Il Longobardo – Terra di conquista

12,48

Formato: Libro cartaceo pag. 376

Autore: Andrea Ravel

Note sull’autore

 

COD: ISBN: 978-1074557201 Categoria: Tag:

Descrizione

Anno Domini 773. Carlo Magno valica le Alpi alla testa di un imponente esercito e in poche settimane cancella il regno longobardo dalle carte geografiche.

Dopo duecento anni di pace l’Italia si trasforma nuovamente in un campo di battaglia dove ognuno deve scegliere da che parte schierarsi. Un dilemma che angoscia anche Claudio, giovanissimo discendente dell’antica e potente famiglia dei Ravello. La sua decisione è resa ancora più difficile dall’improvvisa morte del padre e dalla cospirazione, ordita dai suoi nemici, per ucciderlo e impadronirsi di tutti i beni della famiglia.

Mentre il rombo della cavalleria franca risuona nella pianura devastata dalla guerra, Claudio, aiutato dal fedele amico Mistico e da un pugno di coraggiosi, ingaggia una disperata lotta contro avversari astuti e spietati, compiendo il percorso di maturazione che lo trasformerà in un uomo.

Terra di Conquista è un romanzo dal taglio cinematografico e ricco di dialoghi, nel quale la storia è filtrata attraverso gli occhi del protagonista, che racconta in prima persona. Il risultato è un affresco straordinariamente accurato di un’epoca violenta e remota in cui la cultura di Roma, nonostante l’imporsi della barbarie, non è del tutto spenta, ma sopravvive oltre che nell’orgoglio di Claudio, anche nella forza unificante della lingua latina e della religione cristiana.

Teatro di questa avventura sono la città di Torino, allora sede di un importante ducato, i contrafforti delle Alpi e le paludi e i boschi che all’epoca occupavano gran parte della valle del Po.

INCIPIT

(Langobardia, primavera del 773 A.D.)

I freddi occhi di Mistico scrutavano i miei cercando un segno d’incertezza. “Sarà uno scherzo, dominus!” Lo disse più per incoraggiarmi che per vera convinzione.

Non ero d’accordo con il mio compagno, avevamo di fronte dieci uomini. Gli elmi a calotta e i piccoli scudi rotondi appesi alle selle li indicavano come soldati dell’esercito di Dauferio, probabilmente disertori.

Noi eravamo appena in quattro, senza scudi e cotte di maglia, ma avevamo il vantaggio della sorpresa.

Scostai un ramo che mi impediva la visuale, disturbando un nugolo di zanzare che, attirate dal calore della pelle, iniziarono a pungermi la faccia. Cercai di non farci caso per concentrarmi su quel che stava accadendo nel villaggio.

I pochi contadini che non avevano fatto in tempo a scappare erano stati costretti a inginocchiarsi nello spiazzo davanti alle capanne; le madri, nascoste dietro ai loro uomini, si stringevano al collo i figli più piccoli.

Il capobanda, un gigante con la nuca rasata e i capelli biondi che gli ricadevano sul volto, era impegnato a interrogare un servo: gli aveva legato le mani dietro la schiena e lo trascinava avanti e indietro col cavallo, tenendolo per un cappio che gli stringeva il collo.

Il disgraziato aveva la pelle escoriata e gli occhi che gli sporgevano dalle orbite. Era caduto a terra e non riusciva più a rialzarsi; ancora poco e sarebbe morto strangolato. Gli altri predoni stavano a guardare indifferenti in sella ai loro ronzini.

Occa, quindici capanne e neppure una chiesa, era il più piccolo tra i villaggi sottoposti all’autorità di mio fratello, ma i suoi abitanti erano stati aggrediti ed io dovevo difenderli.

I figli di Mistico, due gemelli di un paio d’anni più giovani di me, avevano già impugnato gli archi e il padre stava indicando loro i bersagli. Peredio avrebbe tirato al capo. A Wildo ne aveva assegnato uno con l’aspetto truce del veterano e la pelle scura come cuoio. Erano i due più pericolosi. Uccisi loro, gli altri si sarebbero sbandati.

Senza far rumore tornammo alla radura dove ci aspettavano i cavalli. Tranquillizzai Hannibal accarezzandogli il muso. Feci scorrere il dito sul filo tagliente di Aello e mi passai il cappio dell’elsa intorno al polso.

Mistico sfilò dalla sella una corta lancia da caccia e ne saggiò il peso.

“Non siamo troppo lontani per quella?”

Scosse il capo in un diniego appena accennato e toccò il cavallo con i talloni. Il massiccio castrone avanzò lentamente tra gli alberi.

Trascorsero alcuni istanti di completo silenzio, poi uno schiocco, un sibilo e la freccia di Peredio si infilò tra le piastre dell’armatura del capo banda.

