Il ventre pieno di farfalle

4,99

Formato: Epub, Kindle

Autore: Piera Rossotti Pogliano

Note sull’autore

COD: ISBN 978-88-6690-277-5 Categoria: Tag:

Descrizione

Sullo sfondo dell’Italia alle soglie dell’Unità e della Francia scintillante del Secondo Impero, le donne di questo libro sono accomunate dalla ricerca della felicità, di cui hanno una visione personale e peculiare. Per l’anziana Rosa, la felicità può essere un pomeriggio passato a spettegolare e una cena a base di coniglio alla cacciatora, accompagnato da un grissino, per “stare leggera”, e da un bicchiere di Barbera. Per la giovane Catherine, è la speranza di perdere presto quell’ingenuità che, a sedici anni, comincia davvero a pesarle un po’ troppo… Per Mary, la felicità è vendere bene il suo corpo (ma soltanto quello!), e mettere da parte dei bei quattrini. Per Anne, la felicità è potersi permettere di ricominciare a vivere a trentaquattro anni; per Costanza, è sentirsi circondata dall’affetto dei suoi cari, vivi e morti. E il lettore, a poco a poco, entra nel gioco, si lascia prendere dall’intreccio delle storie, getta lo sguardo su un passato che è lontano, ma non troppo…

INCIPIT

I    Anne di Montfermeil a Costanza Avenati

 

Biarritz, Hôtel d’Angleterre, 1 settembre 1859

 

Carissima Costanza,

ti scrivo subito, come promesso, ancora nella confusione dell’arrivo, nell’odore di cuoio nuovo delle cappelliere, mentre le cameriere stanno disfacendo i bagagli che ci siamo portati dietro in numero incredibile. È certamente un grande onore essere invitati a trascorrere accanto alle Loro Maestà ben due settimane, già questa sera siamo attesi a Villa Eugénie. Non ti nascondo, tuttavia, che non provo grandi attrattive per la mondanità, avrei preferito il nostro tranquillo ritiro di Montfermeil, le mattinate pigre nel parco, con i miei acquerelli, o le passeggiate nel sole pallido del pomeriggio, le ore tranquille verso il tramonto, con un libro di uno dei miei poeti prediletti tra le mani, mentre

 

les sons et les parfums tournent dans l’air du soir

 

Ma come dire di no? Charles, dal canto suo, sembra tenere molto a essere qui, benché non faccia mistero del fatto che a Parigi si diverte di più, e puoi anche immaginare in che modo (io cerco di non pensarci). In tutta fretta, ho dovuto procurarmi cappelli e toilettes nuove, e sottopormi a lunghe sedute di prova, tu sai quanto mi pesino, e il tutto è costato un patrimonio, visti i prezzi che ormai pratica la Maison Fauvet, ma è stato inevitabile. Per questa sera ho scelto un abito semplice, di velluto di seta verde scuro, dalle maniche molto corte, la scollatura guarnita di nastro bouillonné e di un piccolo pizzo Chantilly nero e avorio, la gonna non eccessivamente ampia e drappeggiata dietro. Mi sembra elegante e non pretenzioso, adatto per essere ricevuta dall’imperatrice in una circostanza informale. Come gioielli, credo che metterò soltanto le mie perle rosa.

Eppure, non riesco a spiegarti la mia totale mancanza di entusiasmo e il senso di spossatezza che mi assale di tanto in tanto, improvviso e opprimente, mi avvolge come una cappa di tessuto pesantissimo e bagnato, mi schiaccia, mi fa piegare la schiena; cerco disperatamente di oppormi, irrigidendo il collo, stringendo i denti. Ma avrei soltanto voglia di chiudere gli occhi e di dormire.

Scusami per questo sfogo, cara Costanza, ma devo pur dirlo a qualcuno.  Charles, se gliene faccio cenno, mi accusa di non tenere nella giusta considerazione il futuro di nostra figlia, e anche di essere un’ingrata perché lui, per me, non ha badato a spese. Io, invece, vorrei avere il tempo di capire quello che mi accade, di sedermi in un canto, fare silenzio intorno e dentro di me e cercare di vedermi fino in fondo, di trovare le domande inconfessate che mi devo porre e le risposte che forse non ci sono, o che sono annidate in un recesso irraggiungibile, al centro del mio labirinto interiore.

Ti devo lasciare, è ora che cominci a prepararmi. Scrivimi subito, ho bisogno della tua presenza amica, anche soltanto attraverso un tuo scritto.

