Descrizione
Il volo delle coppie è un racconto in dodici episodi, che vedono coinvolte dodici coppie cui nell’arco temporale di un anno succederanno degli avvenimenti eccezionali che stravolgeranno le loro vite. Sarà solo un caso? Ci saranno delle forze che periodicamente si adopereranno per propiziare questi accadimenti? Tutto alla fine sarà cambiato, e solo alla fine tutto sarà svelato. La penna di Sergio Rustichelli è ironica, a tratti graffiante, quasi sempre impietosa.
INCIPIT
L’unione fa la forza: un capodanno diverso.
Prologo
Molte persone rimpiangono per tutta la vita una possibile carriera artistica non intrapresa, per cui la natura prodigalmente li aveva dotati di un qualche particolare dono fin dalla nascita; invece le costrizioni dei genitori, le condizioni ambientali della loro giovinezza hanno posto un freno o spesso addirittura un ostacolo insuperabile a esprimere questa loro attitudine. La propensione artistica però rimane inalterata anche se inespressa e a volte può riemergere in modo inaspettato anche dopo molti anni di abbandono o di scarsa pratica, e così essere valorizzata.
Sta per essere narrata una straordinaria avventura raccontata in cinque tempi e avvenuta in occasione di un memorabile capodanno, che ha visto come protagoniste due coppie, che ritenevano di aver raggiunto un equilibrio stabile nella loro tranquilla e routinaria esistenza.
Una coppia fa parte di quella schiera di individui che posseggono naturalmente delle qualità artistiche intrinseche sopite, che le hanno sviluppate gradualmente ma con costanza nel tempo per una loro intima soddisfazione senza fino a questo momento poterle esibire e fare apprezzare a un pubblico vero e proprio. L’altra coppia invece è coinvolta occasionalmente nelle vicende per la sua frequentazione assidua ed amichevole della prima e sarà involontariamente lo spunto iniziale per l’avventura.
In tale occasione si determineranno dei fatti straordinari per cui la vita di tutti i protagonisti risulterà da quel momento in avanti profondamente cambiata.
Primo tempo: due coppie diverse
Escono da casa che sono appena scoccate le otto di sera; la coppia è molto elegante. Entrambi hanno superato il traguardo dei sessant’anni, ma sono molto ben portanti. Il maschio, più basso della moglie di una decina di centimetri, con radi capelli mossi tendenti al ricordo di un passato biondiccio, occhi grigio-azzurri, dotato di un fisico asciutto e tonico, dal passo slanciato e nervoso, ex legale di una multinazionale, responsabile del brand fino al suo pensionamento: si tiene in forma con corse quotidiane mattutine che gli hanno permesso di terminare due mesi or sono la sua settima maratona, e questa volta la più prestigiosa, nientemeno che quella di New York: cinquecentoventisettesimo, in sei ore e diciotto minuti. Niente male per i sessantasei anni compiuti a giugno, il suo nome è Pierluigi, per tutti Pigi.
La donna che lo accompagna è sua moglie; dalla zazzera biondo platinata, e dall’enigmatico sguardo ceruleo d’origine friulana (gli estranei la scambiano facilmente per un’avvenente donna baltica, aiutati anche dal nome lievemente esotico di Erika) con una taglia che non arriva alla trentotto, maniaca del fisico asciutto, per cui potrebbe essere pronta per sfilare in passerella, attività che del resto ha sempre regolarmente svolto sino all’età di quarantatré anni.
L’incontro avvenuto una ventina d’anni prima con Pierluigi, più avanti di lei nell’età di tre anni, anch’egli libero da impegni coniugali, aveva posto fine alla sua condizione di top model ormai in declino, dai tanti corteggiatori senza mai nessun prescelto, e aveva sancito il suo ritiro dalle passerelle, per svolgere delle consulenze nel mondo della moda, occupazione che la impegnava ancora ora, per agenzie in cerca di nuove modelle. La coppia, vista l’età cui erano giunti a scambiarsi il fatidico sì, aveva rinunciato concordemente a riprodursi, con una vera perdita per il genere umano, perché sicuramente ne sarebbe derivato un ottimo prodotto. I due possedevano però in compenso entrambi un’infinita moltitudine di nipoti cui devolvere ampi spazi della loro sfera affettiva come zii e padrini. Insomma, conducevano una vita tranquilla, non turbata da screzi interpersonali, con piena unità d’intenti e conformità di gusti, accompagnati da un’ottima condizione mentale e fisica, in un clima di tranquillità economica rasserenante.
