Il mistero di Monte Navale

15,00

Formato: Libro cartaceo – attualmente esaurito

Autore: Claudio Danzero

Note sull’autore

Esaurito

COD: ISBN 978-88-6690-274-4 Categoria: Tag:

Descrizione

Il mistero di Monte Navale è un romanzo poliziesco, con omicidi e relative indagini condotte, nel caso specifico, da una giovane giornalista rampante e da un brillante commissario di polizia, ma, soprattutto, è un acquerello della vita di Torino e della sua provincia negli anni Sessanta, quando la crescita economica inizia a cambiare profondamente la vita quotidiana, le abitudini e i consumi della popolazione, mentre si assiste ai fenomeni dell’inurbamento e dell’immigrazione, e anche allo sviluppo dell’istruzione, come chiave per l’accesso a migliori condizioni di vita e di lavoro.

INCIPIT

La fiammante Giulietta sprint color rosso fuoco percorse a forte velocità la strada di accesso al paese. Giunta nella grande piazza, la attraversò girando intorno alla fontana di mosaico azzurro, incurante del nugolo di bambini intenti a giocare al pallone; a quel punto dovette forzatamente rallentare per infilare una strettoia che zigzagava tra le costruzioni. Si fermò infine con stridio di freni nella minuscola piazzetta che costituiva il sagrato dell’antica chiesa francescana.

Il piccolo piazzale interrompeva i vecchi portici sotto i quali i bottegai esponevano la loro merce. L’esiguo spazio all’intorno dava l’idea di trovarsi proprio nel baricentro del commercio del piccolo ma industrioso borgo. La sua industria era nata 150 anni prima, quando la Manifattura cotoniera aveva dato gradualmente lavoro a duemila dipendenti, quasi totalmente di sesso femminile.

Vi si potevano intravedere un bel negozio di scarpe, una gelateria, un caffè, una bottega di formaggi, un negozio di parrucchiera e, proprio di fronte alla chiesa, una vendita di vini da esportazione. Quest’ultima attività era ospitata sotto il minuscolo portico di una costruzione più pretenziosa rispetto a quelle che la circondavano.

Era una casa settecentesca ricondizionata a inizio secolo. Aveva tre piani fuori terra caratterizzati da un grande balcone centrale di pietra lavorata, contornato da altri cinque più minuscoli sorretti da modiglioni a foggia di conchiglia. La fascia sottostante il cornicione era dipinta in azzurro decorato con fregi multicolori in corrispondenza del sottotetto. A richiamare l’attenzione erano ancor di più i davanzali e i contorni delle aperture evidenziati in cemento scuro, arricchiti con insolite mattonelle quadrate, vetrificate con colori brillanti. Il tutto le conferiva uno stile prettamente Liberty. La costruzione, un tempo pretenziosa, doveva aver ospitato uffici amministrativi e finanziari ma dava l’idea di essere decaduta nell’ultimo mezzo secolo e destinata a residenza di minor prestigio.

Mentre il motore rimasto in moto spandeva il classico rombo brontolante Alfa Romeo, la portiera destra della macchina si aprì. Dal sedile posto a livello del pianale uscì una giovane signora sulla trentina piuttosto elegante. Appena a terra ribaltò lo schienale, dando così modo all’adolescente ospitata nello strapuntino posteriore di scendere dall’auto, non senza fatica nonostante la giovane età e la silhouette invidiabile.

Era una biondina, molto graziosa senza essere troppo appariscente, che indossava una gonna a ruota con la camicetta bianca a pois e la cintura vivacemente colorata stretta in vita. I capelli erano pettinati con la coda di cavallo che metteva in piena evidenza la frangetta liscia di media lunghezza. Ai piedi le ballerine in tinta con la cintura sottolineavano la sua giovane età.

Dava l’impressione di trovarsi a disagio, imbarazzata e impaziente di lasciare i compagni di viaggio improvvisati, per raggiungere quella che doveva evidentemente essere la sua rassicurante abitazione.

La donna invece, decisamente bella ed evidentemente attraente, aveva i capelli castani acconciati con la riga di lato che cadevano sulle spalle con vistosi boccoli. Il vestito stampato color crema evidenziava il punto vita ed era allacciato dietro al collo con un’ampia scollatura sulle spalle. Portava scarpe decolleté dal tacco basso. Sugli occhi, grandi occhiali color seppia.

Attese che la fanciulla svoltasse intorno alla chiesa per raggiungere la porta di casa scomparendo alla loro vista.

La ragazza abitava in una costruzione fatiscente denominata convento, che ospitava alcune abitazioni proletarie. Si trattava appunto delle mura del seicentesco convento francescano retrostante la sacrestia, riadattate a civili abitazioni.