L’uomo si accasciò sulla sella, scivolò lentamente di lato e cadde a terra con un tonfo. Il primo dardo non aveva ancora raggiunto il suo bersaglio che un secondo schiocco lacerò l’aria e anche il veterano piombò giù senza un grido.

Tirai un profondo respiro mentre il cuore sembrava esplodermi nel petto e Hannibal si lanciava fuori dal bosco, senza bisogno di essere spronato.

Superai come un lampo Mistico che stava scagliando la sua lancia. L’arma descrisse un elegante arco nel cielo e si piantò nel torace di un soldato che cadde mulinando le braccia. Poteva avere la mia età, poco più che un ragazzo.

Un cavallo lanciato al galoppo impiega un tempo lunghissimo a percorrere cento passi, ma gli zoccoli di Hannibal, saltato il muro di cespugli, divorarono il terreno che ci separava dal villaggio nel tempo di un Pater. Invece di raccomandare la mia anima a Dio pensai che quello era il mio primo vero combattimento: di lì a qualche momento avrei dovuto uccidere o sarei morto.

Il mio cavallo evitò il cadavere del ragazzo e piombò direttamente sul gruppo di disertori che non si erano ancora riavuti dalla sorpresa e avevano commesso l’errore fatale di restare raggruppati.

Puntai il soldato più vicino. Feci in tempo a notare che gli mancava un orecchio e che doveva essere di origine romanica per via degli occhi e dei capelli corvini. Sollevò la lancia nel tentativo di trafiggermi, ma la sua arma era troppo lunga e il colpo risultò debole. Lo parai con facilità, spingendo con la spada l’asta della lancia verso l’alto e vibrai un fendente diagonale dall’alto verso il basso, come mi aveva insegnato Mistico. L’uomo spalancò la bocca e cadde addosso al compagno alla sua sinistra, che tentò di disimpegnarsi facendo arretrare il cavallo. Hannibal compì un mezzo giro su se stesso e me lo mise a portata di spada. Mi piegai sulla sella e gli conficcai Aello in gola.

Mi guardai intorno, ma era già tutto finito. C’era un solo sopravvissuto, un piccoletto pelle e ossa che teneva le mani protese davanti al viso per difendersi dal cavallo del mio compagno che gl’incombeva addosso.

“Vuoi interrogarlo prima che l’ammazzi?” domandò Mistico.

Gli feci segno di aspettare. Avevo la gola secca e non riuscivo a parlare.

“Come vuoi!” Calò la scure di piatto sulla testa dell’ometto, che si afflosciò svenuto.

Presi la borraccia dalla sella e bevvi due lunghi sorsi, mentre i figli di Mistico si aggiravano nel villaggio alla ricerca di superstiti.

Wildo uscì dalla stalla spingendo davanti a sé un uomo che camminava reggendosi le brache con una mano.

Quando comparve nello spiazzo una pietra lanciata da uno dei servi lo centrò in fronte. Il soldato cadde a terra e in un attimo fu circondato da una piccola folla silenziosa che infieriva su di lui a calci e pugni. Ben presto scomparve alla vista, sommerso da un ribollire di gambe e braccia.

In quel momento un grido, a metà tra un ordine e un’invocazione, riempì l’aria polverosa del villaggio.

I contadini si immobilizzarono, uno ancora con il braccio sollevato pronto a colpire.

La figura scarna di una vecchia era uscita dal bosco. Camminava quasi piegata in due, di sbieco, come certi granchi di mare. Quando si avvicinò notai i capelli, lerci e stopposi, intrecciati con ossa di animali e la cicatrice di un’ustione che le sfigurava la metà destra del volto.

“È la maska del villaggio” sibilò Mistico, toccandosi l’amuleto che portava al collo. “Quand’era bambina l’ha colpita un fulmine. Da allora vede le cose prima che accadano.”

Si fece largo tra i contadini fino al punto dove giaceva il soldato moribondo. L’uomo cominciò a divincolarsi e a strillare, ma fu inutile: la maska si chinò e dopo un istante il disgraziato emise un urlo che mi fece rizzare i peli sulle braccia.

La strega sollevò le mani insanguinate e si guardò intorno con un ghigno di trionfo nella bocca sdentata.

Wildo ne aveva avuto abbastanza. Preso lo slancio, le sferrò una pedata che la fece ruzzolare nella polvere. I contadini ulularono e per un attimo pensai che ci avrebbero aggrediti, ma la donna li calmò con un gesto e si allontanò zoppicando con la solita andatura obliqua.

Quando fu abbastanza distante, si voltò e, puntandoci contro un braccio scheletrico, gridò: “Iuvene, malo fato!” Poi si fece il segno della croce al contrario e scomparve tra gli alberi continuando a ripetere le stesse tre parole.

“Mi ha maledetto!” esclamò Wildo, spalancando gli occhi per lo stupore.

“Che t’importa dei vaneggiamenti di una vecchia pazza?” mormorai, ma ero turbato anch’io.

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