Da anni si accompagnavano con una coppia di amici quasi coetanei: vacanze assieme, serate private e tornei di burraco in giro per il mondo sempre con loro, una seconda casa al mare in Costa Azzurra, nello stesso edificio, a Golfe-Juan.
Le coppie appaiono complementari l’una all’altra: quanto la prima si dimostra riflessiva, sedentaria e amante di attività poco innovative, metodica nei propri rituali, tanto l’altra si dimostra sportiva, dinamica e aperta ai piaceri indotti dall’interesse prevalente del momento. Specifichiamo meglio tale affermazione: se i primi amano fare una nuotata di due ore in mare tutti i giorni a ore fisse partendo sempre dallo stesso posto sulla spiaggia sotto l’ombrellone, gli altri preferiscono una corsa con il loro potente e velocissimo motoscafo quasi da mille cavalli alle ore più impensate, magari in piena notte. La loro ‘barca’: rappresenta un traguardo raggiunto dopo molti acquisti seriali di natanti di valore sempre crescente, una vera e propria escalation nautica condotta a termine con sagacia e perseveranza. Ed eccolo ora, finalmente a loro completa disposizione, l’oggetto del desiderio. Un vero gioiello che riecheggia le imbarcazioni d’epoca, con lo scafo in legno, con gli interni di pelle bianca, dalle linee filanti e dal rombo sibilante dei due motori entrobordo da trecentottanta cavalli l’uno: uno splendido Aquariva, comprato molto bene d’occasione. Lo conduce con perizia il proprietario, ex manager di un ente pubblico da dieci anni in quiescenza lavorativa (con una pensione d’oro), accompagnato dalla sua fedele consorte, con costanza al seguito del marito onnipotente e ridondante di iniziative sempre esclusivamente hobbistiche. Donna minuta, dai lineamenti gentili, contrasta con il suo aspetto e le sue movenze la figura possente e vigorosa del marito. Sposandosi, aveva sacrificato la sua indole artistica e creativa di fine pittrice (era laureata in lettere con specialità in arte moderna, ed era stata dotata di una vocalità sublime e intonata, mai sfruttata a dovere), per seguire il marito nelle sue varie peregrinazioni nel mondo per i frequenti cambi di sede lavorativa. Diplomata in conservatorio in canto e pianoforte, aveva coltivato saltuariamente la sua voce da contralto che incredibilmente fuoriusciva da quel piccolo corpicino: un contrasto stupefacente e sempre da tutti molto apprezzato. Per tutti, Riccardo e Clarabella erano semplicemente Ric e Clara. Avevano una figlia sposata con un brasiliano, che viveva a San Paolo con due nipoti oramai grandi e che vedevano di rado: praticamente erano svincolati da lacci familiari.
Secondo tempo: un invito al castello
Ric e Clara erano già usciti di casa raggiungendo la stessa meta di Pigi ed Erika sin dal giorno precedente. Il fatto era inconsueto poiché era un’abituale tradizione trascorrere assieme la sera di capodanno, e quindi recarsi congiuntamente alla festa con un’unica vettura. Da lungo tempo aspettavano e festeggiavano l’anno nuovo con alcuni comuni amici, ora in casa di uno, ora in casa dell’altro, con lo stesso copione. Loro quattro si recavano in anticipo sul luogo della festa e disponevano l’occorrente per lo spettacolo: un computer con le basi musicali e il relativo amplificatore, parecchi strumenti a fiato e la voce di Clara erano gli ingredienti della serata. Prima della cena si esibivano nell’esecuzione di una ventina di pezzi accuratamente selezionati e preparati; Clara cantava sulla base musicale scaricata dei brani prescelti, e Ric cercava di accompagnare la consorte con delle note quasi intonate. Da sempre tutti ammiravano le esibizioni della moglie e tolleravano come inevitabili le esecuzioni del marito, che però era indispensabile per produrre lo spettacolo dal punto di vista tecnico-organizzativo.
