Joshua

16,00

Formato: Libro cartaceo pag. 210

Autore: Giuliano Tramaloni

Note sull’autore

 

COD: ISBN: 978-88-5539-244-7 Categoria: Tag: , ,

Descrizione

Questo è un romanzo sulla ricerca delle proprie radici, bisogno essenziale per gli esseri umani, e sull’amore vero, che invece può sbocciare da un incontro fortuito, ma che poi va riconosciuto e costruito.

Joshua, un medico trentacinquenne, è chiuso in una trappola, oppresso da un sentimento di abbandono che non sa gestire da quando, due anni prima, sono morti i suoi genitori adottivi, una coppia borghese della Roma bene. L’uomo realizza ora che, nonostante il loro atteggiamento sempre premuroso, i due non l’hanno mai amato davvero, ma lo hanno adottato soprattutto per colmare il loro vuoto. La sensazione di non sapere più chi sia spinge Joshua a ricercare i suoi genitori biologici, ma si sente sempre più solo, privato della sua identità, e le sue ricerche si fanno più affannose. A volte, raggiunge stati di agitazione parossistica e precipita in momenti di apatia.

L’incontro con un anziano paziente, Luigi Colombo, e con una ragazza spagnola, Silvia, lo aiuteranno a uscire dal cerchio della solitudine e alcune circostanze fortuite lo metteranno di fronte a una verità sconvolgente, ma anche di fronte al valore vero dell’amore e dell’importanza di decidere la propria vita.

INCIPIT

Joshua mi hanno sempre chiamato. E non ho mai capito il perché di questo nome di origine ebraica. Che poi mi è sempre piaciuto in realtà, Joshua.

Quella sera d’inverno a Roma c’era nell’aria un sentore di febbricitante vento minaccioso. Alla fine degli anni Settanta, qualcuno un po’ cieco e troppo edotto sparava.

Sentivo salirmi per i polsi, lungo il cappotto, un freddo pungente che mi bagnava la pelle di una gelida umidità. Però mi piaceva come quelle antiche colonne si ergevano alte verso quel manto scuro come il fondo di un vecchio barattolo vuoto e nero, che gettava nell’aria gocce dure di una ostinata pioggia.

Mi trovavo a camminare senza meta in via dei Fori Imperiali e i resti maestosi della storia si beffavano di quel cielo che sopra la città incombeva sinistro. La Colonna Traiana, con la statua sul punto più alto, sembrava volesse sfidarlo.

Raggiunsi quasi senza accorgermene una stretta stradina nel quartiere della Suburra nei pressi di via Cavour. Decisi di entrare in un locale abbastanza conosciuto, soprattutto negli ambienti di sinistra dove, forse, dei pochi che mi rimanevano, avrei incontrato qualche amico o chissà. Probabilmente era un vero e proprio circolo dove persone appartenenti a quell’area politica si riunivano. In effetti i pochi amici che avevo erano quasi tutti comunisti e qualche volta mi avevano invitato ad andarci. Ma io, forse perché mi interessavo poco di politica o semplicemente non mi andava, non accettai mai l’invito. Ma quella sera feci il mio ingresso al Sergente, così si chiamava.

Mi sedetti su un piccolo divano afflosciato, illuminato a tratti da una maldestra luce e ordinai un vino rosso.

A ogni angolo in alto del locale vi erano appesi degli uccelli in legno di diversi colori. Con le ali aperte coprivano il punto esatto in cui le linee bianche delle pareti convergevano per unirsi. Erano belli, sembravano quasi vivi. E coprivano gli angoli.

Mentre bevevo con calma, mi accorsi che in una parte del locale, su una poltrona, era seduta una ragazza che su un quaderno scriveva, forse, un libro. Mi piaceva immaginare che stesse scrivendo proprio un libro.

Ho sempre pensato che qualsiasi persona che abbia messo su un foglio delle lettere nere, punti e virgole, che si chiamasse Proust o Mario Rossi, in qualche modo avesse scritto di qualcosa che gli era mancato. Esatto! Ciò che gli era sempre mancato, più di quel che aveva vissuto, guardando bene in ogni cassetto del suo libro lo si trova. Sì certo, bisogna essere bravi a scovare quegli indizi, ma a una lettura attenta non sfuggono.

Ogni tanto si apriva la porta del locale e una gelata inopportuna entrava.

Qualche finestra sbatteva e di gocce battenti si graffiavano i vetri.

Non era male quel posto! Voltandomi talvolta a guardare il viso e le mani della ragazza alle prese con il suo manoscritto, osservavo i quadri appesi alle pareti.

Mentre mi gustavo il secondo bicchiere di vino, lanciavo rapido qualche sguardo a quella ragazza. Mi affascinava, aveva qualcosa di angelico e diabolico, difficile da inquadrare.

I quadri, o meglio, le stampe di dipinti famosi mi incuriosivano. Un bel locale Il Sergente, un po’ bohémien e un po’ dantesco.

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