Descrizione
Stefano Naillemi, scrittore di successo, ha alle spalle un matrimonio senza amore, finito dopo sei anni. L’incontro con Laura, una bellissima transessuale, sembra promettere una nuova ripartenza e la nascita di un amore sincero e profondo. Stefano, però, scompare improvvisamente, lasciando Laura e gli amici nell’incertezza e nella desolazione. La verità è che Stefano muore in un incidente, ma il suo cadavere, privo di documenti, non viene identificato.
La morte non è la fine di tutto, esiste una vita oltre la vita. L’uomo si ritrova in un luogo deserto, buio, inospitale: è l’inferno, in cui gli toccherà vivere per l’eternità.
Ma non c’è proprio nessuna speranza?
Stefano non accetta la nuova situazione, l’amore per Laura è troppo forte per non sfidare anche la morte e scoprirà che, anche in un aldilà ostile come l’inferno, possono esistere amore e amicizia.
Prologo
Gli si avvicinò, piegandosi leggermente verso destra. Appoggiandogli una mano sulla spalla e le labbra all’orecchio, gli chiese, in mezzo alle voci confuse, al rumore dei bicchieri e alla musica del locale, come stesse proseguendo. Stefano la guardò con l’espressione stupita di chi non si sarebbe aspettato quella domanda, non in quel momento almeno. A dire il vero non era nemmeno sicuro di averne inteso correttamente il senso. All’improvviso, senza alcun apparente motivo, divagò tentando di ricordare, senza riuscirci, una citazione di Charles Bukowski che suo padre, ormai anziano, gli ripeteva di tanto in tanto. Qualcosa sull’infermo e la solitudine. Pochi attimi e poi tornò alla realtà. Fissò la donna per alcuni secondi e quando fu sul punto di dire qualcosa, lei lo anticipò.
«A dispetto del tuo viso spaesato, il tuo sguardo sembra parlare abbastanza chiaramente, quasi come un libro aperto, per rimanere in tema» mormorò Carola, aggiungendo anche qualcos’altro che però lui non colse.
«Sono molto contento. Davvero. Le ultime pagine mi soddisfano» rispose, pensando si riferisse al romanzo che aveva appena terminato e che lei, la sua editrice, non vedeva l’ora di leggere. «Non avrei potuto trovare un finale più avvincente.»
La donna lo guardò, accennò un sorriso muovendo un angolo della bocca e gli passò una mano sui capelli come a volerglieli spettinare, se solo non fossero stati così corti. Poi, inclinò il capo e con aria maliziosa gli sussurrò: «Non parlavo del tuo romanzo. Sto parlando di lei. Di Laura».
Fece attenzione a non farsi sentire da altri, anche se, in mezzo al frastuono del locale, non sarebbe stato facile cogliere le loro parole. In realtà, il resto dei loro amici non sembrava badare a loro due. Erano tutti occupati a godersi la festa.
Tommaso, il fratello di Carola, inaugurava il suo locale. Stava andando tutto per il meglio. Anche se la serata era iniziata da poco, non c’era una sedia o un divanetto liberi.
Le persone intervenute erano amici invitati direttamente da Tommaso, da sua sorella e attraverso una serie di comunicati condivisi sui principali social. Dopo aver stretto un gran numero di mani e scambiato una battuta con gran parte dei presenti, Tommaso passò dietro al divanetto su cui era seduta la sorella. Lei gli fece un cenno e lui le sussurrò qualcosa abbassandosi verso di lei e appoggiandole le mani sulle spalle. «Cosa ne pensi?»
Carola lo baciò sulla guancia e gli fece i complimenti, poi, rivolgendosi agli amici ammise che sulla location era riuscito a mantenere l’assoluto riserbo persino con lei. «Il mio fratellino non si è fatto scappare il minimo indizio.»
«La scelta della chiesa sconsacrata è indovinatissima, e l’hai sistemata in maniera eccellente. Bravo» disse Stefano. «E per quanto riguarda il resto, devo ammettere che gli snack sono eccezionali e la birra davvero ottima» aggiunse indicando un bicchiere vuoto di fronte a lui.
«È irlandese. So che vai matto per l’ambrata. Te ne farò recapitare una cassa, appena mi darai l’indirizzo della casa nuova» aggiunse Tommaso, che nel frattempo gli si era avvicinato, dandogli una pacca sulla spalla e facendo l’occhiolino alla sorella. Stefano alzò il pollice e sorrise.
«Anche il vino è buonissimo» aggiunse Carola.
«Questa bottiglia l’ho stappata per te. Da sorseggiare con concentrazione» le sussurrò sorridendo.
«Perché?»
«Quindici gradi.»
«Caspita. Provenienza?»
«È un vino carico di storia. Proviene da Montefalco, un piccolo e meraviglioso borgo umbro.»
