Descrizione
Aélis Mazoyer fu per lunghi anni vicina a Gabriele D’Annunzio, condividendone la sfera più intima e segreta.
A partire dal diario di Aélis e da altre fonti storiche e letterarie, da questo romanzo scaturisce la figura inedita di uno degli uomini più amati e discussi del Novecento, con il suo coraggio e le sue debolezze, l’eroismo e le ossessioni che hanno caratterizzato soprattutto l’ultima parte della vita. Emergono sullo sfondo i rapporti, spesso difficili, col regime fascista, pronto a osannarlo e al tempo stesso a relegarlo in quella specie di gabbia dorata che è stato il Vittoriale e riaffiorano anche fatti inquietanti, finalizzati a evitare la sua entrata in politica nel periodo prefascista, che avrebbe addirittura potuto cambiare la storia del paese.
La vita del Poeta viene così rievocata dall’interno, esplorandone la complessa personalità, i suoi rapporti con le donne e la sfrenata ambizione per le gesta memorabili, svelando i lati oscuri della gloriosa e insieme travagliata vicenda di un uomo che concepiva la sua stessa esistenza come un’opera d’arte.
INCIPIT
Gardone, marzo 1938
È una tipica giornata di marzo. Nuvole rade sospinte da raffiche di vento s’incuneano tra le montagne e il lago, lasciando filtrare sprazzi di sole.
Dopo il tumulto del giorno precedente la villa è piombata in un silenzio profondo, un’atmosfera di abbandono che avvolge le stanze, il giardino e la natura intorno, non ancora uscita dal letargo invernale.
Ho aperto le finestre per arieggiare la casa, un modo per liberarla dalla presenza latente del Vate, che se n’è andato da poco. Ne avverto ancora la presenza, come se fosse chiuso nello studio, immerso nei libri disposti sul tavolo in maniera disordinata.
Invece è di là, su quel letto angusto. Lo chiamava il letto delle due età. Doveva sembrare al tempo stesso una culla e una bara, che simboleggiasse la morte come l’inizio di una nuova vita.
È in quella stanza dal nome terrificante, la Stanza del Lebbroso. Non mi è mai piaciuta, c’è sempre stato odore di morte, vi entravo sempre con disagio. Mi ero immaginata spesso la scena di oggi e ogni volta l’avevo rimossa con forza dalla mia mente. Un incubo ricorrente provato ogni volta che vi entravo, dove si chiudeva a meditare nella penombra quasi notturna, un’ombra, un presagio. L’aveva voluta così, ma a me sembrava, più che una camera, una cappella di cimitero.
Una specie luogo di passaggio tra la vita e la morte, tra la terra e il cielo.
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