Il cerchio delle donne

15,00

Formato: Libro cartaceo

Autore: Elena Grilli

Note sull’autore

 

COD: ISBN 978-88-6690-407-6 Categoria: Tag:

Descrizione

Ancona, via Bezzecca, una palazzina con cinque appartamenti è il teatro quasi esclusivo dell’azione di questo giallo dove i personaggi femminili sono davvero dominanti, con tutte le loro qualità e i loro difetti, con tutte le loro contraddizioni e i loro problemi. Tra i personaggi principali, la rumena Catinca, sposata con un italiano marito-padrone, la saggia Gabriella (detta Bri), un’anziana psicologa in pensione, che vive in una piccola comune femminile, e Jo, impiegata amministrativa della Questura di Ancona, ragazza anticonformista, testarda e scorbutica, ma dotata di un forte senso della giustizia. Saranno le donne a far luce sulla tragica fine di un’anziana coppia di coniugi, loro coinquilini. Ma nel romanzo c’è molto di più: c’è una riflessione sulla condizione femminile, sul significato della solidarietà tra donne, sulla famiglia (non sempre positiva), sul valore della presa di coscienza del proprio ruolo e, di riflesso, anche sul mondo maschile.

Questo romanzo, vincitore del V Concorso per il Giallo, Thriller e Noir indetto da EEE-book (2017), è ben scritto, senza cedimenti nel ritmo narrativo, e lascia il lettore con la piacevole sensazione di aver letto una storia coerente e coesa, ricca di spunti interessanti e capace di offrire uno sguardo acuto e profondo su alcuni significativi aspetti della realtà socioculturale dell’Italia contemporanea.

 

INCIPIT

Parte 1. In questa parte ci sono donne e ci sono delitti

Catinca (Cati)

Salì le scale al buio, aiutata solo da qualche raggio di luna attraverso i vetri e dal corrimano sotto le dita freddissime.

Infreddolite più per la tensione dei muscoli, che per il clima, benché fosse già fine novembre.

Lui non sospettava nulla, sprofondato nel divano davanti a un qualunque inutile programma televisivo, al piano di sotto; ma Catinca era talmente terrorizzata all’idea di essere scoperta, da evitare ogni più piccolo rumore, perfino quello dell’interruttore della luce delle scale.

Piano.

Piano.

Non tremare.

Catinca affrontava un gradino dopo l’altro avvertendo i piccoli movimenti tremolanti dei muscoli delle gambe. Era spaventata perfino dagli scricchiolii nelle giunture che le sembrava di udire. L’aria intorno a lei era sospesa e silenziosa. Accadeva tutti i venerdì sera da quasi un anno, ma lei non si era ancora abituata al senso di colpa collegato alla consapevolezza che stava facendo di nascosto qualcosa di deplorevole agli occhi di suo marito. Perciò saliva al buio. Gli diceva che andava a casa di Emma e Saverio; invece era diretta nell’appartamento di fronte, stesso pianerottolo. Salire al buio era abbastanza sciocco, dal momento che sulla base della bugia che raccontava ad Amedeo, quelle scale avrebbe dovuto comunque percorrerle. Tuttavia questo era il risultato del terrore che le saliva dentro fin dal primo pomeriggio del venerdì, capace di impedirle di fare un movimento di troppo, di dire una parola di troppo, di inavvertitamente suggerire all’uomo col quale viveva un minimo sospetto sulle sue intenzioni. E allora faceva piano.

Amedeo aveva una sensibilità grossolana, con una soglia molto alta e non si accorgeva praticamente di nulla o almeno così pareva, nonostante fosse in realtà un uomo molto sospettoso. Era, in definitiva, sempre pronto a scattare per un’inezia, a cui attribuiva un significato di minaccia, rimanendo tuttavia cieco rispetto a fatti molto più grossi, almeno per lui, che accadevano sotto i suoi occhi. Tuttavia Catinca sapeva di dover stare molto attenta, perché sarebbe bastato poco per perdere tutto. Se Amedeo l’avesse smascherata, l’avrebbe lasciata, abbandonata, ripudiata, fatta sentire una nullità di cui vergognarsi. Così ci si sentiva già, in realtà, forse anche da prima di incontrarlo. Ma Amedeo era capace di fare molto peggio, ne era consapevole.

