Il cammino di Neko Kurotachi

18,00

Formato: Libro cartaceo  pag. 510

Autore: Massimiliano Saputo

Note sull’autore

 

COD: ISBN: 978-88-6690-368-0 Categoria: Tag:

Descrizione

Nel Giappone della prima era Tokugawa, a cavallo del 1600, un ronin è un samurai ramingo, che non ha un signore da servire, è un pericoloso vagabondo senza onore e indegno di considerazione. Ma Yoshi “Neko” Kurotachi, ronin per tragiche circostanze, non può rinunciare al suo senso dell’onore, perché ritiene che chi è senza onore non possa essere un uomo.
Qualcuno, però, insegna a Neko che si può essere fedeli al bene prima ancora che all’onore, alla verità, prima ancora che alla giustizia. E oltre a tutto questo, c’è ancora l’amore. È questo il messaggio di un gesuita portoghese, Padre Guillermo, da anni in Giappone con pochi confratelli, per portare la parola di Cristo, apparentemente lontana dalla cultura giapponese. Neko, tuttavia, arriverà a rendersi conto che l’atteggiamento esistenziale di un samurai, un uomo votato alla morte con una fiducia assoluta nel suo signore e nell’appartenenza ad una ferrea gerarchia , non è più sufficiente a dare senso alla complessità della vita, al dolore e alla morte, perché il suo cuore è stato toccato dalla scoperta di un amore che perdona ogni errore e scende fin dentro l’oscurità di ognuno di noi.
Sullo sfondo delle atroci persecuzioni contro i cristiani, l’avventura umana e guerriera di Neko Kurotachi porta il lettore in un mondo lontano dal punto di vista temporale e culturale, mettendo però in risalto i sentimenti e le scelte inevitabili che appartengono agli uomini di qualsiasi tempo.

INCIPIT

Neko Kurotachi dischiuse lentamente le palpebre. La testa leggermente reclinata sul petto, sormontata da un cappello di paglia dalle larghe maglie, non si mosse di un millimetro. Sentì la sensazione della fredda pietra della parete che premeva contro la sua schiena. Continuando a rimanere immobile, seduto contro il muro di quel piccolo tempio abbandonato nel bosco, percepì nettamente la presenza di qualcosa, di un essere vivente e della sua energia. I mignoli delle due mani si strinsero impercettibilmente attorno alla spada che teneva appoggiata sulle cosce, di traverso, quasi fosse appoggiata casualmente. Gli occhi si spostarono tra le larghe maglie del cappello in cerca di ciò che aveva acutamente colpito i suoi sensi. Il corpo si era profondamente rilassato senza muoversi entrando in una postura morbida, letale. Spostando le pupille ancora un poco avanti a se scoprì che un grosso gatto fulvo striato di bianco dagli occhi azzurro scuro lo osservava da circa un passo e da qualche minuto. Neko continuò a guardare il grosso micione che annusava l’aria con quel grazioso movimento delle narici che tanto lo faceva ridere da bambino. Trovava che i gatti fossero creature incredibili, straordinarie, pura magia in movimento. Sollevando la testa lentamente pensò che stava invecchiando.

«Una volta ti avrei percepito almeno da cinque passi» sussurrò sorridendo al gattone che continuava a guardarlo tranquillamente: da quel corpo seduto in terra fra le foglie e il muro non proveniva infatti il benché minimo sentore di pericolo. Tante volte Neko si era trovato in compagnia al suo risveglio e spesso quelle presenze erano state tutt’altro che amichevoli. Si era abituato da tanto tempo a dormire sempre seduto in quella posizione tenendo la spada in modo da poterla estrarre con un solo movimento ogni volta che si trovava a riposare in luoghi poco conosciuti o che per qualche motivo potessero nascondere un pericolo. Il fatto che ancora una volta fosse li ad aprire gli occhi era la testimonianza migliore dell’efficacia di questo comportamento.

«Ti chiamerò ‘il gatto del Risveglio’» disse ancora Neko. Aveva in serbo molti nomi per tutti quelli che incontrava, essere reali o immaginari. Lui era reale, e curioso.

