La città decomposta

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Formato: Libro cartaceo pag. 174

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Autore:Claudio Ceriani

Note sull’autore

 

 

COD: ISBN: 978-88-5539-118-4 Categoria: Tag:

Descrizione

In una metropoli non meglio identificata della West Coast, due giovani e indebitati canadesi – George Stroud e Yvonne Crumbe – attori di basso livello e compagni nella vita di tutti i giorni, si fanno convincere da un prestigioso regista di origine russa, Igor Kilian, a prendere parte a un progetto cinematografico misterioso e innovativo.

Preludio all’evento saranno alcune riprese realizzate da una coppia di accompagnatori, i Vishnik, con una videocamera nascosta, nel sottobosco urbano della città, dove hanno luogo spettacoli, esibizioni ed eventi fuori dall’ordinario, da usare come spunto e materiale nella pellicola.

Ma gli imprevisti – anche drammatici – non mancheranno e la tragicomica odissea notturna di George e Yvonne nelle viscere della metropoli assumerà i connotati inquietanti di umiliazioni cocenti ed esperienze traumatiche, fino all’incredibile rivelazione finale di questo noir a sfondo erotico.

INCIPIT

Capitolo 1

 

 

Le porte dell’ascensore si schiusero con uno schianto sonoro, come se fossero state un sipario di ferro.

«Uhm, che perentorietà» commentò George Stroud, prima di posare il piede sinistro sul pianerottolo. Yvonne Crumbe, la sua compagna e collega, lo seguì, facendo scivolare gli occhi sulle venature lignee della porta che stava di fronte a loro e che permetteva di accedere all’unica abitazione di quel piano, l’ultimo del palazzo.

«Però, notevole questo ingresso» ammise. Poi chiese: «E ora?»

Lo smartphone di George emise un ronzio attutito. «Il grand’uomo mi ha appena mandato la password per entrare, dopo aver disattivato il primo livello di allarme. Bene, lasciamo gli ombrelli a sgocciolare qui fuori, non vogliamo certo bagnare la sacra dimora.»

«E dove si inserisce la password

«Non bisogna inserirla» rispose George, mentre avvicinava il bel volto virile a uno strano oggetto in forma di orecchio umano, che sporgeva dal muro vicino all’entrata. Attese qualche secondo, come se volesse attizzare la curiosità della donna, e poi esclamò, a voce alta: «Sesamo!»

Il meccanismo di apertura, con un rumore appena udibile, fece il proprio dovere e la pesante porta in legno massiccio si aprì.

Quasi con riverenza, i due si affacciarono sulla soglia e poi la superarono. Una volta dentro, la porta alle loro spalle si richiuse, dolcemente.

«E dunque questo è l’antro del maestro. Uhm…» sussurrò George, affascinato.

Davanti a loro, infatti, si apriva un ambiente fuori dal comune che rigurgitava di oggetti disparati; fotografie, quadri e disegni che butteravano irregolarmente le pareti, mensole con statuette votive acquistate in mercati esotici, coralli, talismani e monili di fogge insolite, bottigliette piene di sabbia colorata, uccelli impagliati, libri in gran quantità e perfino dei guanti inchiodati a una mascherina e incorniciati, a guisa di dipinto. Ultima, ma non da meno, spiccava una macchina da scrivere che risaliva alla fine del secolo precedente.

Tra gli oggetti di maggiori dimensioni si facevano notare un orologio a pendolo, il cui vetro era visibilmente incrinato, e un manichino rivestito di un’armatura da samurai color cremisi, provvista di elmo con schermatura facciale; al centro della stanza, invece, era situato un tavolino con un Mac portatile, aperto ma spento.

Quello stanzone ricordava il disagevole incrocio tra un atelier e un solaio da sbratto. L’unica altra stanza collegata a quello spazio – come lo stesso George scoprì nei minuti che seguirono – era il bagno, non molto ampio ma dotato di una doccia, di un water, di un lavabo e di asciugamani, accappatoio, sapone e shampoo.

Presenze domestiche, ma incongrue in quel contesto, erano un letto a due piazze – sormontato da una grifagna testa di drago cinese dal muso protuberante – sistemato contro la parete in fondo alla stanza assieme a un piccolo comodino, e un frigorifero posizionato sul lato sinistro, il cui sportello era letteralmente incrostato da fotografie. Il muro vicino al letto era invece occupato da una panoplia di maschere teatrali.

L’ingresso, a sua volta, era sormontato da uno scudo enorme, sul quale era ritratta la mitologica Gorgone. Appena incrociò con lo sguardo quegli occhi sporgenti e iniettati di sangue, Yvonne storse la bocca.

«Umpf! Bruttina, non c’è che dire. E questo appartamento poi… Sembra il deposito di un rigattiere, o un set in disuso.»

«Abbi rispetto. Stai parlando del rifugio creativo di un gigante dello spettacolo sperimentale a 360° – cinema, teatro, tv. Il bric-à-brac che vedi è funzionale alla sua fervida immaginazione e non fine a se stesso.»

Yvonne annuì, poco convinta, e poi si avvicinò all’unica finestra. La sua mano ne toccò lievemente la superficie, come se volesse seguire le traiettorie oblique lasciate sul vetro dal temporale che aveva sferzato la città fino a qualche istante prima.

