Il maltempo dell’amore

16,00

Formato: Libro cartaceo

Autore: Franco Pulcini

Note sull’autore

 

COD: ISBN 978-88-6690-171-6 Categoria: Tag:

Descrizione

Un noir nel blu

Il maltempo dell’amore di Franco Pulcini è un noir estivo, soleggiato e ben schizzato d’acqua salata, come si comprende dalla copertina. Conta oltre quattrocento fitte pagine che vanno giù come “bollicine”, anche perché rifinite in modo lieve e spiritoso da un neo-scrittore già parecchio abile nella disposizione delle parole e nella successione dei fatti. Tra l’altro s’impara moltissimo del mondo della vela, e varrebbe la pena leggerlo anche solo come preparazione a una vacanza per mare…

Ha una trama eccitante che t’afferra la mente e non ti molla, complice il piacere della lettura, che si rinnova ad ogni pagina. La narrazione ha ritmo, è scaltra, chiara, vivida, con tante lingue differenziate che tratteggiano personaggi estremi e molto ben scolpiti. Appena qualche virtuosismo verbale e mentale intricato verso il centro dell’intrigo internazionale, ma nel complesso c’è la ricchezza di un linguaggio che accende i colori e i profili di un film hollywoodiano in HD. È forse un romanzo un po’ tarantiniano, perché si sorride compiaciuti quando inizia finalmente a colare il sangue. E come in Tarantino (o in Woody Allen), c’è anche un sommo rispetto per la cultura alta, da cui l’autore proviene per mestiere: il primo capitoletto s’intitola “Dove sono i bei momenti”, che è l’aria della Contessa delle Nozze di Figaro di Mozart (non a caso sarà ‘contessina’ la protagonista e ‘contessa’ sua nonna) e c’è l’impressione che gli ammiccamenti e le citazioni ben nascoste in forma d’inchino nautico non siano poche, per essere inserite in un noir psicologico.

Tema dominante, una passionalità erotica devastante che droga la mente dei protagonisti e porta i loro destini ad esiti inattesi. È l’invenzione di una realtà come la vorremmo con la fantasia, anche se sappiamo che è tutto fiction: e proprio per questo, la storia dei due irrequieti borghesi, narcisisti e gelosi – finiti in grossi rischi – ci intriga tanto e ne godiamo così intensamente, pur trattandosi di un mondo lontano da quello della gente comune.

Le astuzie narrative dell’arguto musicologo milanese, prestato a una scrittura creativa neppure troppo disimpegnata, non sono affatto fastidiose. Quando poi l’autore sbanda dall’ironia d’un comico televisivo, allo strazio dei sospetti e dei sentimenti feriti, o alle poetiche descrizioni dell’ambiente marino, offre una varietà di toni che arricchiscono la lettura e la emancipano da quel certo cinico maschilismo che gli si potrebbe anche imputare. D’altronde, da una narrazione che rivive il tema mitico-eroico della vendetta e della difesa della donna super-amata, non si può certo pretendere correttezza… Ci domandiamo forse se Omero sia da considerarsi politically correct? “Ma in questa storia c’è qualcosa di corretto?” si chiede alla fine il personaggio che casualmente spiegherà punto per punto le apparenti incongruenze di una vicenda inesplicabile quasi fino all’ultima pagina. Se lo leggerete, vi verrà voglia di andare per mare, specie se ci sapete andare da maestri della navigazione a vela come i moderni eroi omerici Ede e René – e persino se vi capitassero le loro atroci disavventure di coppia litigiosa!

La Redazione EEE-book

INCIPIT

“Senti, a me non interessa che tu ti sia affezionato” disse Adelaide spazientita, agitando a quel punto un coltello da pesce “io, su una barca in cui mi sembra di aver visto un topo, non ci metto piede, punto e basta!”

“Ma guarda che l’ho fatta disinfestare da una ditta svizzera specializzata, e mi hanno detto che non hanno trovato niente di sospetto, anche analizzando la polvere della sentina al microscopio. Al novantacinque per cento non c’è mai stato un topo a bordo! E tu, tra l’altro, così m’hai detto, credi d’averlo visto… e magari era un’ombra…” rispose René a tono, mentre lei guardava dall’altra parte, oltre la ringhiera della terrazza, verso le luci del porto lontano.

“Ecco” disse lei, rivoltandosi di scatto “adesso mi dirai pure che sono un’etilista di quelle che vedono ovunque ragni e altri animali schifosi. E che cavolo: non fai altro che cambiare barche e non vuoi sostituire questa, che magari fra breve pullulerà di topolini neri, annidati in ogni buco, e mentre noi siamo in alto mare… e poi dieci giorni fa s’è anche riempita d’acqua!”