Ti abbraccio,

Anne

 

 

 

II

 

Anne di Montfermeil a Costanza Avenati

 

Biarritz, Hôtel d’Angleterre, 3 settembre 1859

 

Cara Costanza,

ancora nessuna lettera tua, malvagia, mi sento abbandonata!

La serata di ieri, era facile prevederlo, è stata contrassegnata dall’emozione di conoscere più da vicino le Loro Maestà che ho incontrato, finora, soltanto in alcune occasioni ufficiali. E’ la prima volta che li vedo così da vicino, e in modo abbastanza informale. Eravamo stati invitati a Villa Eugénie dopo la cena, per le nove e, come puoi ben immaginare, alle nove in punto mio marito e io entravamo nel grande salotto dove l’imperatrice si intratteneva con numerose dame d’onore, seduta a un grande tavolo su cui erano state poste diverse lampade con abat-jour; molte delle dame lavoravano o fingevano di lavorare a piccoli ricami, mentre l’imperatrice Eugénie era alle prese con un gioco di pazienza. Al nostro ingresso, si è levata con grande cortesia per venirci incontro, tendendoci la mano, poi è subito tornata a sedersi al suo gioco, ma chiacchierando amabilmente tutto il tempo come se fossimo conoscenti di lunga data. Alla luce soffusa delle lampade, ho avuto modo di osservarla da vicino. È una donna d’aspetto piacevole, carnagione fresca e rosea e capelli rossi, taglia un po’ forte. Trovo sgradevole, in lei, il trucco pesante con il quale annerisce le sopracciglia e il contorno degli occhi, e una certa affettazione nei movimenti, nel volgere dello sguardo, nel gesticolare delle mani che sottolineano quanto va dicendo come se stesse danzando uno di quei melodrammatici balli spagnoli o facendo schioccare un paio di nacchere (cosa che, mi è stato detto, ama realmente fare di tanto in tanto).

Di lì a poco, ha fatto il suo ingresso l’imperatore, che si era evidentemente ritirato nel suo studio per fumare e bere un bicchierino di Porto con gli altri signori; come sai, il mio olfatto è in grado di distinguere gli odori a metri di distanza. Tutti si sono levati in piedi, compresa l’imperatrice, e io, ovviamente, mi sono sprofondata in un inchino. Ho notato una cosa curiosa: anche in pubblico, Napoleone III si rivolge con il “tu” alla sua consorte, mentre lei gli risponde invariabilmente con il “voi”. A guardarlo da vicino, il nostro sovrano rivela una certa goffaggine nei movimenti e ha l’aria più matura di quanto non mi aspettassi, il torace robusto e leggermente sproporzionato rispetto al resto del corpo, dei gran baffi molto curati, una voce un po’ nasale. Francamente, un uomo brutto; mi lasciano perplessa tutte le dicerie sulle numerose e bellissime donne che sarebbero cadute (e continuerebbero a cadere, presentemente) ai suoi piedi… È vero che ha un modo di ridere franco e cordiale e, se posso esprimermi così, una corporeità quasi palpabile attraverso l’aria che, certo, deve attirare gli appetiti di molte donne. Senza contare che, insomma, è anche l’imperatore dei Francesi…

La serata è proseguita senza nulla di notevole, sempre discorrendo amabilmente. L’imperatrice ha spinto la sua benevolenza fino a chiedermi notizie di mia figlia e ha voluto anche conoscere i dettagli della sua educazione. Alle undici, l’imperatore e la consorte si sono levati per congedarci, e noi tutti siamo balzati subito in piedi, disponendoci intorno a loro per augurare collettivamente la buona notte.

Fuori c’era un vento piacevole che veniva dall’oceano; mi sono avvolta nel mantello leggero che avevo lasciato in carrozza e ho fatto volentieri qualche passo a piedi, lungo i viali del giardino.

Ora ti devo lasciare, ma attendo con ansia una tua lettera. Lo sai, scriverti è una delle mie poche consolazioni. Ti racconterò quel che accade qui e, se avrai la pazienza di ascoltarmi con la tua consueta bontà, ti parlerò anche un po’ di me.

Saluta affettuosamente la mia cara sorella Marianne e il mio nipotino Pietro.

