Il peccato di Rennahel

14,00

Formato: Libro cartaceo

Autore: Irma Panova Maino

Note sull’autore

COD: ISBN 978-88-6690-304-8 Categoria: Tag:

Descrizione

PRESENTAZIONE di Andrea Leonelli

Il peccato di Rennahel è un libro che parla con molte voci all’animo di chi lo legge.

Può essere letto come una storia d’amore con ambientazione Urban Fantasy e niente del piacere della lettura di questo tipo di narrazione sarà deluso o disatteso. I personaggi principali sono talmente ben delineati e dai caratteri così coinvolgenti che non potrete non immedesimarvi in loro e vi calerete nei panni sia dei protagonisti maschili che di quelli femminili. Infatti, le loro caratteristiche sono tali che riuscirete a rimanere intrappolati in ognuno di essi, condividendone pensieri, sensazioni e stati d’animo. Sarete, durante la lettura, loro e vivrete le loro vite. I loro problemi, la loro vita i loro sentimenti diverranno vostri.

La trama del libro si svolge a Praga, fra i suoi vicoli antichi, ricchi di storia e di atmosfera, attraverso cui i protagonisti si incontreranno, vivranno, si ameranno, si perderanno, fuggiranno, si cercheranno, senza sosta e senza respiro, per poi alla fine andare incontro al loro destino.

Le accurate descrizioni non solo dei luoghi e delle ambientazioni ma anche delle storie individuali, delle azioni e dei comportamenti, dei pensieri e delle reazioni creeranno in chi legge la sensazione di assistere ad una proiezione cinematografica.

Ma oltre la superficie del libro, la storia tratta di argomenti importanti e che non perdono valore nemmeno nella vita reale. Infatti, razzismo, intolleranza e violenza fra individui diversi fra loro riempiono quotidianamente le cronache dei nostri giornali e telegiornali. L’argomento viene affrontato, come è solita fare l’autrice, trasponendolo in un mondo sovrannaturale che però è uno specchio della nostra società. Provate a cambiare i tratti somatici ai protagonisti, sovrapponendovi le peculiarità morfologiche delle razze esistenti: caucasico, asiatico, di colore e vedrete che nulla perderà nella storia.

L’autrice ha tratteggiato, in chiave fantasy, una realtà che è alternativa solo apparentemente e che riflette i nostri giorni e le problematiche che possiamo incontrare quotidianamente appena fuori della porta di casa.

In una società sempre più multietnica come la nostra, in cui individui di ogni razza prendono tutti, ogni giorno, gli stessi mezzi di trasporto, questa storia è solo più ricca di fantasia nel descrivere le caratteristiche fisiche. Le tipologie psicologiche e di comportamento dei protagonisti, invece, con sentimenti e sensazioni, sono quelle di ognuno di noi.

Quindi, qualsiasi lettore, immergendosi in questa storia, potrà sentirsi libero di leggere più di un solo libro e, magari, riuscirà anche a riconoscere eventi che, sempre più spesso, potreste incontrare, con un minimo di spirito di osservazione, nelle strade della vostra città.

Andrea Leonelli

INCIPIT

Camminava a passi lunghi e veloci, fendendo la nebbia con la stessa precisione letale di un coltello. Sbuffi di vapore si formavano al suo passaggio e, ricompattandosi dietro di lui, lasciavano quasi una scia visibile.

I suoi passi risuonavano sul selciato duro e reso scivoloso dall’umidità, scandendo quel suo andare spedito, che faceva svolazzare le code del lungo trench in pelle come se fosse stato mosso da un vento impetuoso.

Era in ritardo.

La sua cara Tell odiava i ritardi, quindi il suo animo si stava già predisponendo alla reprimenda che avrebbe dovuto sopportare non appena fosse arrivato a casa.

Poco importava se lo attendeva al caldo, nell’appartamento di cui le aveva dato le chiavi tempo addietro, lei non si sarebbe lasciata scappare l’occasione per rimproverargli, ancora una volta, le mancanze di cui lo accusava fin troppo spesso. Tuttavia Tellera, oltre a essere la sua amante e la sua compagna, era anche una buona amica, a prescindere da qualsiasi altra considerazione ed era forse questo l’unico motivo per il quale lui tollerava quel suo modo di fare, a volte indisponente e dispotico.

