La guardia delle Terre Rinate

4,99

Formato: Epub, Kindle

Autore: Sergio Piergianni

Note sull’autore

COD: ISBN 978.88.6690-312-3 Categoria: Tag:

Descrizione

La città di Alba, una delle maggiori metropoli delle Terre Rinate, è spesso messa a rischio da mutanti e demoni, che attaccano gli esseri umani e i loro centri abitati. Per questo sono costantemente difesi  dagli Esper, forme evolute dell’uomo, dotate di particolari poteri.

Un giorno si prospetta un pericolo ancora più grande per Alba, con la comparsa di un demone molto potente, Avart, da sempre alla ricerca di un antico avversario con il quale pare avere un conto in sospeso. Purtroppo nessuno sa dove si nasconda quest’ultimo, e lo stesso Avart si trova costretto a minacciare Alba per stanarlo. Intanto, a difesa della città, scende in campo Sid, un giovane Esper dai poteri eccezionali, ma dotato di un pessimo carattere. Tra mille difficoltà e tradimenti, con il sostegno del suo unico amico Stu e i battibecchi con un’adolescente umana di nome Lory, il ragazzo si opporrà ad Avart in ogni modo possibile, pur consapevole del fatto che le sue sole forze non sono sufficienti ad affrontare un avversario del genere, ma anche conscio del fatto che trovare l’unico in grado di tenere testa al demone potrebbe scoperchiare il vaso di Pandora…

Questo romanzo di fantascienza, scritto con stile asciutto ed essenziale, ha un ritmo incalzante e veloce, è adatto ad adolescenti e giovani adulti e piacerà anche alle ragazze.

INCIPIT

Lory si svegliò a causa di un piccolo ma brusco sussulto del sedile, accompagnato da un breve e profondo fischio. Stropicciandosi un occhio assonnato, guardò fuori dal finestrino e vide una banchina di cemento scorrere sempre più lentamente fino a fermarsi del tutto: il treno era arrivato a destinazione, e senza particolari incidenti, tra l’altro: a quanto pareva, si era preoccupata troppo. Tanto meglio, aveva potuto dormire per tutto il pomeriggio.

Era stato un mese davvero lungo e faticoso, quello: affrontare un trasloco in una città diversa dalla sua l’aveva proprio sfiancata.

Colpa di mamma e papà, pensò, stiracchiandosi. Lo sapevo che le valigie erano pronte. Che senso ha ricontrollarle ogni dieci minuti?

Per quanto apprezzasse l’aiuto dei suoi genitori, non poteva non provare una punta di risentimento nei loro confronti: ossessionati com’erano dalla sua imminente partenza, non avevano fatto altro che stressarla per tutto il mese con valigie da riempire, scatoloni da spedire, moduli da compilare (per la nuova scuola) e telefonate da fare, in particolare alla zia Monica, per assicurarsi che fosse pronta per il suo arrivo. Probabilmente ormai anche lei era quasi sul punto di odiare quel trasloco, così come Lory.

Prima di recuperare i bagagli, la ragazza si specchiò un momento nel vetro del finestrino per controllare il proprio aspetto: i capelli, neri e lunghi, erano arruffati per il viaggio fino a somigliare a una matassa di filo di ferro, e i vestiti si erano spiegazzati come se fossero appena usciti dalla lavatrice. Sbuffando, tolse la valigia dal ripiano e la aprì sul sedile, spostando maglie e gonne fino a trovare una busta di carta in cui aveva messo le forcine. Ne prese due e le usò per rimediare almeno parzialmente al danno, richiudendo tutto prima di unirsi alla fiumana che scorreva verso l’uscita del vagone.

Non appena ebbe messo piede a terra ebbe il suo primo assaggio di caos cittadino: rumori di treni in arrivo o in partenza, o anche solo di passaggio, risuonavano a intervalli irregolari tutto attorno a lei, inframezzati dall’artificiale voce degli annunci che proveniva dagli altoparlanti disseminati per tutta la stazione; decine e decine di persone affollavano le numerose banchine, scendendo o salendo sui treni, riempiendo i sottopassaggi, strattonando bagagli più o meno pesanti su e giù per i gradini e le rampe, imprecando perché un treno era in ritardo o partito prima del loro arrivo, abbracciando parenti e amici venuti a prenderli o a salutarli; meno chiari ma egualmente fastidiosi, i rumori di mille motori d’auto che passavano avanti e indietro per la strada.