Improvvisamente il gatto spostò lo sguardo alzando la testa in direzione di un punto appena dietro e a destra di Neko. Inesorabile, immediata lo colpì ancora una volta la sensazione del pericolo, come un graffio, una zampata nel fondo dell’anima. Un’ombra passò rapidissima quasi impercettibile nella leggera luce del mattino smorzata dai salici fruscianti. Ci fu solo il tempo di spostare il busto appena a destra senza neanche voltare lo sguardo dove il gatto aveva guardato mentre l’ombra diventava carne ed essa prendeva forma di uomo che brandiva un pugnale che calò velocemente senza un rumore verso Neko, un solo gesto. Come un solo gesto ci fu in risposta. La spada sibilò velocemente mentre la mano sinistra allontanava il fodero facendo uscire la lama lucente che salì verso l’alto. Neko Kurotachi si bloccò per qualche attimo in quel gesto. Il sibilo del sangue che sgorgò dalle vene recise si confuse con il rumore secco delle ossa che si spezzavano. Cadde una testa, rotolando senza vita ne significato. Il tonfo sordo del corpo che si rovesciò davanti ai suoi piedi chiuse la scena.

Ancora immobile ,seduto col braccio alzato nel gesto che aveva reciso una vita, ascoltava il vento con tutto se stesso, lo sguardo dritto davanti a se che non si posava su nulla e il respiro ancora calmo.

Trasse un profondo respiro. Un frusciare eterno, fresco e amichevole lo circondava, come prima, come sempre.

Si alzò lentamente abbassando la spada al fianco destro ancora in ascolto. Ma ormai sapeva, aveva capito che quell’uomo era solo. Il vento non portava con se nulla di nuovo, nessuna voce, nessun pericolo, nessuna ombra amichevole o nemica. Si ritrovò ad annusare l’aria come il grosso gattone del Risveglio per sentire e percepire fin dove lo sguardo non poteva arrivare. Solo in quel momento si accorse che il suo sconosciuto amico felino era scomparso. Alzò la spada in alto e calò un rapido fendente trasversale. Fu contento che non ci fosse il bel micione. Il sangue che schizzò in quel movimento avrebbe potuto imbrattare la sua bella pelliccia fulva. Mentre ancora si guardava intorno per vedere se ci fosse traccia del Gatto del Risveglio tirò fuori un quadratino di seta bianca, grande come un fazzoletto per avvolgere regali di quelli che usano le dame di buona famiglia e lentamente, accuratamente, lo avvolse intorno alla lama tenendolo tra le dita. Stringendo il metallo lucente ai lati con le dita coperte dalla seta prese a far scorrere la spada tirandola con la destra. Il sangue rimasto si raccolse lentamente nel fazzoletto disegnando curiose forme di vermiglio nel candido tessuto. Si chinò con un ginocchio a terra poggiando il piccolo quadrato di seta solcato dai rossi segni di una vita perduta sul corpo del suo aggressore. Rimise la spada nel fodero senza che in questo gesto neanche un rumore o un tremolio fossero percepibili. Una grossa macchia di sangue si allargava sotto il corpo dell’uomo riverso bocconi o sotto ciò che ne restava. Vide accanto alla macchia ancora fluida le orme del rosso Gatto del Risveglio e pensò che non aveva potuto ringraziarlo. Forse se non fosse stato per quello sguardo azzurro puntato nel nulla, nell’infinito da dove arrivano tutti i pericoli mortali non avrebbe avuto il tempo di reagire, forse. In ogni caso il gattone lo aveva preceduto di un infinitesimo attimo, l’attimo che segna il confine tra la vita e la morte. L’attimo che Neko conosceva così bene e su cui danzava la sua vita da tanto, tanto tempo. Infiniti attimi di vita talmente pieni di esistenza da non poterne quasi portare il peso, sospesi sul filo di una spada pronti a collidere in una danza di vita e di morte.

Un impertinente refolo di vento si insinuò tra le pieghe del kimono fin sul petto nudo facendolo rabbrividire. E il brivido continuò perché gli sovvenne che il Gatto del Risveglio, forse lo aveva salvato due volte. Prima ancora che lo sguardo e gli acuti altri sensi del felino avvertissero il pericolo egli era stato svegliato dalla presenza stessa del gattone rosso. Qualcosa dentro di lui si mosse improvviso e irrefrenabile. Si sentì come per un attimo toccato dalla presenza stessa dell’Universo. L’immagine dell’amico silenzioso dagli occhi blu si allargò in una esplosione come se fosse una porta, un ponte da cui guardare la potenza stessa del Cielo e della Terra, quella potenza che gli sembrò attraversare tutta la scena appena vissuta, quella potenza che forse lo aveva voluto salvare. Si accorse di avere il respiro affannoso e lo stomaco stretto mentre parole dagli echi immensi salivano dal profondo alle labbra riarse per la feroce scarica di adrenalina di poco prima. Ancora una volta qualcosa o qualcuno lo aveva strappato dal baratro. Chiuse gli occhi per un lungo momento, silenzio intorno, silenzio dentro. Distolse il pensiero con tenacia. Rialzandosi lentamente ripassò mentalmente la scena appena vissuta, una pratica molto utile per un uomo di spada. Diceva sempre che gli errori che facciamo, se non ci uccidono, sono i nostri migliori maestri.

