Indefiniti e disuguali

12,00

Formato: Libro cartaceo pag. 90

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Autore:Matteo Bottone

Note sull’autore

 

 

COD: ISBN: 978-88-5539-313-3 Categoria: Tag:

Descrizione

La realtà è qualcosa di oggettivo, o esiste soltanto nella mente di ciascuno di noi?
Difficile domanda, a cui nei secoli tanti filosofi hanno cercato di rispondere. I personaggi “indefiniti e disuguali” di questi racconti, invece, non sempre si pongono questo interrogativo, o almeno non tutti: non certo, nel racconto Il catalogo, l’assessore alla cultura di Pontemaso, Antonello Piropo, per il quale conta soltanto la convenienza politica, anche a scapito della verità, mentre il libraio Arcibaldo Torelli conclude che la Storia non è mai neutra e che spesso è in conflitto con la memoria.
E il professore che ha sentito suonare troppe volte la prima ora, come si salva? Semplice: ama quello che fa, anche se l’amore è sovente in conflitto con la realtà della scuola.
Chissà quale realtà osserva il cagnolino rappresentato nella Visione di Sant’Agostino di Vittore Carpaccio? E l’uomo abituato a mentire anche a se stesso, che ha come unico amico un pesce rosso?
“Noi siamo quel che siamo stati, soprattutto nei primi anni di vita” osserva Pier Paolo nel racconto Un’altra storia. Senza il passato, non siamo nulla e la realtà è la sua storia con Vera. Ma è una realtà di coppia, vale per loro, non vale per gli altri.
Insomma, ognuno di noi si racconta il suo pezzetto di verità, proprio come fanno i personaggi di questi racconti.
La realtà è qualcosa di oggettivo, o esiste soltanto nella mente di ciascuno di noi?
Difficile domanda, a cui nei secoli tanti filosofi hanno cercato di rispondere. I personaggi “indefiniti e disuguali” di questi racconti, invece, non sempre si pongono questo interrogativo, o almeno non tutti: non certo, nel racconto Il catalogo, l’assessore alla cultura di Pontemaso, Antonello Piropo, per il quale conta soltanto la convenienza politica, anche a scapito della verità, mentre il libraio Arcibaldo Torelli conclude che la Storia non è mai neutra e che spesso è in conflitto con la memoria.
E il professore che ha sentito suonare troppe volte la prima ora, come si salva? Semplice: ama quello che fa, anche se l’amore è sovente in conflitto con la realtà della scuola.
Chissà quale realtà osserva il cagnolino rappresentato nella Visione di Sant’Agostino di Vittore Carpaccio? E l’uomo abituato a mentire anche a se stesso, che ha come unico amico un pesce rosso?
“Noi siamo quel che siamo stati, soprattutto nei primi anni di vita” osserva Pier Paolo nel racconto Un’altra storia. Senza il passato, non siamo nulla e la realtà è la sua storia con Vera. Ma è una realtà di coppia, vale per loro, non vale per gli altri.
Insomma, ognuno di noi si racconta il suo pezzetto di verità, proprio come fanno i personaggi di questi racconti.
La realtà è qualcosa di oggettivo, o esiste soltanto nella mente di ciascuno di noi?
Difficile domanda, a cui nei secoli tanti filosofi hanno cercato di rispondere. I personaggi “indefiniti e disuguali” di questi racconti, invece, non sempre si pongono questo interrogativo, o almeno non tutti: non certo, nel racconto Il catalogo, l’assessore alla cultura di Pontemaso, Antonello Piropo, per il quale conta soltanto la convenienza politica, anche a scapito della verità, mentre il libraio Arcibaldo Torelli conclude che la Storia non è mai neutra e che spesso è in conflitto con la memoria.
E il professore che ha sentito suonare troppe volte la prima ora, come si salva? Semplice: ama quello che fa, anche se l’amore è sovente in conflitto con la realtà della scuola.
Chissà quale realtà osserva il cagnolino rappresentato nella Visione di Sant’Agostino di Vittore Carpaccio? E l’uomo abituato a mentire anche a se stesso, che ha come unico amico un pesce rosso?
“Noi siamo quel che siamo stati, soprattutto nei primi anni di vita” osserva Pier Paolo nel racconto Un’altra storia. Senza il passato, non siamo nulla e la realtà è la sua storia con Vera. Ma è una realtà di coppia, vale per loro, non vale per gli altri.
Insomma, ognuno di noi si racconta il suo pezzetto di verità, proprio come fanno i personaggi di questi racconti.

INCIPIT

Finì per accettare con se stesso la scommessa di poter allestire una mostra storica sul suo paese d’origine, Pontemaso, curando il relativo catalogo.

Arcibaldo Torelli si era laureato nel capoluogo con una tesi che riguardava la catalogazione storica. Faceva il libraio da qualche decennio. La sua scelta lavorativa era stata un modo per rimanere accanto agli oggetti che più amava al mondo: i libri.

Il suo amore per i libri era sbocciato presto, fin da ragazzo li aveva sempre comprati, letti, annusati e poi, con la sua attività, consigliati.