Quest’anno le cose erano andate in modo totalmente diverso.
All’inizio del mese di novembre, dopo un lauto pasto, Clara e Ric si crogiolano al sole ancora ardente, mollemente distesi sugli eleganti materassini color crema del loro potente motoscafo ancorato di fronte alle isole Lerins al largo di Cannes. Ci sono poche altre imbarcazioni attorno, ed al risveglio, dopo un breve sonnellino, Clara nemmeno troppo sommessamente inizia a cantare ad occhi chiusi alcuni brani tratti da operette che ha intenzione di inserire come novità nel suo nuovo spettacolo di capodanno, per sottoporle al giudizio di Ric. Dopo pochi istanti dalla fine della terza aria intonata, sono destati dalla loro torpida occupazione melodica da un improvviso aumento dell’attività ondulatoria del mare; si rizzano, e scorgono un tender avvicinarsi minacciosamente alla loro imbarcazione. Ric si alza e si pone sul chi vive; alla guida c’è un giovane ragazzo che indossa una maglietta blu scura con la scritta “Tropical Island”, che è il nome di quello splendido yatch ancorato prima del porto turistico di Cannes da alcuni giorni: una favolosa ‘barca’ di un’ottantina di metri con due ponti e piattaforma per elicotteri. «I coniugi De Granier sarebbero lieti se vi potessero offrire il tè fra un’ora nel loro battello; se volete vengo a prendervi io o se preferite potete raggiungerci con i vostri mezzi.» Sono le chiare parole del marinaio che legge un biglietto che sporgendosi consegna a Ric. Clara e Ric si guardano stupiti, e senza neppure consultarsi, per voce dell’uomo accettano la proposta: «Certo, veniamo con i nostri mezzi».
«Chi sono ’sti De Granier» chiede Clara «e che vorranno mai da noi?»
Ric solleva le spalle, allarga le braccia e bofonchia: «E chi lo sa?»
Passa rapidamente il tempo; alle cinque meno dieci l’entrobordo si stacca veloce dal suo ancoraggio e rapidamente si accosta al Tropical Island. I due si sono agghindati al meglio, ma non si possono certamente definire eleganti e si sentono lievemente in soggezione quando, dopo aver assicurato il loro motoscafo (poco più lungo del tender del battello…), salgono a bordo del lussuosissimo yacht. Sul ponte li accolgono i coniugi De Granier, e presto si svelano le identità: sono banchieri svizzeri, parlano discretamente l’italiano ed hanno sentito nel trasferirsi in tender dall’isola di Saint-Honorat alla loro ‘barca’ il canto intonato da Clara.
Folgorazione immediata.
Sicuramente deve essere una professionista, non si può trattare di una dilettante, vorrebbero poter aver la sua presenza nel loro castello situato sulle alture di Grasse possibilmente per la sera di capodanno per partecipare a uno spettacolo. Stupore, meraviglia, orgoglio, senso d’inadeguatezza: tutti questi sentimenti si accavallarono nel cuore di Clara, cui non venne altra parola che un sincero: «Grazie, ma io stavo solo provando dei pezzi per il concerto della sera di capodanno». De Grenier guardò la moglie, e affermò solenne: «Te l’avevo detto che era difficile che poteva (lo svizzero non usava bene i congiuntivi) cantare per noi, aveva già altri ingaggi. Senta, non so cosa dica il suo contratto per quella sera, ma cinquantamila euro bastano per sciogliere lei da quell’impegno?» Clara tentò di iniziare a spiegare che non era mai stata una cantante professionista, che la sua esibizione per il capodanno sarebbe stata fatta nel solito modo gratuito in casa di privati, e che la sua paga consisteva nel cotechino con le lenticchie e il panettone con lo spumante portati dagli amici che annoiati si degnavano di ascoltare la sua performance canora. Intervenne decisamente Ric: «Possiamo attuare una clausola rescissoria del precedente contratto e cantare per voi: ma siamo in due, perché io suono degli strumenti a fiato e mi occupo delle incombenze tecniche dell’esecuzione, e poi ci sono da inserire due aiutanti di supporto tecnico indispensabili per l’esecuzione del concerto. A queste condizioni contrattuali, quindi con un ritocco della cifra proposta, penso che si possa accettare». Le unghie di Clara quasi penetrano nella carne del braccio di Ric per l’emozione e per un certo disappunto procuratole da questo travisamento della realtà. I due svizzeri sorridenti si scambiano un’occhiata d’intesa, e De Grenier dice: «È sufficiente un’aggiunta di diecimila euro per soddisfare le vostre necessità?»