In quel frattempo lo chauffeur comandò dal cruscotto l’estrazione di una lunga antenna motorizzata posta sul parafango posteriore, mentre alcuni ragazzini osservavano la scena con curiosità mista a invidia. Poco dopo una musica a forte volume, distorta a causa della cattiva ricezione della zona, invadeva l’abitacolo diffondendosi nell’aria.

La donna risalì lanciando un saluto frettoloso in direzione dell’amica e l’auto ripartì sgommando per tornare sui suoi passi.

Dopo un viaggio di pochi minuti si arrestò alcuni chilometri più a valle ai bordi della grande piazza d’armi di Cuorgnè.

Questa volta il conducente spense il motore, abbassò il volume della radio e si volse verso la sua accompagnatrice con tutta l’aria di voler dare corso a una lunga conversazione.

“È stata una fortuna che ti abbia incontrata sul lungo Dora, così non hai dovuto aspettare la corriera.”

“Senti Romano, sono anni che ci conosciamo. È perfettamente inutile che mi blandisca in questo modo.”

“Ma come? Cosa dici…”

“Con me lo sai che non attacchi. Tu mi hai aspettata apposta. Anzi ci hai aspettate. Sapevi che probabilmente non sarei stata sola e volevi conoscere la mia nuova allieva.”

L’uomo sulla quarantina indossava pantaloni chiari, freschi di stireria, con giacca e scarpe da yacht sull’inamidata camicia confezionata su misura, sbottonata sul davanti per mostrare la catenina d’oro a maglia spessa con la immancabile croce anch’essa pesante e piuttosto evidente. Sul capo un berretto panna. Parve offeso dalla reprimenda e riprese il discorso con tono sottomesso e timbro di voce umile.

“Lo sai che sono innamorato di te. Sono anni che te lo ripeto ma tu non mi dai ascolto e mi tacci addirittura di utilizzarti come esca.”

“Su, Romano, cerca di essere serio. Non sono nata ieri. Tu sei una persona simpatica e piacevole ma l’unico sentimento che provi per le donne è quello di portarle a letto. Io ti ho inquadrato fin da quando Lucia ti ha presentato come suo fidanzato. Beata lei che ti ama e che ti crede. Io non le rivelerò le tue avventure, che sono sulla bocca di tutti, per non farle del male. Ma personalmente scordati che io possa mai fare uno sgarbo alla mia migliore amica.”

“Mah…”

“Levatelo dalla testa. E, soprattutto, non insidiare Clelia. È giovanissima, buona, onesta e orfana della mamma. Vive con la pensione di invalidità del padre che arrotonda riparando elettrodomestici in casa. Credo che non meriti di rovinarsi la vita.”

L’uomo non si scompose più di tanto per la tirata senza mezzi termini che aveva ricevuto. Forse doveva esserci abituato e utilizzò il collaudato mezzo di mettere la coda fra le gambe, sparandole ancora più grosse.

“Va bene. Vuoi che la verità stia dalla tua parte? D’accor-do. Figurati che non sapevo neanche il nome di quella ragazzina. Però con te è diverso. Io non lascerei mai mia moglie per un’altra… Per te, sì.”

“Certo, certo. Ma mi raccomando, non farti vedere con le mie allieve.”

“Ok. Se me lo chiedi tu non posso dire di no. Lo sai che i tuoi desideri sono ordini per il tuo umile ammiratore” azzardò ancora con finta umiltà.

“Oh, figurati. A proposito, dove andate per la festa del Corpus Domini tu e tua moglie? Fate il ponte fino a domenica?” rispose lei, resistendo alle adulazioni del compagno che pur dovevano farle piacere.

“Sì. Chiudiamo il laboratorio fino a lunedì, per una volta. Prendiamo un caffè all’Umberto?” riprese l’uomo, indicando un bar elegante che dava sulla piazza attraverso un ampio dehors arredato con tavolini e dondoli.

“Ci mancherebbe, così darei adito al pettegolezzo senza alcuna colpa. Piuttosto, vuoi salire da noi? Mio marito ti vedrà volentieri. Tu riesci ad accattivarti anche gli uomini” replicò lei, ponendo l’accento sulla parola ‘marito’.

“No, no. Grazie, Bruna, sarà per un’altra volta. Spero di rivederti presto.”

“Vedi, a quanto pare ogni mio desiderio non è proprio un ordine per te” concluse la donna nello scendere dall’auto, chiudendo con garbo la portiera e riuscendo comunque nell’intento di lasciare il compagno senza parole. Forse le costava fatica respingere le sue attenzioni ma la soddisfazione di vederlo scornato almeno per una volta la ripagava sicuramente del sacrificio.

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