All’interno del locale, arredato in modo che risultasse una via di mezzo tra il pub irlandese e la paninoteca italiana tanto in voga negli anni ottanta, era stato inserito un soppalco per consentire al locale di svilupparsi su due livelli. La chiesa risaliva al XIV secolo, ed era situata poco distante dalla stazione ferroviaria e da una delle più importanti vie commerciali della città. La scelta di un ex edificio sacro, ormai sconsacrato, fu una cosa che colpì tutti.
«Ha ragione mio fratello» continuò poi Carola. «Quando pensi di inaugurare la nuova casa?»
«Non saprei. L’appartamento è molto piccolo. Avevo pensato di invitarvi pochi per volta. Ci terrei comunque a mostrarvi dove abito adesso.»
D’un tratto, senza rendersene conto, gli occhi di Stefano guizzarono e lo sguardo andò a posarsi prima sul tavolo di fronte, tra i bicchieri e i piatti ancora pieni di ogni genere di pietanza, poi oltre Carola; fece una carambola impossibile e rimase fermo un istante su un punto qualsiasi sulla parete alla sinistra di lei, come se avesse visto qualcosa o qualcuno e poi, lentamente, tornò a fissarsi sulla donna. Per una frazione di secondo si era smarrito nei suoi pensieri e questi erano tornati a immaginare il viso di Laura, la donna che aveva iniziato a frequentare da qualche settimana.
«Mio Dio, Stefano! Ti stai innamorando?» esclamò la donna, felicemente sorpresa.
Stefano avvampò. All’improvviso si sentì strano, come se fosse stato messo all’angolo dalla domanda dell’amica e si sentisse nudo, riflesso nello specchio della sua coscienza. Non si era ancora preso l’impegno di abbinare Laura al tema dell’amore. In realtà non lo aveva mai fatto nemmeno con le altre donne della sua vita, con nessuna. Forse, nemmeno con la sua ex moglie. «Laura è incredibile» rispose riprendendosi. «È alta, intelligente, è bellissima da togliere il fiato, ha un fascino unico ed è speciale» aggiunse abbassando lo sguardo sulla parola speciale.
«Anche se non lo vuoi ammettere, non ti ho mai visto così preso» replicò lei.
Stefano non replicò. Prese il cellulare dalla tasca interna della giacca perché per abitudine non portava mai l’orologio al polso. La donna fu sul punto di chiedere di più, ma la reazione dell’uomo alla vista del display, la frenò. «Accidenti!» mormorò tra sé dopo aver guardato l’ora.
Era in ritardo. Salutò Tommaso con una stretta di mano, l’amica con un bacio sulla guancia e gli altri del gruppo aiutandosi anche con ampi gesti delle mani, prese la giacca blu che aveva appoggiato su una delle poltroncine e, dopo essersi aperto un varco tra gli ospiti, uscì velocemente dal locale. Appena fuori respirò a pieni polmoni l’aria fresca della sera, girò a destra senza riflettere e, abbottonandosi i polsini della camicia di cotone celeste, cominciò a camminare speditamente. Era dispiaciuto per essere dovuto andar via così presto, ma non poteva perdere l’ultimo treno perché quel giorno i taxi erano in sciopero. Quando guardò l’ora sul display della banca che aveva di fronte, se la prese con se stesso, per non aver prestato maggiore attenzione allo scorrere del tempo.
Era una notte ancora giovane, anche se dava l’impressione di correre più velocemente del solito. Una notte di luna e di stelle, simile a tante altre tra quelle che ricordava e che aveva trascorso piacevolmente con i suoi amici. Era stata una notte di parole e di scherzi, di risate e di silenzi. Una notte con Laura in testa.
La città, pulsante ancora di vita e di traffico, era ricamata dalle luci dei negozi ancora aperti, dal rumore dei motori delle auto e delle moto, e tenuta per mano dalle risate di alcuni ragazzi fermi fuori da una pizzeria.
Anche se si vide costretto ad aumentare l’andatura, la fretta non gli impedì di pensare alla serata: la compagnia era stata piacevole, come sempre, e il buffet, consumato in parte in piedi e in parte seduto chiacchierando amabilmente, soprattutto con Carola, era andato al di là delle più rosee aspettative. «Ha ragione Tommaso. Non posso più aspettare. È tempo di inaugurare il mio nuovo appartamento» pensò tra sé. Prestò attenzione a non urtare le altre persone che incontrava sul marciapiede.
L’ultimo convoglio per casa sua stava probabilmente per lasciare la banchina proprio in quell’istante. Spesso i treni partivano in ritardo, ma una strana sensazione gli suggerì che questa volta sarebbe partito in perfetto orario. Scese velocemente le scale per raggiungere il sottopassaggio.