Si rivide appoggiato alla parete dei ruderi del piccolo tempio avvolto nella quiete dei salici e nell’odore di mille erbe aromatiche. Non si metteva mai in un angolo perché sebbene avesse le spalle coperte era anche possibile che potesse rimanere bloccato e quindi aveva scelto quella parete senza più angoli spostandosi molto verso il confine di destra del muro che poi girava alle sue spalle. Poteva essere attaccato ma poteva anche farsi strada con la spada e avere via libera in caso di aggressione senza essere chiuso in un angolo o con le spalle appoggiate al centro di una parete troppo lunga avendo così la via posteriore di fuga bloccata. Era stata una buona scelta. Aveva lasciato a qualche ipotetico aggressore solo la possibilità di attaccarlo da destra visto che da sinistra avrebbe dovuto fare troppa strada allo scoperto verso di lui. Anche il più maldestro degli avversari non ci avrebbe provato. E se fossero stati in molti avrebbe potuto guadagnare una via di fuga alla sua destra uscendo dal muro e avere quindi libere tutte le direzioni per i suoi fendenti. Ancora una volta rivide il momento in cui gli occhi colsero il colore delle zampette felpate del gatto e poi il suo sguardo ravvicinato.

“Sono davvero invecchiato” pensò di nuovo. Aveva troppi pensieri e troppe domande in quel momento. Senza spiegazione, senza risposta. Si disse che se fosse stato un vero nemico avrebbe percepito prima la sua energia negativa. La morte arriva sempre molto più rapidamente della vita e lui conosceva così bene la sinistra carezza della morte.

“La distruzione è così veloce” pensò, senza giudizio, senza rimpianto. Non amava la Distruzione, eppure era un suo strumento: in ogni vita che toglieva, in ogni sguardo che spegneva, il nero manto della Distruzione gli passava a fianco come una gelida risata.

Così rivide il gesto che aveva fatto poco prima, essenziale, pulito, senza sbavature, senza tentennamenti. Dal basso verso l’alto una leggera curva mortale, un leggero, impercettibile frusciare di metallo e aria. L’energia che esplode in un solo movimento: definitivo, letale. Non poteva esserci altro risultato se non quello che si era verificato. Un taglio così immediato non lascia spazio al suo bersaglio, nessuna possibilità, una vita per una vita. Era stato un buon taglio. Nella sua inesorabile efficacia, persino esteticamente ineffabile aveva risparmiato al suo bersaglio una sofferenza inutile uno straziante trascinarsi di una vita ormai giunta alla fine della strada. Pietoso in fin dei conti, quasi compassionevole. Sentì ancora dentro un leggero disagio. Sapeva bene che quella era la sola emozione che più assomigliava alla compassione che avesse mai potuto sperimentare. Ancora una volta distolse i pensieri dal terreno troppo scivoloso su cui stavano correndo.

Infilandosi la katana nell’obi guardò il corpo ai suoi piedi. Si accorse di non aver dato a ciò che solo pochi secondi prima era stato un uomo, la benché minima attenzione fino a quel momento. Del resto, l’infinito si era aperto per un momento solo, un solo rapidissimo attimo, lasciando uscire dal suo oscuro ventre un mostro rabbioso generato dal male, da un male incognito e presente e altrettanto rapidamente lo aveva inghiottito di nuovo. Aveva sospinto dalle profondità della rabbia e dall’oscurità delle passioni un essere umano, un piccolo fragile uomo, un piccolo fragile strumento per uno scopo. E poi il nulla.