Perso com’era nelle proprie considerazioni, non si rese subito conto del grugnito soffocato proveniente da una delle viuzze laterali appena sorpassate.

Fece ancora un paio di passi, poi rallentò fino a fermarsi del tutto. Le sue orecchie sensibili assorbirono i rumori intorno a lui, captando nuovamente quel verso, sempre più simile a un grido strozzato e soffocato dentro qualcosa.

Un grido? Possibile?

Ren girò la testa nella direzione del suono, rendendosi conto degli altri rumori che accompagnavano quel verso.

Fruscii, tonfi, un gemito…

Una lotta silenziosa, concitata e decisamente violenta.

Per quanto violento possa essere un qualcosa condotto con un così parco spreco di suoni.

Guardò il grosso Panerai che si adattava perfettamente al suo polso e scosse la testa indispettito: una sosta, anche solo per verificare che cosa stesse accadendo, lo avrebbe fatto ritardare ulteriormente.

Eppure non si mosse.

Non diede retta al proprio istinto che, in quel momento, gli imponeva di badare ai fatti propri e di pensare ai problemi che già si era procurato, senza aggiungerne degli altri.

Tornò meccanicamente indietro e, questa volta, le sue scarpe, prodotte con dell’autentico cuoio italiano, scivolarono silen-ziose sul selciato, facendolo muovere con grazia felina. Provava uno strano stato d’ansia, come se fosse in pena per quanto stava accadendo, benché non ne sapesse assolutamente nulla.

Arrivò all’imboccatura del vicolo e lasciò che i suoi occhi si adattassero alla penombra: possedeva una vista con la quale non avrebbe avuto alcuna difficoltà a penetrare tra le ombre e trovare la fonte del suo disagio. E in effetti li vide. Vide tre uomini chini su un fagotto raggomitolato sul terreno gelido.

Uno dei tre mollò la presa, si raddrizzò e sferrò un calcio in quella cosa indefinibile, la quale emise un altro gemito, chiaramente distinguibile ora che, evidentemente, nulla le impediva di potersi esprimere. Tuttavia, il fatto che l’essere non fosse in grado di andare al di là di quel verso inarticolato, la diceva lunga sullo stato pietoso in cui la cosa versava e sul fatto che non fosse un animale. Non un gatto, o un cane…

Nessun animale avrebbe potuto produrre un suono così umano.

Ren venne spinto in avanti da un istinto che spesso lo aveva dominato e che, altrettanto spesso, lo aveva condotto al rimprovero da parte di suo padre, quando questi era ancora in vita. L’essere stato un giovane impulsivo e battagliero non lo aveva di certo aiutato nella sua adolescenza sofferta e non gli aveva fatto guadagnare il diritto di occupare il posto del padre all’interno della Cerchia degli Anziani.

Nonostante le sue nobili origini e il suo sangue estrema-mente puro, il carattere ribelle ed espansivo gli aveva reso un pessimo servizio a suo tempo, almeno fino a quando non aveva imparato a dominarsi e a nascondere l’irrefrenabile fuoco che covava dentro, ormai costantemente celato dietro a una maschera di glaciale indifferenza. Ed era stato premiato per quel suo nuovo modo di fare scostante, impenetrabile e totalmente controllato.

Questo era ciò che si aspettavano da lui, quel modo consono di porsi di fronte ai propri simili, quel fare spocchioso e arrogante, tratto così tipico per quelli della sua razza.

Ren si era adeguato dovendo sopravvivere all’interno del proprio clan e, passata la fase adolescenziale, non aveva potuto fare altro che ripercorrere i sentieri tracciati dal padre.

Tuttavia, in quel preciso momento, in lui prevalse quell’istinto che aveva tentato di soffocare in ogni modo. Lo avvolse in una calda rabbia corroborante e lo portò direttamente ad azzannare quei pochi metri che lo separavano dalla tragedia, con una determinazione tale da sorprendere persino gli aggressori.

Lo sentirono più che vederlo.

Avvertirono più che altro la sua presenza, sotto forma di una nube argentata carica di una furia a malapena trattenuta. Non sarebbe stato possibile altrimenti. Non captarono il rumore inesistente delle sue scarpe sul terreno, ma avvertirono la sua rabbia.

