Il rifiuto e altri racconti

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Formato: Epub, Kindle

Autore: Andrea Benigni

Note sull’autore

COD: ISBN 978-88-6690-031-3 Categoria: Tag:

Descrizione

Otto racconti snelli, sovente costruiti sul dialogo, per raccontare alcuni aspetti della vita nel mondo di oggi, le sue contraddizioni e, soprattutto, la difficile ricerca di nuovi valori.
Il racconto “Il rifiuto”, che dà il titolo a questa breve raccolta, è stato scritto all’indomani della caduta delle Torri gemelle: l’ episodio è presente in filigrana, si potrebbe trattare di qualsiasi altra situazione di guerra e di violenza a cui, purtroppo, la cronaca ci sta abituando, ma che le persone non possono accettare, perché la normalità non è la morte, la violenza, il massacro, che invece, come ribadisce anche il racconto “Guerra”, fanno perdere alle persone ogni punto di riferimento.
In un mondo assurdo, dove l’unico parametro di valutazione è l’efficienza lavorativa (si veda la denuncia ironica di questo disvalore ne “Lo zoo” e “Il nuovo direttore generale”), forse non tutto è perduto: esistono ancora storie d’amore e di gelosia (“Annalisa”), l’istinto naturale arriva ancora a prevalere sulla nostra volontà razionale (“Il salto”), le persone si cercano e cercano di costruire rapporti nuovi, di trovare formule nuove per amarsi e vivere insieme: sono le storie raccontate ne “Lo straniero”, che presenta la difficoltà, ma anche la bellezza, di un rapporto tra persone di nazionalità e cultura molto diverse come un italiano e una somala, o ancora “Sulla sponda del letto”, che descrive la formazione di una famiglia diversa da quella che siamo abituati a considerare, con la vita in comune di marito, moglie, amante di lui e i due figli che l’uomo ha avuto con le due donne.

Una ulteriore recensione nella rivista Bottega Editoriale.

INCIPIT

Il rifiuto

–– 1 ––

 Spalanco gli occhi. Un’altra notte di veglia e di orrore. Nella penombra fisso il soffitto, per assicurarmi che esista ancora. Che io esisto ancora: come tutte le mattine, il primo pensiero va al fatto che sono ancora vivo. Allontano dalla fronte, con il dorso della mano, alcune gocce di sudore. Mi siedo sulla sponda del letto, i piedi premuti al pavimento: cerco punti d’appoggio.

Oggi non è giorno di spesa: non dovrò guidare il furgone per le strade dissestate, pregando di non saltare in aria a causa di una mina; non dovrò, impacciato dal giubbino antiproiettile, caricare le sacche dei viveri incassando la testa tra le spalle, per proteggerla dalle pallottole vaganti dei cecchini. E non sarà il peso dei pacchi a gonfiarmi il ginocchio ancora debole dopo l’attentato, ma stare in piedi per ore a operare: oggi resterò in ospedale tutto il giorno, e parte della notte, dipende dalla quantità di carne maciullata che faranno le granate del nemico. E tornerò a casa più o meno impregnato dall’odore dolciastro di cadavere, a seconda dell’efficacia delle cure ai feriti, nei giorni passati.

Quasi un rituale religioso, la mia mano si avvicina all’interruttore e prova a accendere la luce. C’è luce. C’è ancora corrente elettrica: gli strumenti dell’ospedale saranno utilizzabili, e le medicine, le poche rimaste, si potranno conservare.

–– 2 ––

Cammino zoppicando sul piazzale dell’ospedale. Mi fermo un momento per riposare, e vedo il mio assistente agitarsi, mentre parla al cellulare. Lo raggiungo sulla porta, appoggiandomi alle stampelle. Lui chiude la telefonata e mi guarda facendo no con la testa.

«Che altre belle notizie ci sono?» gli chiedo.

«Un disastro. Hanno fatto un disastro, hanno attaccato da terra e dal cielo, hai visto la televisione? Hanno colpito anche l’ospedale, stanno portando tutti i feriti qua da noi. Che facciamo ora? Se li prendiamo tutti non riusciremo a evitare un’epidemia.»

