signor Strunz, lei abbandoni quei grassi con cui fa bagordi mattina, pomeriggio e sera e vedrà che tutto andrà a posto: colesteroli, grassi e pure quei globuli mostruosi che si ritrova».

Ma lo Strunz non s’era convinto di quella cura senza neppure una pillola, ed era andato allora dal professor Ciripalli, compagno di scuola in tempi liceali e oggi luminare di provincia, di buona fama, di animo buono, bocca buona, buon volume e pacioccone, come risultava vividamente nella memoria dell’ex compagno Strunz.

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