La Bela Caplera

14,00

Formato: Libro cartaceo, pag. 160

Autore: Piera Rossotti Pogliano

Note sull’autore

COD: ISBN: 978-88-6690-360-4 Categorie: , Tag:

Descrizione

Il 28 febbraio 1807, la lama della ghigliottina eretta a Torino in Piazza Carlina cala, col suo cigolio sinistro, sul collo della più famosa donna condannata nella Torino napoleonica, la Bela Caplera. È una brunetta di 23 anni, accusata di tentato avvelenamento ai danni di una sua collega, che praticava come lei il mestiere più antico del mondo, che non è quello della cappellaia… Il boia alza la testa mozzata tenendola per i capelli, la mostra agli astanti e, si racconta, gli occhi ormai fissi della morta si mettono a lacrimare.

Rimasti racchiusi per oltre duecento anni nei registri del Tribunale criminale conservati all’Archivio Storico della Città di Torino, gli atti del processo e il verbale di esecuzione vengono ora a raccontare un pezzetto di storia della nostra Città.

Insieme alla Bela Caplera, si fanno avanti tante altre donne…

INCIPIT

La Bela Caplera è esistita davvero?

Alla base di questa ricerca c’è, come spesso accade, la curiosità. Ho letto, qua e là, in opere di eminenti esperti di storia torinese, quali Alberto Viriglio e Renzo Rossotti, che cito nel corso del testo, di una giovane, denominata la Bela Caplera, ghigliottinata durante il periodo napoleonico a Torino, forse prima donna condannata in Piemonte a questo genere di pena capitale per aver assassinato il marito, ma non ho mai trovato riferimenti precisi né al suo nome, né alla sua età, né all’anno effettivo dell’esecuzione.

I Francesi erano molto precisi nel registrare ogni cosa, sicuramente doveva esistere qualche documento scritto, oppure si trattava soltanto di una leggenda? Tentare di svelare l’arcano era una sfida troppo ghiotta.

Le sentenze del Tribunale Criminale della Torino napoleonica, attivo dal 1802 al 1811, sono raccolte in sedici, grandi registri, conservati all’Archivio di Stato di Torino, nella sede di via Piave, il vecchio ospedale San Luigi.

Così, ho iniziato con entusiasmo a leggere quelle pagine pazientemente vergate dai cancellieri, in un francese per lo più corretto, che racchiudono le sintesi dei processi, le sentenze e le loro motivazioni, e poi anche i verbali delle esecuzioni capitali.

Della Bela Caplera, per lungo tempo, nessuna traccia. Strano se, come si dice, sia stata davvero lei la prima donna decapitata in Piazza Carlina, come continuò ad essere denominata la piazza nel periodo imperiale (mentre, nel periodo repubblicano, era divenuta per breve tempo Place de la Liberté).

Un po’ delusa, non ho tuttavia smesso di leggere, incuriosita dalle storie che si celavano dietro un fraseggio burocratico, volutamente neutro.

Ho trovato in quelle pagine progetti di vita e fallimenti di tanti uomini e donne. Sono state soprattutto le storie di queste ultime che mi hanno colpita: talvolta, mentre leggevo, quelle donne balzavano davvero fuori da quei grandi registri manoscritti, a tutto tondo, con la solitudine, magari davanti a una gravidanza non voluta, la sofferenza per i maltrattamenti, la disperazione, la miseria morale e materiale. Qualche volta, ma meno spesso di quanto si potrebbe credere, si sentiva anche la malizia e la cattiveria, il cinismo o il desiderio di vendetta. Qualche altra volta, una disarmante ingenuità.

Un bel giorno, in un caldo pomeriggio di luglio, è arrivata pure lei, la Bela Caplera, a raccontarmi di sé… ma ho voluto scrivere anche altre storie di donne che ho incontrato in quelle pagine, che mi si affollavano nella mente e che chiedevano a gran voce di essere raccontate.

Sicura come sono che la storia sia fatta di documenti da interpretare, e che il nostro passato sia importante, perché ci dice come siamo e perché siamo così, ho cercato di far parlare alcune di queste donne, di unire al rigore della testimonianza scritta di quei verbali asettici la comprensione umana, per far sentire le loro ragioni e, forse, anche il loro ultimo grido senza voce.