«Mantieni la calma.» Osservo dall’ingresso la quantità folle di lettini e di feriti accatastati fin nel corridoio per sfruttare ogni angolo. Mi vengono in mente le immagini degli schiavi ammassati nelle navi uno sopra l’altro. Il fetore mi respinge come pugni nello stomaco. È odore di pustole marcescenti, di carne guasta, dove banchettano mosche e batteri.

«Dei morti, nelle zone dove hanno bombardato, si sa niente?» chiedo, pensando ai miei parenti che vivono nella città dove ieri notte è arrivata l’ondata di fuoco. Il nemico ha distrutto i ripetitori dei cellulari, le linee telefoniche, quelle internet. È impossibile riuscire a contattarli per sapere come stanno.

«Si sa niente? In che senso si sa niente?»

«I nomi dei morti, la lista, l’hanno già fatta?»

«I morti? La lista dei morti?» mi guarda inebetito come dire a che cazzo stai pensando. «Non saranno ancora riusciti a raffreddare le macerie e a tirarli fuori, i cadaveri. Come hanno potuto aver già fatto la lista?» racchiude il volto tra le mani e si massaggia gli occhi stanchi.

Torna al problema: «E qui? Che facciamo qui?»

«Idee geniali non ne ho. Tappiamo i buchi peggiori.» Appoggio le stampelle alla parete, mi accendo una sigaretta e ne offro una. « O chiudiamo l’entrata e non accettiamo nessuno, o possiamo solo curare alla meglio e pregare che non inizi una epidemia. Disinfettiamo. Disinfettiamo tutto. Più che possiamo.»

«Con che? Con che, se non stanno più arrivando neanche i medicinali?»

«Dobbiamo comunicare con gli altri ospedali, da noi e nelle altre città. Chiedere se hanno posti o se possono inventarseli in qualche modo.»

«Sono già in viaggio. I feriti di stanotte sono già in viaggio. O li deviamo, o dove li mettiamo?»

«Li mettiamo da qualche parte» dico convinto.

«Deviamoli. Per fare del bene a tutti facciamo peggio.»

«Dove possono andare?» gli chiedo spazientito. «Pensi davvero che negli altri ospedali le condizioni siano migliori? Oramai non esistono condizioni migliori. Solo migliori volontà. Usiamo case. Ci sono due ville disabitate al lato dell’ospedale. Prendiamo quelle. Le puliamo. Risistemiamo rapidamente i servizi, l’acqua e la luce. E ci arrangiamo. Per lo meno aumentiamo lo spazio e diminuiamo il rischio epidemia.»

«È un’idea. Forse è una buona idea.» dice abbassando lo sguardo.

Riprendo le stampelle. «Cominciamo a operare i casi più gravi.» Entro nell’androne. Dalle lenzuola macchiate di sangue sbucano mani ossute che cercano di afferrarmi, che implorano un aiuto. Sono costretto a scrollarmele di dosso, per prestare soccorso ai casi urgenti. Non mi era mai successo di trascurare un sofferente, di lasciarmi i suoi tormenti alle spalle, rubandogli anche le parole di conforto che ora ho bisogno di riservare a me stesso.

2 recensioni per Il rifiuto e altri racconti

  1. Andrea L

    Una raccolta di racconti eterogenei e molto ben scritti, stile scorrevole e il giusto mix fra dialoghi, raccontato e mostrato.
    Il primo la guerra è affascinante perché mette in rislto la differenza di visione fra l’interesse generale, svolto dall’autore come medico in periodo di guerra instancabile ma con un interesse “generalista”, che cozza con l’orrore per la guerra quando viene toccata la sua valvola di sfogo nella sfera privata.
    Altra storia interessante interessa due uomini e due donne entrambe incinte dello stesso uomo con risvolti interessantissimi nella storia.
    Basta anticipazioni.
    Il libro è molto bello e scorre via davvero in un attimo.
    È un ebook per cui ve lo potete portare dietro dove volete sul cellulare (come ho fatto io) o sul lettore o potete leggerlo a casa sul pc comodamente e con schermo grande.
    A voi la scelta del mezzo, a me il consigliarvelo vivamente

  2. regolo62

    Un libro molto particolare e interessante da leggere senza fretta. Alcune delle storie restano in testa divenendo oggetto di meditazione. I miei preferiti sono : Lo zoo, Sulla sponda del letto, e Il nuovo direttore generale.

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