Tua

Anne

III

 

Costanza Avenati a Anne di Montfermeil

 

Torino, 8 settembre 1859

 

Mia carissima,

perdonami il ritardo con cui ti rispondo, ma qui a Torino siamo in grande ebollizione per via delle Deputazioni. Ieri è arrivata la Deputazione toscana, le vie erano tutte pavesate di bandiere, c’era gran folla e la Guardia Nazionale ha fatto una brillante figura. Il Municipio ha accolto gli ospiti da Trombetta, all’Albergo Europa, e anche qui sono stati ricevuti prima di tutto da un gran numero di persone che ha riempito Piazza Castello per salutarli, in modo così rumoroso che quei signori dovettero farsi al balcone per ringraziare. Domani saranno ricevuti dal Re e pranzeranno al Ministero, domani l’altro saranno invitati dal Parlamento. Qui a Torino c’è un’atmosfera di gioia per questi Toscani che parlano tanto bene! Stiamo anche aspettando a giorni le Deputazioni di Parma e Modena, mentre continuano ad affluire moltissimi Lombardi. Pian piano, ci stiamo riprendendo dalla grave delusione che ci ha causato il tuo imperatore, che non condanno, avrà certo avuto le sue ragioni, ma che ci ha lasciato dopo Villafranca a reprimere la nostra rabbia e a fronteggiare la minaccia degli Austriaci sul Mincio.

Sono preoccupata per quanto scrivi nella tua prima lettera da Biarritz, perché ti immagino sempre come una donna forte e serena e non riesco a spiegarmi la tua angoscia. Che ti manca, carissima? Lo so bene, la voce della ragione è l’ultima che vorremmo udire, quando ci sentiamo oppressi dalla tristezza, ma mi sembra che una bella donna nelle tue condizioni, con una figlia deliziosa, dovrebbe provare anzitutto gratitudine per ciò che la vita le serba. E poi, ti trovi adesso nella brillante società della Corte. Cerca di godere di queste opportunità, sii per una volta un po’ frivola, sfoggia gli abiti che ti sei fatta a Parigi e segui i consigli di una vecchia signora, non porti troppe domande, vivi il presente.

Ti abbraccio con affetto,

Costanza

 

IV

 

Anne di Montfermeil a Costanza Avenati

 

Biarritz, 12 settembre 1859

 

Cara Costanza,

i giardini di villa Eugénie sono lussuosi e curati come il boudoir di una signora, ma assolutamente non in tono con il paesaggio di qui. Anche in questa stagione, di giorno la luce impietosa del sole cuoce il terreno sabbioso al calor bianco. Lontano, un cielo perfettamente turchino e un oceano colore dell’uva, crestato di bianco sotto il vento, riempiono gli occhi e la mente. Bianco e azzurro all’eccesso. Verso sera, l’orizzonte prende un colore di Bordeaux invecchiato. Quando il tempo è brutto, tutto diventa grigio antracite e minaccioso, nubi dense si avventano sulla terra, scivolando rapide su raffiche di vento. Nulla è fatto per il riposo degli occhi e del cuore, e ho tanta nostalgia delle curve morbide delle colline di Montfermeil, dei verdi sfumati, delle piogge tiepide e improvvise anche nel cuore dell’estate, dei suoi cieli grigio perla, appena luminosi. Quasi, sono contenta di non aver portato i miei colori, non saprei dipingere sotto questo cielo così violento.

La parola d’ordine, qui, è divertirsi, o almeno fingere. L’imperatrice organizza ogni giorno qualcosa di nuovo, escursioni in montagna o gite in battello e, la sera, tutti sono chiamati a improvvisarsi attori, a inventarsi costumi sfarzosi e a ritrovare nuove energie per cantare e danzare, animando le serate.