Schizzarono in piedi tutti e tre e tutti e tre si voltarono contemporaneamente, assumendo istintivamente una posa combattiva. E Ren li vide con chiarezza, come se fossero stati abbagliati da una luce improvvisa. Vide ciò che erano, scate-nando ulteriormente la sua ira.

Le lunghe zanne sporgevano dal labbro superiore accarezzando inquietanti quello inferiore, socchiuso e imbrattato da quello che doveva essere sangue. I grossi corpi erano tesi e pronti, con le unghie ricurve esposte per intimorirlo. Soffiarono nella sua direzione con fare feroce sperando di riuscire a intimidirlo, in modo che se ne andasse lasciandoli al loro divertimento aberrante.

L’essere steso per terra, chiunque fosse, era l’evidente vitti-ma di un gioco perverso, il cui esito era tutt’altro che rassicu-rante.

“Che vuoi, umano? Vattene se non vuoi fare una brutta fine!” lo apostrofò uno dei tre, sporgendosi con fare teatrale verso di lui, tentando di scoraggiarlo e di spingerlo verso una veloce ritirata.

Vampiri!

Ren chiuse le porte a ogni altro stato emotivo che non fosse la sola ira.

Vampiri!

Poteva odiarli solo per ciò che erano e per ciò che rappresentavano, non aveva alcuna necessità di ulteriori motivazioni. Rimase fermo dov’era e un ghigno sardonico gli distorse le labbra.

“Umano? Osi chiamarmi umano? Non sei solo feccia, sei anche oltremodo stupido!” Fece un passo in avanti, mentre un leggero chiarore iniziò ad avvolgerlo come un manto fluorescente, spandendo sottili strie luminose tutt’intorno.

Umano?” ripeté con disgusto, inspirando a fondo.

I tre esitarono, se non altro per quel bagliore improvviso che un essere umano comune non sarebbe stato in grado di emanare e Ren si avvide come il dubbio iniziasse a insinuarsi nelle loro espressioni aggressive. Il fatto che non avessero ancora compreso cosa fosse la diceva lunga e questo avvalorava ulteriormente lo stato d’inferiorità della loro specie.

Divorò i pochi metri che ancora lo separavano da quel gruppetto di teppisti e, dal momento che nessuno di loro osò ribattere alle sue parole, proseguì sempre più beffardo.

“Sei cieco e sordo, razza di somaro! Il tuo cervello non distinguerebbe un elefante da una lumaca!” Si avvicinò ancora di più. “… e l’ignoranza uccide, amico!” sibilò direttamente sul volto del malcapitato che aveva aperto bocca per primo.

Il compare che gli era più vicino non fece in tempo a reagire, nemmeno per rendersi conto di quanto reale fosse la minaccia ma l’incapacità di comprendere totalmente la natura di colui che aveva interrotto il divertimento gli fu decisamente letale.

Ren si mosse con rapidità, persino per il vampiro che lo stava affrontando. La mano scattò verso il torace del malcapitato, sfondandolo con un colpo deciso. Lo sterno si spezzò con uno schiocco secco e la carne venne lacerata con un disgustoso strappo. La mano si mosse senza esitazioni, affondando nei tessuti morbidi, strappando vene e arterie, arrivando diret-tamente al centro pulsante dell’essere. Ren afferrò il cuore, stringendolo in una morsa sadica.

“Basterebbe poco, solo una leggera torsione del polso e tu verresti ridotto in polvere” sussurrò al vampiro mentre questi, attonito, osservava il braccio affondato nella propria cassa toracica.

Quando alzò lo sguardo su di lui, il vampiro aveva gli occhi sgranati e dalla bocca aperta colava un rivolo di saliva rosea, la quale gli imbrattò ulteriormente il mento e il davanti della felpa.

“Mi hai sentito? Hai capito che cosa ti ho detto, sacco di letame?”

Il vampiro annuì un paio di volte, aprendo e chiudendo la bocca senza riuscire a trovare la forza per parlare.

Gli altri due si erano già dileguati fra le ombre, lasciando il compagno da solo ad affrontare quella furia dall’apparenza umana.