Piera Rossotti Pogliano

2 recensioni per La Bela Caplera

  1. Chiara Curione

    151.32.13.12
    La curiosità di conoscere quello che accadeva nei primi dell’Ottocento in Piemonte riguardo i processi e le pene commisurate alle donne accompagna la lettura del testo La Bela Caplera. Si tratta di un saggio di Piera Rossotti (EEE Edizioni Ebook) da cui emergono storie di donne tratte da atti dei processi nella Torino dei primi dell’Ottocento, quando lo stato sabaudo fu annesso alla Francia e il Piemonte diventò ventisettesima divisione militare francese, dopo la vittoria di Napoleone a Marengo. Un periodo in cui la situazione socioeconomica era estremante grave: impoverimento, mancanza di lavoro, abbandono di bambini e mendicità.
    Piera Rossotti, che è appassionata di ricerca storica, oltre che autrice di romanzi ed editrice, in questo testo mette in evidenza la condizione delle donne nel periodo della dominazione napoleonica. Partendo da una ricerca sulla prima donna ghigliottinata a Torino, denominata la Bela Caplera, ha esaminato anche la storia di altre donne da documenti conservati nell’archivio di stato di Torino.
    Fa effetto la storia di Maria Bel, soprannominata Bela Caplera. La giovane fu accusata di tentato avvelenamento e decapitata in piazza, subito dopo la sua testa mozzata fu esposta dal boia e si racconta che gli occhi fissi della morta si misero a lacrimare. Questa storia fa riflettere per la crudeltà usata verso il condannato, è l’esempio della spettacolarizzazione della morte per giustizia. Inoltre, riguardo la punizione dei crimini più gravi, come il parricidio, il condannato indossava una tunica rossa, il volto coperto da un velo nero fino all’ultimo momento, quando gli veniva mozzata la mano destra e subito dopo veniva decapitato.
    Attraverso gli atti dei processi le storie delle donne condannate emergono come dal buio di una triste esistenza. L’autrice ha mostrato con grande sensibilità quanto fosse tragica la vita di queste donne. Dalle loro risposte agli interrogatori del magistrato affiorano la sofferenza, la solitudine, i maltrattamenti subiti e la miseria morale oltre che materiale. Accanto a tutto questo si notano anche cattiveria, cinismo e vendetta, talvolta ingenuità.
    Balza agli occhi come era molto frequente abbandonare i neonati, talvolta venivano uccisi subito dopo il parto e nascosti come nel racconto “Un aborto spontaneo di nove mesi” dove la donna dice di non essersi accorta di essere incinta.
    – Come ho già detto, non è stato un parto, ma un aborto spontaneo. Ero di sei mesi, sei mesi e mezzo al massimo… sono rimasta incinta del mio secondo marito, dopo che mi sono risposata, è impossibile che sia stato prima, non eravamo… come dire? Intimi, ecco.
    – La perizia però parla di un neonato a termine, di sesso maschile. In ogni caso risulta che abbiate tenuto nascosta la vostra gravidanza. Che bisogno c’era, visto che eravate sposata e dite che il bambino è di vostro marito?
    La legislazione francese stabiliva la pena capitale per le donne accusate di aver ucciso il neonato appena partorito, la stessa pena era applicata anche per gli avvelenamenti e tentati avvelenamenti.
    Piera Rossotti con il dialogo derivante dagli interrogatori fa parlare queste donne accendendo i riflettori su di loro come a teatro, dove l’attore rievoca la storia del personaggio che interpetra. Qui le donne raccontano la loro la grande miseria materiale e morale, emergono le motivazioni dei loro crimini fatti per fame, estrema povertà. Il più delle volte si nota come le motivazioni per quei processi non sono tanto gravi, né le pene sono commisurate ai reati. Colpisce la durezza della legislazione francese in vigore: si viene arrestati e condanni a numerosi anni di lavori forzati se non alla pena capitale per aver rubato abiti e poche monete come nel racconto “La serva vanitosa”
    – Nella mia valigia c’erano soltanto cose mie! L’unica cosa che ho preso di nascosto è stato un pezzetto di stoffa a fiori, un avanzo di vestito che si era fatta la signora Sacchetti…Mi piaceva tanto e volevo cercare della stoffa uguale per farmene uno anch’io…
    – Va bene, va bene… E il gomitolo di filo di lino bianco? I signori Riva hanno denunciato il furto.
    La donna fu ritenuta colpevole e condannata a otto anni di lavori forzati.
    La vita era dura e misera per i più, il racconto “Una grembialata di castagne” ad esempio mostra come si può uccidere per un litigio sorto sulla mancata divisione della raccolta di poche castagne.
    Il libro, che si divide in due parti, la prima che mette in luce la situazione economica e legislativa dell’epoca, la seconda con le storie tratte dai documenti archiviati, si legge agevolmente. Grazie alla scrittura chiara e scorrevole dell’autrice, ci si immerge nella lettura partecipando alle vicende dei protagonisti che con dialoghi efficaci raccontano di sé.
    In questo modo Piera Rossotti ci consegna un testo di grande interesse, che fa riflettere e che consiglio di leggere per approfondire la mentalità e il costume dell’epoca.

  2. Claudio O

    Appassionante ed istruttivo
    Se siete appassionati di storia e di tutte le sfaccettature che, luminose o fosche che siano, popolano qualsiasi periodo storico questo è il libro che fa per voi. Se ardua è l’impresa di dar voce a importanti personaggi storici lo è sicuramente di più dar voce ad elementi che facevano parte del popolo. Anzi, a quella parte di popolazione che definire misera e derelitta era pura e semplice verità. Un bel lavoro di finissimo ricamo il cui risultato che la scrittrice ci offre è il comprendere, almeno in parte, il periodo storico osservato dalla parte dei più poveri

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