«Sì. Direi di sì» laconicamente chiosa Ric; dopo trenta minuti e un delizioso tè con pasticcini, scendono dall’imbarcazione, dopo aver firmato un regolare atto d’impegno di produrre uno spettacolo per il trentuno sera del mese di dicembre dell’anno corrente presso il castello de La Bave, in Grasse, composto da venti brani musicali concordati con i signori De Grenier, da parte della cantante Clarabella Setti accompagnata dagli strumenti a fiato del marito Riccardo Bellora, con l’aiuto dei tecnici e sceneggiatori Pierluigi ed Erika Perlini, per il compenso forfettario di sessantamila euro.
Rientrano in porto lentissimi in preda a forti turbamenti. Attraccano al loro posto-barca con estrema difficoltà, tanto che i vicini di posto, cari amici, si sentono in dovere di offrire loro un aiuto e di domandare se fosse successo qualcosa di negativo, vedendoli così turbati: ma non ottengono soddisfazione alle loro domande.
La notizia dell’esibizione al castello è immediatamente comunicata agli amici Perlini, ma è presentata come un cordiale invito ottenuto mediante un fortuito incontro, ed esteso anche a loro due su specifica richiesta: seguono ovviamente profusi ringraziamenti per la splendida opportunità di trascorrere assieme finalmente un capodanno “diverso”. Non è fatto nessun cenno al compenso pattuito. La notizia dell’invito a trascorrere il capodanno con spettacolo al castello fu diramata, con un vero senso di orgoglio e quasi di rivincita personale, agli abituali amici utilizzatori, a volte fastidiosamente distratti, dell’arte del duo canoro-musicale, che appresa la notizia si sentirono immediatamente defraudati di un loro diritto naturale acquisito dalla tradizione. Venne così disdetto il tradizionale incontro cittadino di fine anno, e la coppia si buttò a capofitto nella scelta dei brani da proporre ai facoltosi committenti. Esattamente un mese prima della fatidica data, dopo un invito a pranzo nel castello di La Bave, fu approvata la lista dei brani da esibire per il concerto con pochissimi cambiamenti dalla proposta iniziale, e furono in quell’occasione presentati, con adeguato tatto, gli amici Perlini, come indispensabili collaboratori musicali. In quell’occasione fu anche discretamente consegnato un anticipo in contanti di diecimila euro. Fu anche fissata una prova tecnica nella sala del concerto per il ventisette di dicembre, che venne regolarmente svolta, con disposizione ottimale degli strumenti dai quattro artisti… con risultati soddisfacenti.
Tutto procedeva meravigliosamente, alla grande, e furono fissati gli ultimi dettagli: i coniugi Setti-Bellora avrebbero dovuto raggiungere il castello fin dal giorno precedente, il trenta, mentre i ‘tecnici’ Perlini solo alla sera del concerto; questo era fatto con lo scopo di proteggere la deliziosa voce di Clarabella da eventuali malaugurati affaticamenti impropri. Così la giornata del trentuno passò lenta e tutta dedicata a preparare la voce di Clara al meglio, e a predisporre gli strumenti di Ric, pronti per il concerto previsto per le ventidue: così è giustificata la nostra visione di Pigi ed Erika nell’atto di uscire verso le venti dal loro appartamento di Golfe-Juan elegantemente agghindati, per salire sulla Mercedes nera con autista mandata dai De Grenier che doveva condurli sino al castello per cimentarsi nello svolgere la loro… fittizia opera di assistenza al programma musicale.