Così rifletteva Catinca, mentre poggiava il piede sull’ultimo gradino e prudentemente bussava al portone, evitando di far squillare il campanello. Un raggio di luna rimbalzava sulla targa appesa sopra l’ingresso, raffigurante il profilo di una strega sulla scopa. Una strega nera dal ghigno grottesco, in un antro nero, in un silenzio all’interno del quale Catinca era spaventata dal soffio del suo stesso respiro.

Sciocca Cati.

Frivola Cati.

Calmati Cati.

Bussò di nuovo, un po’ più forte, mentre il cuore si allarmò, quando il silenzio fu senza preavviso infranto dalla TV dell’appartamento alle sue spalle. La signora Emma era quasi del tutto sorda e alzava il volume noncurante degli altri condomini. Poi la porta si aprì e Barbara le diede il benvenuto solo con un gesto della testa, perché sapeva che lì sulle scale un “Ciao Cati!” avrebbe provocato un attacco di panico nella visitatrice.

Nel salottino tutto era pronto come sempre: candele, dolcetti, tisane, cuscini, coperte per accucciarsi, sorrisi di altre donne, le streghe, che aspettavano lei. Catinca si rilassò.

Con lei, il cerchio delle donne era completo.

Barbara richiuse la porta alle spalle di Cati. Era una ventottenne robusta e sorridente, con una frangia viola di sbieco sulla fronte. Sulla lingua aveva un piercing e nessun pelo. I suoi modi diretti irritavano i più; nel cerchio delle donne invece era una qualità apprezzata, perché lì si poteva essere se stesse senza finzioni. A Cati questa schiettezza piaceva da un lato, ma la intimoriva dall’altro, come se in qualunque momento le potesse essere sputata addosso una sentenza. Questo però non era mai accaduto, per via delle regole del cerchio.

Quella sera Cati venne accolta con l’affetto di sempre, che ogni volta la commuoveva. Sandra le rivolse un “ciao” squillante e ondeggiante di allegria (perché lì dentro ormai si poteva), accompagnato dai sonagli dei suoi braccialetti metallici. E poi c’era il sorriso di Gabriella, nero di nicotina e caldo come un caffè, che da solo bastava a rassicurarla che tutto andava bene e tutto sarebbe andato bene. Angela la pragmatica sbucò coi suoi fianchi poderosi e rassicuranti dalla cucina con la teiera fumante.

Barbara, Sandra, Angela e Gabriella erano le padrone di casa. Ma il venerdì venivano anche Margherita, Irma, Marina e Cati. Qualche volta c’era anche Sabrina.

Catinca si sfilò le scarpe, prese posto sul suo cuscino e incrociò le gambe sul tappeto. Era passato da tanto il tempo in cui si era sentita strana e fuori posto. A dire il vero quella era una sensazione che era durata meno di dieci minuti, la prima volta. Poi aveva preso atto di quello che la circondava: donne alte, basse, giovani e anziane, casalinghe, impiegate o professioniste, magre o cellulitiche, etero o lesbiche, bionde, more, castane. Era impossibile sentirsi “quella diversa” in un luogo di donne tutte diverse. Lì andavi bene, sia che parlassi, sia che stessi tutto il tempo zitta. Eri apprezzata, sia che raccontassi dell’ultima causa vinta in tribunale come avvocata, sia che riferissi i dettagli dell’ultima torta salata fatta in casa o dell’ultima gaffe con un uomo.

Lì andavi bene, sempre e incondizionatamente.

«Ci sono novità dal bastardo?» le chiese Barbara a bruciapelo, per niente abituata a prenderla alla larga e per niente preoccupata di offenderla, dal momento che “il bastardo” era ormai per tutte il marito di Catinca. Cati non si scompose, sapeva che nel cerchio delle donne suo marito non piaceva proprio, ma non era importante, perché piaceva a lei.

Non si giudica una donna, nel cerchio delle donne, mai. Ogni scelta è valida, sempre. Era la prima regola.

Per questo poteva essere aperta e sincera (quasi sempre) e parlare liberamente anche se il suo italiano era a volte (raramente) traballante o se quello che aveva da dire erano i soliti dubbi triti e ritriti, quelli che una donna più risoluta di lei avrebbe risolto in mezzo minuto.