Due giorni fa, c’è stata una fortunosa ascensione ai monti della Runa, cominciata come una tranquilla passeggiata in carrozza, poi proseguita a dorso di mulo, su certi seggiolini di vimini scomodi e instabili, à cacolet si chiamano, su cui noi signore abbiamo dovuto sistemarci a due a due, mentre gli uomini hanno avuto diritto ad una cavalcatura per ciascuno. Non ti racconterò la difficoltà della giornata, che si è conclusa a notte fonda, tra le lamentele dei partecipanti, svenimenti veri o simulati, piedi sbucciati e scarpe distrutte. L’unico momento piacevole è stato quando, al termine dell’ascensione, abbiamo trovato le tavole riccamente imbandite dai servi che ci avevano preceduti, e suonatori spagnoli per allietarci il pasto. L’imperatrice, per tutta la giornata, ha fatto invece mostra di divertirsi enormemente, a un certo punto non ha resistito, ha strappato dalle mani di un suonatore un paio di nacchere e si è messa a danzare un fandango. Era vestita alla spagnola, blusa rossa e cappello nero. Non che danzasse propriamente, giusto schioccava le nacchere e mimava la danza, in modo molto contenuto, con le braccia, con gli occhi, con moto cadenzato dei piedi, ma con una voglia evidente di scatenarsi, che ha sempre represso, ma come autoammirandosi, soddisfatta, tanto ingenuamente insolente da essere addirittura disarmante. L’imperatore non partecipa mai a queste escursioni e lei prova piacere nel farsi ammirare dai signori che l’accompagnano, che ovviamente non oserebbero mai mancarle di rispetto con parole o con gesti, per di più, generalmente in presenza delle loro mogli, ma lo fanno indubbiamente con i loro occhi e con il loro desiderio.

Il ritorno è stato ancora più travagliato dell’ascensione, con scene melodrammatiche alla luce delle torce, che sono presto state indispensabili, perché l’oscurità è calata molto rapidamente. Signore che si lamentavano che il movimento dei muli in discesa dava loro la nausea, che i cacolets erano scomodi, che avevano i piedi dolenti, che era buio, che erano stanche… Una dama di palazzo, la contessa de La Bédoyère, opulenta e molle come un cuscino di piume poco imbottito, si lasciò a un certo momento cadere a terra, chiedendo che la si lasciasse morire sul posto, proclamando che non avrebbe fatto un passo di più. Allora, l’imperatrice a ordinare che si approntasse una barella di fortuna, cosa che fu fatta immediatamente dai bravi montanari che ci scortavano… ma  un gran numero di signore si misero a reclamare a gran voce lo stesso mezzo di trasporto, e allora furono rallentamenti a non finire per accontentare almeno le più anziane! Con gran fatica, e non minore sollievo, abbiamo ritrovato le vetture che ci avevano condotti, al mattino, ai piedi dell’erta, e siamo arrivati a Biarritz a notte fonda, tra i gemiti delle partecipanti.

Visto lo scarso entusiasmo femminile per le escursioni a piedi, l’imperatrice ci ha promesso che, posdomani, faremo una gita a Fontarabie con la Mouette, il piccolo battello sempre a disposizione dell’imperatore, che si trova in rada a Biarritz. Non ho osato dire nulla, ma ho subito pensato al mal di mare.

Ti scriverò presto, raccontandoti queste nostre futili giornate, se avrai la bontà di ascoltarmi e, soprattutto, di scrivermi per tenermi compagnia con la tua costante amicizia.

Anne

 

V

 

Costanza Avenati a Anne di Montfermeil

 

Revigliasco, 16 settembre 1859

 

Anne mia carissima,

la tua lettera mi è giunta questa mattina presto, qui nella villa di Revigliasco, dove mi trovo in questo momento. È un bel settembre, si sta vendemmiando, quest’anno l’uva è profumata, zuccherina per questi ultimi giorni di sole, graditissima alle vespe, oltre che a noi umani. Pietro si è portato alla bocca un grappolo, senza avvedersi della presenza di uno di questi insetti, rimediandone una puntura sul labbro superiore, e ha ora l’aspetto di un mostriciattolo dai capelli biondi, nonostante l’immediato intervento con pezzuole inumidite d’aceto. Adesso, la Felicita ha preparato un impacco di malva, dice che sua nonna lo considerava un rimedio sovrano per le punture d’insetto. Sarà, io penso che non possa far male, se non dovesse far bene.

Il bambino, intanto, sembra un bandito, l’impiastro legato sulla faccia con un fazzolettone, e continua a giocare con i figli del fattore a Barabon pja un pò ‘d feu.