Terzo tempo: un equivoco
La lussuosa limousine si muoveva con silenziosa andatura nello scarso traffico delle ore che precedono le ultime briciole dell’anno; gente frettolosa che rientra a casa o si accinge ad avvicinarsi alla sede dei festeggiamenti affolla le strade. Il tempo di percorrenza è calcolato sui quaranta minuti; fuori c’è una lieve pioggerella, e l’aria fresca che proviene dal mare è carica di umidità. L’autista indossa una livrea scura; è un ragazzo giovane, si presenta: il suo nome è Daniel, figlio d’italiani emigrati in Francia. Parla la sua lingua madre discretamente, con un notevole e spiccato accento francese, e si mette a loro completa disposizione; come si è avviata la vettura, domanda ossequiosamente ai suoi passeggeri se gradiscono ascoltare un qualche tipo di musica, e alla risposta: «Sì, ci piacciono delle musiche strumentali classico-moderne», si leva immediatamente diffusa da fedeli altoparlanti nascosti un’incantevole serie di melodie appropriate. Erika e Pigi sono al colmo della soddisfazione sensoriale: l’uomo prende teneramente la mano della moglie che sente gelida. «Non sei mica preoccupata, cara, stiamo vivendo un’esperienza da favola, rilassati e goditi il momento.»
«No, non sono preoccupata, ma sono impressionata da quest’avventura, mi sembra tutto impossibile, inverosimile.»
L’andatura si fa più veloce, oramai si è fuori dal traffico cittadino, i due passeggeri si rilassano e ammirano il passare dei primi boschi di conifere che sfilano lungo il percorso in salita: Erika apre lievemente il finestrino per assaporare l’aroma balsamico emesso dalle conifere. Ogni tanto si notano agli ingressi delle proprietà delle sontuose installazioni luminose innalzate per le feste, che fanno bella mostra di sé su alcuni alberi di Natale tutti luccicanti e colorati, che illuminano come lampi permanenti il buio profondo della notte per brevi tratti di strada. «Sai, m’immagino le facce degli amici che si stanno preparando per il cenone» sussurra Erika a Pigi. «Sì, le vorrei proprio vedere: ci penseranno, ma certo non possono arrivare nemmeno a sfiorare con la mente l’esclusività dell’avventura che stiamo vivendo. Non ho pensato di portare la macchina fotografica, ma scatteremo qualche immagine col telefonino, e poi speriamo che ci sia una ripresa ufficiale della serata: ci facciamo fare una copia e poi gliela proiettiamo. Voglio proprio vedere la meraviglia e l’invidia sui volti di tutti…» Ed entrambi prorompono in un delicato e compiaciuto risolino. Poi fra la coppia calò il silenzio: per entrambi quell’evasione dal quotidiano rappresentava un tuffo nel passato. Per Pigi quante conclusioni di ‘convention aziendali’ erano scivolate su eleganti limousine alla volta di piacevoli convivi in luoghi esclusivi e appartati con esaltanti e memorabili dopocena… inconfessabili. Per Erika, quanti ‘dopo défilé’ erano finiti in intimi ed eleganti rifugi di lusso… con indimenticabili ed eccitanti conclusioni… inconfessabili: per entrambi un affollarsi di molteplici ed emozionanti ricordi di un lontano passato, non condiviso con il proprio attuale partner, per cui era meglio pudicamente tenerli celati in sé. In lontananza s’intravvedono le luci di Grasse, e il traffico si è fatto lievemente più intenso; l’auto rallenta, svolta ad angolo retto per una stretta stradina in ripida salita e inizia il suo lento e silenzioso ascendere.