“Ma se era solo il condizionatore che scaricava male per un contatto elettrico… e ora l’hanno rimesso a posto…” ribatté lui, nervoso.

“Sì, sì, è la terza volta. E mi è venuto il mal di schiena a tirare su tre secchi d’acqua con quella tua spugnetta minuscola, che sembrava quelle del fondotinta. Ogni volta si scassa qualcosa! Questa barca, ammettilo, è nata male! E anche se mi fossi sbagliata sui topi, e non ci credo, ne ha comunque sempre una. Poi è angusta, piena di spigoli: prendo testate dappertutto. Non ne posso più! Se bisogna proprio navigare, almeno cambiala!”

Adelaide questa volta non sentiva ragioni.

“No, non la cambio! Piuttosto… senti, non farmi parlare… A parte il fatto che in un mese non ce la farei mai a trovare un acquirente per questa, e neppure a farmene mettere a punto una nuova… è aprile, e tra poco dobbiamo salpare…”

René venne interrotto da Adelaide, che disse, con improvvisa tenerezza, inclinando la testa, quasi volesse far parlare i suoi lunghi capelli lisci, lucenti e curati che le scendevano un po’ ovunque, dalla schiena all’incarnato della scollatura: “Ma andiamocene a casa mia in montagna, per una volta, dài… Con te, mai un fine settimana diverso! Mi hai portato una volta a Londra e credevi di morire lontano dalla tua barca… Quest’idea che non esista nient’altro che il mare, ti assicuro, è da malati mentali… Guarda che noi siamo nati con due gambe per camminare sulla terra, altrimenti avremmo delle pinne come questa povera bestia…”

Eccetera, eccetera, eccetera.

Quell’interminabile discussione dell’estate precedente, consumata davanti a una cernia al forno con patate e pomodorini sul terrazzo dell’hotel La Ponche di Saint-Tropez, si era naturalmente conclusa con un’ennesima separazione. Si trattava allora della bellissima Adelaide, un’energica ragazza bruna, intelligente, fine e istruita, di ottima famiglia, con vigneti di nebbiolo, barbera e moscato grandi come le estensioni d’interi comuni. Non era la prima volta che il nostro litigava irreparabilmente con un’amica per colpa della nautica. E non sarebbe stata l’ultima.

Per provare a capire qualcosa di René, bisognava prendere le cose alla lontana, tenendo conto dei rischi di corto circuito tra le sue passioni predominanti: la donna e la barca.

In effetti, come narra pure la saggezza della banchina, avere una barca è già in sé un gran problema. E gli unici bei momenti dell’armatore sono quando la compri e quando riesci finalmente a rivenderla, stufo di grane e guasti. Per non parlare del maltempo e dei litigi a bordo, o degli amici inaffidabili, degli ospiti fifoni, o delle mogli – passate, presenti e future –, e delle donne in genere, nemiche della nautica per definizione, che remano sempre contro, per naturale istinto di conservazione, o più esattamente, di sopravvivenza.

Invece per René era sempre stato un piccolo dispiacere vendere o cedere le sue barche a vela. Almeno a queste si affezionava molto, anche se non era un tipo sentimentale. Mentre l’acquisto gli aveva spesso dato qualche noia: consegne ritardate, impianti difettosi. Una volta gli avevano persino sbagliato il colore dello scafo: bianca anziché blu! Un brutto momento, malgrado il modo di dire dei diportisti. Le navigazioni invece erano sempre state meravigliose, anche perché lui non aveva paura di niente e si muoveva a maggio, col mare sgombro di traghetti e di yacht, poche barche nei porti, i venti tesi e alle volte un nuovo amore in cabina. Per tanti bei momenti.

La sofferenza che gli dava la vita sulla terra e l’indifferenza risentita per il mondo degli umani (con l’eccezione che sappiamo) lo avevano fatto optare per il mare, che lui considerava, anche quand’era agitato, un poetico paradiso, una succursale del cielo dei credenti. Eppure René era un uomo ruvido, che difficilmente lasciava trapelare calore e tenerezza: un bel tenebroso irascibile e concentrato, un metro e ottanta di silenzi e nervi saldi, un Ulisse misantropo e vagamente autistico, una preda impervia.

Un’amica francese, disegnatrice di moda arguta e abbastanza malignetta, un giorno gli aveva detto, pizzicando la erre: “Ma tu vai in barca perché ti piace, o per fare dispetto alle tue donne?” Lui non aveva ritenuto di rispondere. E lei aveva aggiunto: “O forse le consideri un accessorio nautico fra gli altri, tipo il dissalatore o il radar?”

