Descrizione
Un uomo si risveglia in un letto cosparso di sangue. Non ci sono tagli e ferite sul suo corpo, nessun malessere o sintomi di sorta; il suo stato fisico generale rimane ottimo. Dopo qualche giorno accetta l’invito di un suo amico, medico internista, al compleanno della sua compagna Margot, festeggiato all’interno di un albergo molto amato della sua infanzia, situato nel seno protettivo di una località marittima, dove è invitato a pernottare la stessa notte di compleanno e dove per incanto il fenomeno ematico dei suoi ultimi risvegli scompare. In questo luogo, velato dal mistero dei ricordi e dall’amenità del clima, decide di protrarre per un periodo indefinito la sua permanenza, imbattendosi in una varietà di situazioni e di personaggi che lo condurranno, giorno dopo giorno, alla scoperta di una verità drammatica e inimmaginabile.
Prologo
Mi interrogavo sull’esistenza di Dio, mentre preparavo un toast al salmone, con semi di papavero e crema di avocado. Era scesa da poco la sera. Avevo sfogliato diversi studi biografici di mistici durante la mia cena frugale, solo a poche ore dal copioso sanguinamento, che avvenne per la prima volta in una notte di quiete apparente, all’interno del mio letto singolo. E senza cause o possibili fendenti.
Le mie lenzuola erano intrise di sangue dalla zona centrale, che poteva corrispondere alla posizione del mio bacino, quando ero riverso di fianco, ma anche alla schiena o all’addome, durante i frequenti spostamenti notturni che mi erano indispensabili per favorire la completa immersione nel sonno pieno, dove di solito sprofondavo da prono, quando i movimenti erano scorporati da una volontà cosciente e non portavo a letto l’eReader o le cuffiette Sony con l’MP3. In alcuni punti ricordavano le grosse gocce di un piovasco estivo, in altri la manifestazione oscura di un processo di ematoidrosi. Me ne accorsi quando ritornai nella mia camera e fui assalito dallo squarcio pulp della prima mattanza: alla luce calma dell’abat-jour la scenografia di un delitto passionale – non riuscendo a immaginare altro quadro, al momento, se non un affare di cinema e di pura finzione.
Mi spogliai completamente. Davanti allo specchio della mia camera, ritrovandomi asciutto e pulito, senza tagli sulla pelle e nella carne. Avrei potuto sospettare solo delle cavità principali: orecchie, naso, bocca, occhi, ma anche ano e pene, come alternative possibili a una fuoriuscita ematica clandestina, senza fendenti o accidenti esterni – escludendo a priori l’ipotesi mistica delle ghiandole sudoripare, come unici canali di scolo, forse frutto delle letture singolari della sera precedente.
Passai l’intera giornata nella più profonda solitudine, non riuscendo a pensare ad altro. Non risposi alle prime due telefonate del mattino. Non avevo la forza di ascoltare e di parlare con nessuno. Avrebbe peggiorato lo stato d’animo e delle cose. Il tacerne, al momento, era la mia unica destrezza. Il mio primo ormeggio nei lampi della burrasca.
Scesi in strada senza neanche radermi. Raggiunsi il prato del parco degli olmi, dove mi accovacciai a osservare le facciate bianche del museo delle ceramiche, ancora un velo di luna, il fiume vispo di una scolaresca. Sentivo appena le loro voci – dalla feritoia di una mano la nuca stanca di una maestra. Poi più nulla.
Al mio ritorno era già buio. Avevo lasciato le lenzuola sul pavimento del bagno, arrotolate di furia, senza nemmeno introdurle nella cesta dei panni sporchi. L’indomani avrebbe provveduto Irene, una studentessa universitaria, figlia di amici, che faceva le pulizie e diversi lavoretti per mantenersi agli studi e alle serate al McDonald’s o in birreria. Che cosa avrebbe mai pensato vedendo le mie lenzuola intrise di tanto sangue? A uno scherzo, a un tentato suicidio o a un’ingegnosa mattanza?
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