«Daniel, ci siamo?» Pigi rompe il silenzio che dura da qualche minuto essendo finita anche la melodia emessa dagli altoparlanti. «Oui, monsieur, nous sommes presque arrivés», risponde sovrappensiero in francese Daniel. Poi prosegue quasi sottovoce: «Merde… mi scusino signori, ma c’è un feu rouge volant pour des travaux en cours de progrès… in corso… anche nel fine d’anno, mannaggia» e arresta la grossa vettura un po’ prima del semaforo provvisorio disposto per il senso unico alternato in una piccola piazzola, in modo da far scorrere agevolmente le auto che, con il verde, stanno per scendere nella direzione opposta. Come l’auto si ferma, si percepisce un sordo botto, e uno scossone fa sobbalzare i passeggeri e l’autista.
Daniel furibondo si volta: «Tutto bene, signori, un imbécile ci ha urtato, deve essere un furgone, sarà uno già ivre, scendo, vado a vedere, non vi movete.»
Senza dire una parola, Ric ed Erika si scambiano uno sguardo preoccupato, e quasi gridano all’unisono a Daniel che scende: «Ne vous inquiétez pas!» E invece la preoccupazione doveva esserci per loro, e grande. Si spalancano simultaneamente le due portiere posteriori che erano rimaste sbloccate; Erika riesce a emettere un sibilante sussulto, mentre Pigi non termina la frase: «Ma che dia…» Delle robuste mani stanno già comprimendo con forza i loro nasi con dei batuffoli impregnati d’etere, e i loro corpi ‘cloroformizzati’ presto si abbandonano inermi nelle braccia dei brutali assalitori. Poi cala l’oblio.
«Chissà quanto tempo è trascorso; apro gli occhi ma è tutto buio, non vedo niente; la bocca è incollata da una tenace forza adesiva, non riesco a parlare; posso muovere i piedi ma le mani sono strettamente legate dietro alla schiena, e mi fa un male terribile la testa, sono pervaso da un senso di grande nausea, e sto estremamente scomodo su questo pavimento così duro.» Questi erano pressappoco i comuni pensieri che correvano nelle teste di Erika e di Pigi, che giacevano incappucciati con un fitto passamontagna calato in testa, con la bocca chiusa ermeticamente da un tenace nastro adesivo, sdraiati sul fondo di un furgone e con le mani serrate da stretti lacci dietro alla schiena. Sentivano per l’ansito di un respiro sibilante vicino di non essere soli, e provarono a emettere dei suoni gutturali. Siccome a volte nelle relazioni coniugali quotidiane svogliatamente si rispondeva a qualche domanda del compagno con questo sistema fonetico, non fu difficile che il suono (rumore) prodotto dall’altro essere vivente fosse proprio riconosciuto come quello appartenente al coniuge. E questo rasserenò entrambi: erano vivi ed assieme. Non poterono invece rendersi conto che ai loro piedi giaceva inerte il povero Daniel, colpito duramente con uno sfollagente e pertanto incosciente e inanimato. Poco alla volta le loro menti si andavano rischiarando, e ad entrambi l’accaduto pareva del tutto irreale ed incomprensibile: «Ma come, siamo stati sequestrati a due passi dall’arrivo al castello… da chi… e che cosa potranno mai volere da noi?»