Con quell’ossessionante fissazione della vela aveva creato sempre grandi problemi alle compagne, per quanto ne fosse innamorato e ricambiato. Dopo un po’, anche se travolte dalla passione, non riuscivano a sopportarlo. Lui si rendeva conto del suo egoismo, ma non poteva farci niente: la scuola del mare era spesso molto dura per loro, e all’entusiasmo dei primissimi tempi faceva puntualmente seguito una liturgia penitenziale, pantografata uguale a se stessa sulla capacità di sopportazione delle aspirantiyachtgirl.

Se le povere ignare si mostravano disturbate dagli infiniti rumorini che una barca produce, soprattutto nel silenzio della notte, era un primo brutto segno. Quando non riuscivano a chiudere occhio, tormentate dal vento che fischiava tra le sartie, era l’inizio della fine. Appena cominciavano a vomitare a bordo, le scaricava garbatamente al primo porto. Un autista della ditta di famiglia o un amico accorreva e le portava al primo treno o aereo. Lui faceva gonfiare il gennaker e tornava al porto d’ormeggio da solo. Dopo aver superato i primi tre step, iniziava il peggio…

Suo padre, vista la passione di quel ragazzo difficile, problematico e un po’ misterioso, e considerata la sua bravura fin da bambino con le piccole derive, gli aveva comprato a vent’anni uno Swan di quindici metri, perché se ne andasse in giro, liberando la famiglia dalla sua presenza. René, dopo qualche tempo, aveva iniziato a prendere barche sempre più piccole, prima quattordici, poi tredici metri. Era arrivato persino a una barca di undici metri, dove i piani cottura e le zone prendisole non erano sufficienti, a detta di compagne scontente per la continua diminuzione degli spazi.

L’undici metri era stato comprato senza neppure farlo vedere alla sua amica di allora, un’ex modella tedesca, che per amor suo aveva preso la patente nautica; per questa indelicatezza di non farla partecipe dei suoi acquisti, lo aveva accusato di crudeltà mentale. E quanto aveva ragione! Si chiamava Hannelore e aveva allora trentadue anni come René. Per lui era stata alla scuola di vela dell’isola di Caprera, come dire in un collegio militare dove se non impari ad affrontare le tempeste ti umiliano, ti ordinano di pulire i gabinetti, e manca poco che ti mettano agli arresti.

E lui cosa le aveva risposto?

“Volevo farti una sorpresa. E poi non importa quanto è lunga la barca: importa quanto è lunga la vacanza, soprattutto se lontana da tutto…”

“Lontana da tutto?”

Si sa: per una bella donna che si nutre di sguardi, la navigazione d’altura con un solo uomo è una penitenza. “Una cosa ci sta a fare con un miliardario…” si erano chieste alcune “se poi questo non ti porta mai in giro a farti vedere ben vestita?” Eppure la tedesca, donna tenace con forte senso del dovere, aveva trovato più brutale e senza speranza la solitudine per settimane in barca con lui, per quanto bene gli volesse, della durezza spartana di quella vita.

In banchina René non tentava quasi mai approcci, anche se si vedevano spesso guizzare begli occhi verso il suo volto abbronzato e il suo fisico attivo da single di professione, sempre accuratamente trasandato nel vestiario, con i suoi inseparabili pantaloni blu, secchi e stinti dal sole. Le amiche le voleva, se possibile, del suo ambiente. Ricche, o a loro agio con i ricchi. E soprattutto con il mare.

Gli piacevano belle, raffinate, possibilmente vistose, ma che fossero anche veliste capaci, e magari oceaniche. E se non lo erano, aveva l’assurda pretesa che lo diventassero. Chissà perché, le inabili fra le onde, alla lunga non gli interessavano neppure come amanti. Era il caso di Adelaide, bella come una madonna del Rinascimento, rovente naturale come un forno a legna, ma divenuta in breve tempo nemica giurata del vento e dell’acqua salata. Ripensando a quanto era straziato dalla passione furiosa per quella donna, gli sembrava impensabile essere riuscito ad approdare all’indifferenza. C’era qualcosa d’instabile in lui.

In una quindicina d’anni aveva avuto cinque barche e sedici donne, di quelle che portava a bordo. Solo quattro erano riuscite ad accompagnarlo con successo nelle sue spericolate crociere. Le altre avevano mollato prima, quando non erano state consigliate di desistere per incapacità nautica. Adelaide, lasciandolo, al culmine della requisitoria finale, gli aveva profetizzato: “Ricordatelo: sei un uomo perverso, un finto mite, un uomo torbido e possessivo, che un giorno, nella sua follia megalomane e pericolosa, sarà capace di tutto! Ricordatelo!”

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