Tutto quel viavai, quel brulicare di vita a cui lei non era abituata, le fece venire per un istante un piccolo capogiro. Mentre era ancora intenta a riprendersi, sentì una mano posarsi delicatamente sulla sua spalla e, alzando lo sguardo, vide il volto sorridente di sua zia.

“Lory!” esclamò. “Finalmente! Quanto sei cresciuta!”

Lei le sorrise di rimando e si lasciò abbracciare forte. Un attimo dopo, zia Monica si allontanò da lei per guardarla meglio.

Non si somigliavano per niente: se Lory aveva i capelli neri, sua zia li aveva biondo cenere, appena screziati da qualche striscia bianca, pressoché invisibile nel chiarore naturale della chioma; se i suoi occhi erano marrone scuro, quelli di Monica erano verde foglia; i lineamenti di lei erano un po’ più spigolosi, e aveva gli zigomi più marcati. Anche di spalle era decisamente più larga.

“Mmmh… mi sembri stanca” osservò, stringendo le labbra. “Beh, immagino che tu lo sia davvero, giusto? In fondo hai fatto un viaggio di trecento chilometri, non è poca cosa.”

Lory sospirò, sistemando meglio a terra la valigia.

“No, soprattutto quando temi che qualcosa possa saltare addosso al tuo vagone e rovesciarlo” brontolò. “Per le prime due ore non ho fatto altro che guardare dal finestrino.”

Monica scosse la testa con gentilezza, accennando subito dopo con un movimento della testa a un uomo in divisa che scendeva dal vagone vicino.

“Lo vedi quello?” disse. “È rimasto a bordo tutto il tempo, insieme sicuramente ad almeno altri due. Erano la scorta del treno, sono saliti con voi proprio per accertarsi che arrivaste sani e salvi. Non hai corso alcun pericolo.”

“Sarà, ma è stato comunque snervante!” si impuntò Lory, scocciata. “E considera che mi sono svegliata alle sei, con mamma che andava avanti e indietro alla ricerca del biglietto che avevo già in tasca!”

Zia Monica scoppiò a ridere, prendendo il suo bagaglio e precedendola verso il sottopassaggio.

“Eh già, la mia cara sorellina è sempre stata un tipo un po’ ansioso” disse. “Tranquilla, ora andiamo a casa, così ti fai una bella dormita.”

Lory annuì, grata alla zia Monica per la splendida proposta: se ci fosse stata sua madre, al suo posto, le avrebbe imposto di visitare subito la nuova città per ambientarsi immediatamente e imparare i percorsi più utili, tipo quello per la scuola, per il miglior supermercato, per l’ufficio postale…

Certo, c’era da dire che tutta quella nevrosi non era proprio immotivata: Lory non era mai stata in un posto così grande e affollato, avendo vissuto per tutta la vita in una cittadina di provincia decisamente più piccola e lontana da qualsiasi cosa che avesse più di quindicimila abitanti. Anche solo la trasferta era stata un’avventura.

“Allora, sei emozionata?” chiese la zia Monica, mentre salivano in macchina. “In fondo questa è un’esperienza nuova per te.”

Lory annuì stancamente: se fosse stata più riposata avrebbe sentito una discreta dose di adrenalina scorrerle nelle vene, ma in quel momento era troppo sfiancata dal viaggio e dall’agitazione di quei giorni per sentire altro che un intenso bisogno di riposarsi. E comunque, a essere onesta, non era stata lei a volere quel trasloco: le era stato imposto, e questo aveva comportato ulteriori discussioni, urlacci e lacrime, fino a pochi mesi prima.

“Vedrai che ti troverai bene, qui” disse sua zia. “I tuoi genitori hanno avuto una buona idea, mandandoti a stare con me.”

“Stai parlando come mamma” borbottò assonnata Lory. “‘Dalla zia starai meglio’, ‘lì ci sono scuole migliori’, ‘vivrai vicino alla sede del Collegio di Difesa, sarai più protetta’… è stato quasi più stancante ascoltare lei che fare le valigie.”

“Beh, se ti interessa il Collegio di Difesa basta che alzi lo sguardo” disse la zia Monica, indicando la parte sinistra del parabrezza.

Lory seguì il suo dito e vide, in lontananza, un grande edificio che spiccava al disopra del resto della città, bianco e freddo, come se fosse costruito interamente di marmo, appollaiato sul fianco della montagna alle spalle della città.

“Quindi è quello?” chiese.

La zia Monica annuì.

“E spero che ti piacciano gli Esper” aggiunse. “Perché li vedrai molto spesso.”

“Ce ne sono tanti in città?”