Questi pensieri furono immediatamente interrotti dal rumore del portellone posteriore che si apriva e faceva entrare una folata d’aria fresca. Una voce bassa e profonda li apostrofò: «Ne faites pas de coups risqués, maintenant je lève votre bonnet, bon compagnon du Kazakhstan, monsieur Aleksander.» E immediatamente una veloce mano sfilò il passamontagna dalla testa di Ric; così il lampo del flash, che subito seguì alla liberazione dell’estremità cefalica dell’ostaggio, ne immortalò le sembianze con gli occhi spalancati e accecati dal lampo folgorante, attorniato da un curioso e grottesco alone di scarmigliati capelli biondicci: una visione terrificante, che subito fu occultata per l’immediata reintroduzione del cappuccio occludente sulla povera testa del prigioniero. ‘Sbam’, si richiude violentemente il portellone, ma dopo veramente un attimo, si riapre: sgarbatamente è quasi strappato il cappuccio dalla testa di Pigi, e con esso viene anche estirpato qualche ciuffetto dei radi capelli che gli fanno sbottare un acuto ma soffocato: «Ahi!» Un ceffo butterato lo osserva: «Ma chi è questo tizio?» e ricaccia con violenza il cappuccio; dopo aver sfilato e subito rimesso il passamontagna anche a Erika, che sviluppa un’aureola più vasta e completa del marito perché con capigliatura ben più consistente, si rivolge urlando ad uno dei due rapitori: «Scemo, idiota, stupido che non sei altro (e altre parole che per pudore non vengono riportate per intero…): avete pizzicato due che non sono l’obiettivo». «Ma capo, abbiamo appena mandato il messaggio a De Grenier con la foto del prigioniero e la richiesta del riscatto cash di dieci milioni entro mezz’ora: come si fa adesso?» Questa conversazione veniva effettuata in russo fra uno che sembrava il capo e uno dei due rapitori, ma per ovvie ragioni lessicali di miglior comprensione la riportiamo tradotta. Il capo-butterato, di nome Gregory, impreca in russo, (ma non si può proprio tradurre)… e si allontana.
Cos’era successo in realtà? Il Barone De Grenier, nelle sue molteplici attività finanziarie, aveva sempre intrattenuto con un oligarca russo ottimi rapporti commerciali, che andavano dal piazzamento d’armi nelle zone di guerra, a contratti per forniture energetiche in varie nazioni: ma da più di un anno tale collaborazione si era di molto raffreddata per l’intromissione di Aleksander Kabashvilij, potente e ricchissimo petroliere kazako che aveva soppiantato, offrendo migliori condizioni contrattuali, il precedente alleato russo, che si era molto risentito. Il piano era semplice, bastava rapire il suddetto concorrente kazako invitato alla festa di fine anno dal suo nuovo socio e ottenere un riscatto dal banchiere svizzero che fosse compatibile con l’ammontare dei contanti usualmente tenuti in cassaforte: il kazako non doveva farsi male, anzi sarebbe stato subito rilasciato la sera stessa, ma sicuramente il sequestro avrebbe rappresentato un forte avvertimento, una minaccia di eventuali altre azioni di rappresaglia ben più drastiche oltre ad un piccolo risarcimento per il mancato guadagno. Il fatto avrebbe potuto essere in seguito utilizzato come merce di scambio per il futuro, allo scopo di favorire un ripensamento nei rapporti commerciali dello svizzero a favore dell’ex alleato russo. La limousine dei malcapitati Pigi ed Erika era stata scambiata dai due esecutori, un francese basista membro della mala di Marsiglia ed un russo, semplicemente confondendo la coppia italiana ben più avanti negli anni con il magnate kazako e la sua giovane compagna (l’elemento che per il vero aveva tratto in inganno i rapitori era la praticamente stessa zazzera bionda e la figura snella e slanciata di Erika intraviste nella penombra), e non si erano insospettiti per nulla dell’assenza della scorta che invece in genere custodiva l’integrità della vittima designata. Anzi, il loro primo commento entusiastico fu di gioia per l’irrisoria facilità con cui erano riusciti a ingabbiare ‘il malloppo’, eliminando semplicemente l’autista. Ora i sequestrati giacevano in uno dei furgoni del catering che si trovava parcheggiato assieme a tutti gli altri nel retro del cortile del castello di La Bave in attesa degli eventi. Un bel pasticcio, anche perché il capo butterato dell’operazione, il russo Gregory, aveva appena ricevuto dalla sua talpa all’interno del castello, una cameriera addetta al servizio, la notizia che Aleksander Kabashvilij e la sua compagna, la bellissima Sonja, avevano appena fatto regolarmente il loro ingresso nell’atrio del castello, ed erano stati immediatamente fatti scomparire alla vista degli altri ospiti da alcune guardie nerborute.
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