Anche se ancora piuttosto critica verso l’ambiente in cui ti trovi, ho colto nella tua ultima lettera una maggiore serenità, rispetto alla precedente. Scusami se oso farti la domanda in modo diretto, ma mi sento autorizzata dall’affetto che provo per te, ti considero una figlia, al pari di tua sorella Marianne: come vanno le cose tra te e tuo marito? Mi era sembrato di capire, qualche mese fa, che ci fosse una certa difficoltà, tra di voi, e la cosa mi ha molto rattristata. Quando nostro figlio Roberto è caduto a Goito, mio marito ed io ci siamo stretti ancora di più l’uno all’altra, e ho capito, in quel momento, quello che non avevo compreso nei venticinque anni precedenti, cioè che l’amore vuol dire aver qualcuno con cui condividere il dolore. E adesso che anche Antonio mi ha lasciata, sento il vuoto intorno a me, nonostante la presenza amorevole di Marianne, che ha sempre cercato di nascondermi le sue lacrime, e del piccolo Pietro, che sta crescendo vivace e pronto nell’apprendere, com’era il mio Roberto alla sua età. Ma sento il vuoto, sai, dentro e intorno a me; sto sveglia di notte, la fiammella della veilleuse fa danzare le ombre sulle cortine del letto, come presenze cui vorrei parlare, poi mi accorgo che quelle ombre emanano da me, che sono le mie mani, la mia cuffietta da notte, un angolo di guanciale. Qualche volta piango, altre volte prendo la corona del rosario e prego. Ripeto e ripeto le invocazioni alla Vergine, senza voce, concentrandomi sulle sillabe mute che formulo e sul moto delle labbra; così, a volte mi coglie il sonno, e mi risveglio con le prime luci dell’alba e i rumori dal cortile, i domestici che attingono l’acqua al pozzo, che portano la legna nelle cucine. Ripeto a me stessa che è un giorno ancora da vivere, uno di meno di quelli che il Signore mi vorrà dare. A forza di sottrarre i giorni, arriverò al momento in cui si potrà ricomporre l’unione spezzata, con l’ultimo battito del mio cuore si abbatterà quella porta chiusa che mi separa da Antonio e da Roberto e li ritroverò. Ma sarà vero? Non ti sembra un desiderio troppo umano?

Perdonami, cara Anne, volevo cercare di confortarti e consolarti, e invece ti ho parlato soltanto di me. Tra amiche, però, ci si possono confidare anche i fantasmi che abitano la notte. Di giorno, invece, cerco di essere energica e attenta alla vita, al momento in cui viviamo, che mi pare grande e pieno di promesse per il nostro Paese. Come sarebbe felice Roberto di sapere che, adesso, abbiamo la Lombardia. E come si sarebbe adirato anche lui con il tuo imperatore per Villafranca!

Scrivimi presto, ti abbraccio.

Costanza

 

 

VI

 

Anne di Montfermeil a Costanza Avenati

 

Biarritz, 18 settembre 1859

 

Cara Costanza,

mentre cerco di divertirmi e di sembrare felice, non riesco a non pensare che, al posto della felicità che sognavo da ragazza, ho avuto una carrozza e dei vestiti. Forse sono ingiusta, ma in questo momento non riesco neppure a pensare a mia figlia. Anzi, preferisco non pensarci perché, insofferente nei confronti di suo padre, ritrovo in me stessa una certa animosità verso di lei che mi fa sentire cattiva e, insieme al mio fallimento di donna, mi sento anche inadeguata come madre. La mia Catherine, ormai, ha sedici anni, presto dovremo pensare a maritarla, ma non abbiamo mai neppure veramente parlato tra noi, altri si sono sempre occupati della sua educazione. Adesso è a Montfermeil con un’istitutrice inglese che abbiamo assunto da poco, un’estranea, in pratica, anche se con eccellenti referenze.

Mi guardo allo specchio, e mi vedo come un manichino da cui pendono begli abiti di seta e di velluto, ma dentro il quale si annida un cuore di polvere. Sono diventata così un po’ per volta, dopo diciotto anni di chiusura in questo matrimonio che mi soffoca, seguito a sei anni di convento in cui sono entrata bambina, appena decenne.

Mi guardo allo specchio, ti dicevo, e quel cuore di polvere me lo vedo affiorare sul viso, appannarmi la pelle. Ho trentaquattro anni, un cuore di polvere e un’angoscia immensa dentro di me, ravvolta dentro un bozzolo di sicurezza che ho cercato di costruirmi, ma che è fragile, ogni giorno di più.

Mi parli del vuoto intorno a te, dovuto all’assenza di tuo marito; io ho un abisso dovuto alla presenza del mio, alla sua totale amoralità, al suo sorriso che mercanteggia ogni momento, che assegna un prezzo a tutti i favori, ai miei come a quelli delle donne che frequenta, quasi senza nascondermelo, quando siamo a Parigi.