Ad esempio Sandra avrebbe chiuso un matrimonio come il suo senza pensarci due volte. Sandra era lesbica, ma insomma, il concetto rimaneva. Barbara, sbrigativa com’era, non ci sarebbe finita per niente, in una storia così complicata. E Gabriella, “Bri”, col suo modo saggio e autorevole, uno come Amedeo nemmeno l’avrà mai incontrato, pensava Cati, perché la sua stessa autorevolezza fungeva da repellente per gli uomini come lui, un po’ troppo, come dire, abituati a comandare. Per quanto ne sapeva, Bri un marito ce l’aveva pure, e anche una figlia grande. Non aveva ben chiara la cosa, ma pareva che Bri, pur avendo un buon rapporto col marito, di comune accordo con lui avesse scelto di fare vite separate, in case separate, condividendo solo alcuni momenti che lei definiva “speciali”, mentre la quotidianità la divideva con altre tre donne. Una cosa strana, insomma. Però Bri non le era mai sembrata stramba, anzi.

Alla domanda di Barbara, Cati non prese le difese del marito. Fu invece lo spunto per confidare alle amiche lo stesso dubbio che la attanagliava da un anno, da quando cioè si era sposata con un italiano ed era venuta a vivere in quel palazzo. Lei era capace di vedere i difetti di Amedeo, ma allo stesso tempo le faceva tenerezza proprio per la sua insicurezza e il suo mal celare dietro modi un po’ bruschi il suo bisogno di essere amato.

«Proprio oggi mi ha rimproverato di nuovo. Ma cosa devo fare con lui?» si lamentò Cati.

«Che avrai fatto stavolta di tanto grave?» si intromise Irma.

«Non mi sono ricordata che ieri sera mi aveva detto di cucinargli i carciofi per la cena di stasera. Io in realtà me lo ricordavo, ma al lavoro mi sono dovuta trattenere una mezz’ora in più, per pulire il disastro fatto da un anziano che poverino ha vomitato in mensa e mica poteva rimanere così… Non ho fatto in tempo a passare pure al mercato coperto a prendere i carciofi perché poi lui si agita se tardo, e allora gli ho fatto il roast beef, che so che gli piace. Ma si è arrabbiato lo stesso, dice che è stufo di una donna che fa sempre di testa sua.» Sentiva che avrebbe finito per piangere in modo incontrollato come era suo solito, se avesse proseguito. Allora decise di non dire altro. Già si sentiva tanto sciocca, se poi avesse anche aperto i rubinetti, sarebbe stata la fine.

Voci solidali si sollevarono dal gruppo. Alcune si rivolgevano a lei, altre esprimevano alla vicina il proprio disappunto. Nel coro si distinsero parole come “assurdo”, “incredibile”, ma il termine più ricorrente era appunto “bastardo”. Bri si sporse verso Cati. «Sembra proprio che come fai, sbagli. Se torni all’ora che vuole lui, non ci sono i carciofi, se ci sono i carciofi, arrivi tardi e lui ti mette in croce con la solita storia che hai l’amante. Così non se ne esce.»

Bri aveva sempre ragione. Era così, non se ne usciva. Lo sapeva bene, perché nell’ultimo anno le aveva provate tutte per farlo contento, per non dargli motivo di lamentarsi. Lei voleva con tutta se stessa la felicità del marito, ma era come se sbagliasse sempre. Eppure doveva esserci un modo. Donne più vere di lei, il modo lo trovavano. La buona moglie fa il buon marito, non si diceva così in Italia? Lei era una pessima moglie, quindi.

Pessima.

Sciocca.

Debole.

«Questa è la violenza che lui ti fa» le ricordò Angela quasi leggendole il pensiero e versandole nella tazza acqua calda per la tisana.

«Si crede il signore del castello. È un violento, Cati, lo sai» sottolineò Margherita.

Cati riassestò le natiche sul cuscino. «No, violento no, non mi ha mai menato. Mi vuole bene, a modo suo, ecco.»

Le amiche non insistettero. A Cati però non sfuggirono certi sguardi che sembravano volerle comunicare “No, forse… non ti ha mai menato… ancora…”

In effetti loro non sanno proprio tutto tutto.

«Oggi stavo per farmela sotto dal ridere.» Marina prevenne l’imbarazzo che il silenzio avrebbe portato con sé. Mentre raccontava la sua ultima vicissitudine con un ragazzo impiegato delle Poste, l’ennesima gaffe ai danni di se stessa, come inconsapevolmente facesse apposta a tenerli alla larga, gli uomini, benché manifestasse tutto il contrario, Cati iniziò a ripiegarsi su se stessa. Non che non le interessassero le altre donne, anzi, ma negli ultimi giorni si era sentita molto più triste del solito, come se fosse diventato improvvisamente più difficile continuare a sorridere mentre faceva le sue cose quotidiane. Tutto stava diventando terribilmente pesante.

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