“Ti lascio andare. Non m’interessa distruggerti, ma ti consiglio vivamente di non incrociare nuovamente il mio cammino. Se mi vedi per strada, cambia marciapiede, anzi… cambia quartiere e, se proprio vuoi vivere tranquillo, cambia città.” Il vampiro annuì di nuovo e Ren lo lasciò andare.

L’orrendo risucchio che produsse la sua mano, mentre la estraeva dalla carne martoriata, provocò un conato di nausea all’altro, costringendo Ren a un passo all’indietro per evitare che gli vomitasse addosso.

Attese con pazienza che il vampiro si svuotasse le viscere, lasciando che il chiarore, che lo aveva illuminato fino a quel momento, svanisse lentamente insieme alla sua rabbia. Il reietto avrebbe ubbidito, il terrore che gli aveva letto negli occhi era stata una garanzia più che sufficiente.

Il vampiro smise di rigettare qualunque cosa si fosse trovata nel suo stomaco e, dopo una fugace occhiata al tizio che lo aveva quasi ammazzato, si dileguò in fretta, sparendo fra le ombre come gli altri.

L’aria nel vicolo divenne pesante e umida, si appiccicò alla pelle di Ren, incollandogli i capelli sulla fronte. Sottili ciocche candide scivolarono dal nodo sulla nuca, guizzando lievi in avanti quando si chinò sulla massa informe e sudicia, ancora raggomitolata per terra.

Non capì subito che cosa fosse. Poteva solo presumere che si trattasse di un essere umano, visto che aveva due gambe infagottate in pantaloni informi e degli anfibi ai piedi. Anche se sembravano troppo piccoli per appartenere a un adulto.

Oh no, un ragazzino…

Il disgusto gli distorse i lineamenti e la sua rabbia per un momento si riaccese. Prendersela con un adolescente!

Se i vampiri non fossero già spariti, li avrebbe annientati per il solo fatto di aver osato attaccare un mortale. Represse l’ira e la repulsione per il sudiciume sparso su quel corpo magro e cercò di allungare una mano per scostare il bavero del cappotto lacero, ma l’essere si ritrasse con un gemito, avvolgendo il capo fra le braccia come per paura di essere nuovamente percosso. Due polsi spuntarono dal bordo delle maniche sfilacciate. Due polsi sottili, ricoperti da strati di sporcizia varia.

“Non ti farò niente, voglio solo aiutarti…” iniziò esitante, avvertendo chiaramente il terrore percorrere a onde continue il corpo tremante. Un altro gemito, un altro singulto.

“Per favore, se sei ferito forse posso curarti. Lasciati aiutare.”

Esitò a pochi centimetri dal bavero, cercando di stabilire se, arrivando a sfiorare il tessuto, quella cosa avrebbe cercato di morderlo o di reagire in qualche modo per paura.

“Posso toccarti?” chiese con dolcezza inaspettata. Non ricevette risposta ma, d’altra parte, non ne aspettava una.

“Sto per scostarti il bavero del cappotto, lasciami verificare se hai delle ferite. Va bene?” Prese l’ulteriore silenzio come un fattore positivo e si decise ad allungare del tutto la mano, in modo da arrivare al tessuto.

Con delicatezza, pochi millimetri alla volta, smosse la stoffa pesante da quello che doveva essere il volto, mantenendo sotto controllo la tensione delle braccia che la vittima teneva ancora avvolte intorno al capo.

Nessun guizzo. Nessuna ulteriore contrazione.

“Puoi abbassare un pochino le braccia, così riesco a vederti?”

La leggera nota cantilenante nella sua voce produsse l’effetto voluto e gli arti del fagotto si rilassarono visibilmente, permettendogli di arrivare a scoprire il volto. Ren trasalì, mentre l’orrore e la pena si rinnovavano nel suo animo. Una ragazza…

Nonostante il sudiciume e il fatto che un grumo di capelli, impiastricciati dallo sporco e dal sangue, le nascondesse parte del viso, era inequivocabilmente una ragazza. Ren trattenne a stento una feroce imprecazione.

“Per la foresta vergine! Che cosa ti hanno fatto quei criminali?”

Tentò di prenderla per le spalle e sollevarla con delicatezza, ma si ritrovò fra le mani un peso morto.

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