Ti sto scrivendo cose che, in un certo modo, realizzo soltanto ora. Mia sorella intristisce nella sua lunga vedovanza, nonostante la tua presenza sollecita e affettuosa, io mi prosciugo nella vita familiare. Che differenza c’è nelle nostre vite? In un modo o nell’altro, tutte e due stiamo percorrendo un labirinto: si dice che sia la strada di chi ha paura di giungere alla meta, ma anche quella di chi non si cura di giungervi, perché non ha motivazioni per farlo.

Perdona questa mia lettera triste, solo con te mi posso sfogare.

Ti abbraccio,

Anne

VII

 

Catherine di Montfermeil alla madre Anne

 

Montfermeil, 20 settembre 1859

 

Cara Maman,

vengo con questa mia ad assicurarvi che la mia vita scorre regolare e tranquilla, e che mi dedico con costante impegno all’apprendimento della lingua inglese, attraverso lo studio quotidiano e la lettura di testi adatti alla mia età, sotto la guida diMiss Jenny Evans.

Come mi avete raccomandato, non trascuro di fare ogni giorno un po’ di moto, passeggiando con Miss Evans nel giardino e, occasionalmente, nelle ore più tiepide della giornata, sul viale che porta al cimitero; la fida Françoise ci segue a qualche passo di distanza perché, sostiene Miss Evans, benché non ci sia in genere anima viva, i brutti incontri, per due donne sole, sono sempre possibili.

Al pomeriggio, il signor Desmoulins viene regolarmente a impartirmi la lezione di piano, ed eseguo anche almeno mezz’ora di solfeggio.

Vi saluto con rispettoso affetto e vi prego di trasmettere l’espressione dei miei più sinceri sentimenti filiali anche al mio caro Papà.

La vostra obbediente figlia

Catherine

VIII

 

Catherine di Montfermeil all’amica Sophie D’Aumont

 

Montfermeil, 20 settembre 1859

 

Cara Sophie,

oggi sono riuscita a sfuggire per un po’ a Jenny-la-Pazza, che non mi lascia un istante e che pretende di programmare ogni secondo del mio tempo. Non le sono simpatica e, come puoi ben immaginare, l’antipatia è reciproca! Mi divertivo di più in convento, con te e con le nostre compagne, mi mancate tanto.

Miss Evans è tutta piccola: piccolo il viso, gli occhi, il naso, le mani, i denti sporgenti, i piedi. Porta un piccolissimo cappellino, ha una piccolissima borsetta, piccole scarpette puntute, che fanno sui pavimenti un rumore netto e acuto, un piccolissimo ombrellino e delle piccolissime idee. Anzi, forse non sono neppure idee, soltanto nozioni.

Con me, è severa, secca e dura, parla soltanto inglese, con un filo di voce senza inflessioni, ma tagliente come una lama. Mi fa ripetere ogni giorno i verbi irregolari e leggere una pagina delle Letters for Literary Ladies di Maria Edgeworth, come una medicina cattiva, e ai miei sospiri replica invariabilmente “I can’t imagine anything better for a well-bred young lady”.

Vorrei tanto che tu venissi a passare qualche giorno da me! Ti prego, aiuta questa povera young lady che non ne può più e che ha, per unico svago quotidiano, una breve passeggiata sul viale del cimitero! Ti lascio in fretta, darò questa lettera a Françoise perché la metta alla posta di nascosto, non posso rischiare che Miss Evans la trovi, rilegge e censura invariabilmente tutte le mie lettere e, se mai leggesse quanto ho scritto di lei, si farebbe certo venire un attacco di convulsioni, per poi punirmi duramente (chissà, forse mi negherebbe la passeggiata verso il cimitero, o la lettura della Edgeworth…)

Ti voglio bene,

Catherine

IX

 

Anne di Montfermeil alla figlia Catherine

 

Biarritz, 22 settembre 1859

 

Cara Figlia,

sono contenta di sapere dei tuoi progressi e del trascorrere sereno delle tue giornate, in compagnia di Miss Evans. Mi pare di intuire che tu la reputi un po’ severa, ma devi credere che ogni cosa è fatta per il tuo bene. È alla tua età che bisogna apprendere l’autodisciplina, insieme alle necessarie conoscenze delle materie di studio che rendono compiuta l’educazione di una ragazza, come le lingue straniere, il disegno, la musica. Confido perciò che tu ti sottometta con docilità e pazienza, dando prova di essere una ragazza assennata e responsabile.

Tuo padre si unisce a me nell’abbracciarti affettuosamente.

Maman

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