Un gruppo di persone davanti a lui stava invece risalendo, ridendo. Stefano dovette rallentare e spostarsi su un lato per scansarle.
Quei pochi secondi persi gli sembrarono un’eternità. Appena superato il gruppo, riprese velocemente la sua discesa. Fu allora che scivolò su un gradino su cui era stata rovesciata una sostanza densa e scivolosa: del miele o forse della marmellata. Perse l’equilibrio, riuscì ad aggrapparsi al passamano, ma il piegamento innaturale della spalla gli procurò una tale fitta che lo costrinse a lasciare la presa. Cadde all’indietro e picchiò violentemente la testa su uno dei gradini. Per una frazione di secondo vide solo buio, come se ci fosse stato un improvviso blackout. Dopo un tempo che non avrebbe saputo quantificare, si ritrovò inspiegabilmente in piedi.
Mentre si teneva premuta la mano destra contro la nuca dolorante, percorse il breve corridoio e dopo i tornelli, che non ricordava di aver oltrepassato, scese l’ultima rampa di scale verso la banchina. Era talmente seccato per il contrattempo che non si era accorto di aver perso il portafogli. Probabilmente gli era caduto dalla tasca interna della giacca mentre scendeva le scale o cadeva sbattendo la testa. Inspiegabilmente si sentiva strano, più leggero, persino più veloce, ma questo non gli consentì di raggiungere il treno prima che le porte chiudessero. Purtroppo giunse a pochi centimetri dalle carrozze, tanto vicino da poterle toccare, se solo avesse voluto. Quel piccolo contrattempo gli fu fatale.
«Fermati! Ti prego, apri le porte» urlò con quanto fiato aveva in gola in direzione del macchinista. La sua voce risuonò in modo strano. Quasi non la riconobbe. Per questo si voltò di scatto, per sincerarsi che quelle parole non fossero state pronunciate da qualcuno alle sue spalle. Era solo. Per qualche metro tentò anche di rincorrere inutilmente il treno. Poi si fermò e rimase immobile nella speranza che l’uomo avesse sentito il suo richiamo o almeno lo avesse visto tentare una goffa rincorsa, ma il convoglio non rallentò e dopo alcuni secondi Stefano vide le carrozze di coda passargli accanto acquistando velocità.
«Maledizione!» sussurrò soffocando la rabbia e piegandosi su se stesso, appoggiando le mani sulle ginocchia nel tentativo di riprendere fiato. Nonostante fosse ben allenato, la camminata sostenuta e la successiva corsa imprevista giù per le scale lo avevano sfiancato, anche perché aveva terminato da poco di cenare e bere con gli amici. Era furioso. La piacevole serata era ormai rovinata. Per maggiore sicurezza verificò sui tabelloni affissi, vide che non sarebbero passati altri convogli e che il successivo sarebbe partito dal deposito alle 6 del mattino, all’incirca cinque ore più tardi. Rassegnato, si voltò verso i binari ora vuoti. «Come ha fatto a non vedermi?» si domandò tra sé ripensando al macchinista che non si era fermato.
A quel punto doveva pensare, e farlo in fretta.
Prima di ogni altra cosa doveva uscire da lì, perché tra poco avrebbero chiuso i passaggi, lo avrebbero visto nelle telecamere a circuito chiuso e con ogni probabilità sarebbe intervenuta la polizia ferroviaria perché, come sapeva, nessuno era autorizzato a transitare o sostare oltre i tornelli dopo l’orario di chiusura, per ragioni di sicurezza. Non aveva alcuna intenzione di mettersi in altri guai. Normalmente il treno copriva la distanza fino a casa sua in una decina di minuti, ma ora, se non avesse trovato un passaggio, avrebbe dovuto camminare di notte, per buona parte del tragitto in aperta campagna, per più di un’ora. Quest’ultima ipotesi non lo spaventava affatto perché non era il tipo da scoraggiarsi o preoccuparsi per così poco. Era solo irritato per non essere riuscito a salire su quel maledetto ultimo treno. Anche la distanza non lo preoccupava: se avesse avuto le sue scarpe da running sarebbe potuto arrivare a casa più speditamente. Era allenato da anni di corsa con qualsiasi condizioni di tempo. Gli piaceva correre perché lo rilassava fisicamente e mentalmente e inoltre gli piaceva la sensazione unica di sentire il suo corpo allenato e pronto.
Quell’idea fissa di essere pronto l’aveva sin da ragazzo, anche se non aveva mai capito o scoperto a cosa realmente si riferisse. Dopo tanti anni l’aveva un poco allontanata, anche se non aveva mai rinunciato a mantenersi in forma, correndo per un’ora almeno due o tre volte la settimana. Immediatamente dopo quella riflessione, sorrise: se avesse potuto optare per la corsa, quella sarebbe stata la prima volta in notturna.
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