«Che fai? Hai già nostalgia della pioggia? Non ne hai forse presa abbastanza nonostante l’ombrello?» chiese George, scanzonato.

«No davvero» replicò la giovane donna. «Stavo semplicemente ammirando queste scie d’acqua sul vetro che, a pensarci bene, sono il risultato di una combinazione tra natura e artificio. È curioso come, nonostante abbia già visto questo fenomeno in vita mia, ci abbia pensato per la prima volta solo stasera.»

«A me, invece, le scie della pioggia hanno sempre ricordato le bave delle lumache. Evidentemente questo luogo ispira una tua nascosta vena poetica.»

«Non direi poetica» replicò Yvonne divertita, fissando il soffitto in vetro sopra le loro teste «quanto piuttosto prosaica. Nulla di serio. Ad ogni modo, credo che il cielo non prometta niente di buono, anche se ha smesso di piovere».

Il tono suonò definitivo, come se volesse troncare la conversazione. Buttò all’indietro la lunga chioma nera che terminava in una coda di cavallo ancora lucente per gli spruzzi della pioggia, e stiracchiò il corpo di statuaria perfezione. Dopodiché ruotò il seducente ed esotico volto, magnifico compendio di tre diverse etnie, verso il proprio amante e gli sorrise.

George decise di replicare con una battuta. «Il cielo non promette mai niente di buono, al contrario dell’inferno che certe leggende dipingono come un luogo dove regnano deliziose e divertenti crudeltà. Comunque, se fossi in te non mi preoccuperei della pioggia. Sei nel covo segreto del più importante regista dei nostri tempi, circondata da cimeli di ogni sorta, in attesa di ricevere istruzioni per una serata che si annuncia memorabile.»

Yvonne si guardò intorno lungamente, mentre le sue iridi azzurre avvampavano di ironia. Poi concluse, laconicamente: «Resti tra noi, ma i cimeli del tuo amico lo qualificano come un semplice collezionista dal gusto pacchiano».

«Nostro amico, semmai. Non dimenticare che abbiamo firmato entrambi. Ma in fondo non hai torto, qui dentro c’è di tutto – tranne forse la bara di Dracula» ammise George.

«Chissà, se cerchi meglio, magari trovi pure una slot-machine» lo punzecchiò Yvonne.

«Uhm, già» mugugnò l’uomo, toccato sul vivo. «Ma al buon vecchio Igor è meglio non far sapere la nostra opinione in merito ai suoi gusti. Ho saputo da fonte affidabile che è tanto spregiudicato nelle scelte creative e autoritario con i collaboratori, quanto permaloso davanti alle critiche, specie se formulate dai sottoposti. Quindi, mi raccomando, niente gaffe con lui.»

Yvonne scrollò le spalle. Rispettava l’autorevolezza e il carisma del leggendario regista e drammaturgo, ma tutte le volte che lei lo aveva incontrato, a dispetto dei suoi modi cortesi, aveva percepito in lui un’energia intimidatoria.

«Lo ammetto» confessò la giovane «quel signore ha un fascino soggiogante, ma in lui c’è qualcosa che mi disturba. Forse è la sua tendenza a trattare temi scabrosi e a considerare gli attori come semplici strumenti per riprodurre emozioni».

«Poco ma sicuro. Soprattutto a livello fisico.»

«Ma questa sua caratteristica non ci spaventa. O no?»

«A dirla tutta a me spaventa di più la prospettiva di fare la fame o quella di ritornare in Canada con la coda tra le gambe» replicò George.

Intanto, Yvonne si era avvicinata al letto a due piazze, sul quale erano stati sistemati un paio di libri, sormontati da un biglietto scritto a mano.

«Guarda, George. Sembra che Igor ci abbia lasciato un messaggio.»

«Ne ha tutta l’aria. Che c’è scritto?»

«Uhm, senti qua: “Ben trovati, ragazzi. Confido che siate entrati senza problemi nel mio eremo. Io vi chiamerò appena riesco a liberarmi, credo non prima delle 18.00. Nel frattempo, non siate timidi e fate come se foste a casa vostra. P.S.: Vi chiederei cortesemente di dare un’occhiata ai libri che ho lasciato sul letto. Sono strettamente correlati al nostro progetto”.»

«Wow! Promettente.»

«Già, il misterioso progetto, la pellicola innovativa e che, secondo l’intima convinzione del tuo… pardon, del nostro amico dovrebbe fare epoca» commentò Yvonne riferendosi al motivo che aveva spinto lei e il suo amante, attori originari di Vancouver che lottavano strenuamente per emergere negli Stati Uniti, tra le braccia di Kilian.

Fino ad allora, per sbarcare il lunario si erano entrambi destreggiati fra produzioni scadenti di cinema, tv e teatro e pertanto, prima ancora dell’occasione di lavorare per un acclamato genio, era stata la loro difficile situazione a condurli, in quella cupa serata di Halloween, nell’appartamento di Kilian. La generosa disponibilità economica mostrata nei loro confronti da parte del regista era risultata decisiva e così Yvonne e George avevano firmato un accordo di collaborazione, le cui clausole non erano però del tutto definite e delineate.

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