“Non più di quanti te ne aspetteresti” rispose lei, stringendosi nelle spalle. “Ma il loro Istituto di Formazione è proprio di fronte alla scuola dove andrai tu. L’hanno messo lì per abituare fin dall’infanzia la gente a persone come loro.”

Lory trattenne a stento uno sbuffo: come si poteva parlare di “infanzia” con una sedicenne?

“Sì, lo so” ridacchiò la zia Monica, intuendo i suoi pensieri. “Ora sei una signorina, non una bambina. Quello che intendevo è che si tratta di una manovra del Collegio: con i loro Esper sempre a stretto contatto con le persone normali, diventa più facile vincere l’istintiva diffidenza nei confronti di chi, come loro, mostra segni di capacità superumane.”

Suonava tanto come un discorso preparato, di quelli che si trovano su certi dépliant informativi o sui siti governativi. Una cosa abbastanza normale, dopotutto: la zia Monica lavorava in comune.

“Tu ne conosci tanti?”

“E tu?” le chiese di rimando lei.

Lory scosse la testa: dove viveva lei gli unici Esper presenti in città se ne stavano per lo più al pub o al campo sportivo, se non lavoravano, ma erano tutti con un’età non inferiore ai quarant’anni, e i suoi genitori non li frequentavano granché.

“Io ne conosco alcuni, ma ce ne sono tantissimi, in città. Almeno un centinaio. E parlo solo di quelli adulti, che hanno finito gli studi” aggiunse. “All’Istituto di Formazione Esper ce ne sono molti di più… circa trecento, credo, tra i cinque e i diciannove anni.”

“Così tanti?” si stupì Lory. “Ma subite tanti attacchi?”

“No, non più di qualsiasi altra città” rise la zia Monica. “È solo che con la sede del Collegio di Difesa qui bisogna essere sicuri di non correre rischi… in questo modo la gente si sente più sicura, capisci? Più una città è grande e più è protetta, solitamente, ma qui ad Alba le cose sono un po’ diverse… la regione all’esterno dei confini urbani è densamente popolata, il pericolo di un attacco è maggiore. Per quelli che vivono all’esterno della recinzione siamo una specie di tavola imbandita self service. Anche per questo i treni sono sempre sorvegliati.”

Lory sgranò gli occhi, ma la zia Monica ridacchiò un’altra volta.

“Ah, tranquilla… non voglio spaventarti, non c’è motivo di avere paura” disse. “Te l’ho detto, qui c’è un piccolo esercito di Esper a proteggerci. E c’è anche Idra. Quei mostri sarebbero pazzi ad avventurarsi qui dentro.”

“Idra?” ripeté Lory. “Cos’è ‘Idra’?”

“Chi è, vorrai dire” rispose sua zia. “È un Esper. Uno dei più forti presenti qui in città” spiegò. “Ne sentirai parlare parecchio, fidati.”

Lory annuì senza aggiungere niente, limitandosi a guardare la strada che scorreva all’esterno dell’auto. Non era del tutto certa di quanto si sentisse rassicurata dalle parole della zia Monica: certo, era abituata a sentire parlare di demoni e creature mutate, generate (a quanto le era riuscito di capire) dalla continua esposizione ai poteri negativi di quegli esseri, se non addirittura dall’essersi alimentati, di tanto in tanto, dei corpi di quei demoni che erano stati uccisi in precedenza. Tuttavia, l’idea di trovarsi in mezzo a quello che, per quei mostri, era una sorta di magazzino alimentare, le piaceva davvero poco.

“Rilassati” disse la zia Monica in tono conciliante. “Non sto dicendo che qui ad Alba è più pericoloso che altrove. Anzi, credimi: le comunità piccole come Osia sono più esposte agli attacchi, anche se troppo piccole per attirare tutta l’attenzione di Alba.”

“Okay, okay…” sospirò Lory. “Ho capito, ma dammi il tempo di ambientarmi, almeno! Sono appena arrivata!”

La zia Monica scoppiò a ridere, mentre fermava la macchina vicino al marciapiede.

“Bene, ora vediamo di sistemarti nella tua nuova cameretta” disse. “Ho già messo lì dentro tutte le scatole che mi avete mandato, ma non ho toccato quasi niente. Ho solo rifatto il letto e appeso alcune delle tue fotografie.”

Lory la ringraziò con un sorriso stanco. Un letto già pronto e una stanza già arredata in modo accogliente e familiare erano esattamente ciò che le serviva. Doveva assolutamente riposarsi un po’, ora come ora.

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