“Ma perché mi hai attaccato?” pensò Neko. «Dovevi pur avere un motivo» mormorò mentre si avviava a raccogliere la testa del suo sconosciuto aggressore. Si chinò a sollevarla da terra e la guardò con attenzione. La pelle era abituata al sole. Non era un uomo che aveva dimenticato gli agi eppure aveva linee dure, vissute, nel volto, tuttavia aveva una certa nobiltà nei lineamenti. Gli occhi erano chiusi ora. «Chissà cosa vedevi, o cosa avresti voluto vedere prima di chiuderli povero diavolo» pensava Neko mentre camminava verso il corpo che aveva letteralmente «perso la testa». Osservò gli abiti mentre posava la testa vicino al collo nella migliore posizione possibile simile a quella sua naturale. Erano abiti di campagna ma non abiti poveri, erano abiti che ricordavano altri spazi e altri profumi, abiti che avevano visto sguardi forse ammirati e mani delicate ma che di quelle mani, da molto tempo, ne avevano dimenticato persino l’odore.

«Ti chiamerò l’assassino del Risveglio» si disse «anche perché, purtroppo per te, me ne hai dato il tempo poveraccio» sibilò con un inchino leggerissimo.

Si chinò ad osservare la mano che staccatasi dal braccio come conseguenza del suo fendente inesorabile, ancora brandiva il coltello. Aprì le dita strette intorno al manico di legno laccato. «Lacca Urushi e di buona fattura» osservò mentre guardava la nera lacca opaca perfettamente liscia che ricopriva il manico « e lama di una spada che è stata spezzata, una spada di notevole valore». Era uno strano tanto, il coltello che ricorda la parte terminale di una spada che ogni samurai porta alla cintura. Il manico era di una strana fattura poco usata mentre la lama era indubbiamente una lama forgiata nel modo tradizionale e per di più da un abile artigiano.

“Come potevi permetterti un’arma così costosa, mio caro Assassino del Risveglio?” pensò Neko mentre ancora osservava le striature del metallo dovute alla forgiatura. Era come una firma, un ritratto del suo autore impresso nel metallo e per chi sapeva leggere quelle curve sovrapposte poteva indicare molto del suo costruttore. Neko era ovviamente un esperto in questo campo, la sua vita era la spada e la conoscenza di tutto ciò che la riguardava era per lui fonte di profondo interesse e rispetto e poteva aumentare le sue possibilità di sopravvivenza. Capire subito come era costruita una spada poteva decidere l’esito di un combattimento prima ancora che le lame venissero in contatto. Capire dove quel particolare tipo di forgiatura era più fragile poteva essere decisivo in un duello. E inoltre lo stile e l’arte del suo costruttore contribuivano a determinare il valore di una spada.

Guardando le striature dell’acciaio che teneva fra le mani si accorse che il damasco impresso sulla lama gli stava raccontando una storia. Una storia che non sentiva da così tanto tempo da confonderla quasi con la fantasia o forse una storia che avrebbe voluto fosse un parto della sua fantasia. Mentre leggeva nelle striature del ferro come in un antico libro si sentiva sprofondare in un passato che lo aveva profondamente segnato. Le vie impresse nella lama portavano in oscuri, lontani recessi del suo animo, dentro antichi dolori mai sopiti, dentro un dolore così forte da piegargli le gambe e per di più del tutto inaspettato.

Si sfilò la katana dalla cintura un attimo prima di piegare un ginocchio e poggiarlo a terra mentre ancora teneva in mano il tanto. Il cuore accelerava i battiti, qualcosa dentro di lui premoniva una rivelazione. Con una sorta di rassegnazione mista a timore allungò la mano per prendere dalla cintura dell’uomo ai suoi piedi il fodero del pugnale ancora saldamente sprofondato in essa. Il fodero nero laccato con perizia e gusto, si lasciò togliere scivolando silenzioso dalla seta della cintura. Neko cercava una conferma di qualcosa che in cuor suo sapeva. Ma lasciò una flebile speranza al dubbio, tentando di allontanare il momento della certezza dove niente sarebbe stato più possibile negare. Infine girò il fodero e lo vide.

Come un pugno in pieno viso. Forse gli avrebbe fatto meno male essere colpito con quel coltello venuto dal passato, una ferita del corpo che si sarebbe magari rimarginata presto, chiusa e confusa con tante altre che segnavano il suo corpo come una rete da pesca stracciata. Quella no, quella ferita che quel coltello riapriva senza averlo sfiorato non si era mai chiusa. Sul centro del fodero nero lucido campeggiava dipinta con polvere d’oro e con grande accuratezza lo stemma di famiglia dei Kurotachi di Sagami. La famiglia di Oda Kurotachi, suo padre.