La sua abitazione era sempre stata colma di libri. Molte storie sicuramente aveva vissuto attraverso le pagine dei suoi romanzi preferiti.

La grande quantità di testi aveva invaso ogni angolo della sua casa. Erano sparsi qua e là come molliche di pane per consentirgli di ritrovare la strada della propria esistenza.

La sua libreria, situata in un angolo caratteristico di Pontemaso, nel borgo storico sottostante al castello, era diventata una vera e propria istituzione. Conosciuta anche nel capoluogo e nei vari paesi vicini.

Il dottor Arcibaldo Torelli era oramai divenuto un punto di riferimento culturale. Per questo motivo, più volte, esponenti delle varie amministrazioni succedutesi negli anni l’avevano corteggiato affinché egli entrasse in politica.

Il libraio aveva sempre rifiutato con secchi no, adducendo di trovare difficile andare d’accordo con se stesso, figuriamoci in politica.

Dopo alcuni anni però volle trovare un compromesso. Decise infatti che il suo modo di entrare direttamente “in comunità sociale” della propria cittadina avrebbe potuto essere quello di svolgere una ricerca, facendo tesoro dei propri studi, per allestire un evento importante nel quale i suoi concittadini potessero rispecchiarsi nelle radici storiche del tempo trascorso.

Da qualche anno era rimasto vedovo. La sua compagna era morta in un tremendo incidente stradale in autostrada senza lasciargli nessun figlio da far crescere.

Arcibaldo si rifugiò mentalmente nel gioco degli scacchi, che diventò per lui una vera e propria passione, paragonabile soltanto all’amore per i libri.

Raffinato nei modi e di bella presenza, in possesso di una notevole cultura, non ebbe molta difficoltà nel gestire la ricerca storica che si era prefissato, frequentando vari archivi, biblioteche e musei nel territorio circostante la sua Pontemaso.

Una persona, in particolare, la direttrice dell’archivio regionale, mostrò un certo interesse, che a dire il vero non si limitò solamente alle ricerche del libraio, mettendogli a disposizione carte, microfilm di rari documenti e mappe catastali.

Arcibaldo Torelli, non immune al richiamo della bellezza e al fascino femminile, frequentò la signora in questione.

Più volte fu visto cenare con lei.

Al ristorante Iris, dal nome della proprietaria, la cena veniva servita da camerieri gentilissimi, il libraio amava quel luogo soprattutto per questo. Lo conoscevano bene, era un assiduo frequentatore, tanto da avere sempre il suo tavolo riservato in fondo alla sala vicino alla finestra.

La proprietaria, una signora di una certa età, piccola di statura e un poco in carne, spesso si rivolgeva a lui parlandogli in dialetto.

Molto discreta, non faceva mai domande sulla signora che in più occasioni vide cenare con lui.

Arcibaldo credeva nella buona educazione e in fondo era in questo un signore di altri tempi.

La signora Iris aveva più volte manifestato l’intenzione di ritirarsi e chiudere il locale, ma era dispiaciuta di perdere clienti come lui, affezionati al ristorante e alla sua cucina casalinga.

Aveva spesso voglia di colloquiare con loro.

Una sera Arcibaldo, rimasto solo nella sala come ultimo cliente, venne avvicinato dalla proprietaria che, dopo avergli chiesto il permesso di sedersi al suo tavolo, gli raccontò di quando durante il Ventennio suo padre, convinto antifascista, si rifiutò di cantare una canzonaccia del regime assieme ai camerati del paese.

«Furono momenti di grande tensione. L’intervento provvidenziale di un vecchio conoscente di famiglia, fratello del gerarca, fece calmare gli animi dei presenti prima che le cose precipitassero» e continuò:

«Ricordo con orgoglio che anche il conte di Pontemaso non aveva simpatie per il fascismo, soprattutto in seguito al patto con i nazisti. Aveva anche trovato il modo di proteggere gli oppositori offrendo loro rifugio nel castello.

Non ho mai capito perché, dopo la liberazione, l’erede della casata fuggì in fretta e furia, per non dare più notizie di sé».

Il libraio l’ascoltava con attenzione.

Per portare a compimento la ricerca storica che si era prefissato di fare erano importanti le memorie orali dei suoi concittadini. Non bastava soltanto la ricostruzione attraverso i documenti scritti.

In questo modo la mostra sarebbe stata più esaustiva possibile e il catalogo estremamente preciso e curato.

Arcibaldo, nonostante fosse stimato e benvoluto dai più, non aveva molti amici.

Uno, però, per lui era importante. L’aveva conosciuto e frequentato fin dall’infanzia. Danilo, infatti, era suo coetaneo, condividevano molte cose, ma una soprattutto, la passione per gli scacchi.

Ogni qualvolta si presentava loro l’occasione si sfidavano in partite, a volte, interminabili.

Partite giocate spesso nelle serate di giornate uggiose, quando la pioggia accompagnava il tempo della loro passione bagnando la grande vetrata della veranda di Arcibaldo.

Amava spesso ripetere: «Se mi chiedessero quali siano gli oggetti che meglio rappresentino la mia vita, non avrei dubbi, risponderei: un libro sopra una scacchiera».

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